“La mia rielezione sarà dura a causa della crisi”: è quanto affermato da Barack Obama ad una cena elettorale a Washington. Un’ammissione che sottolinea quanto sia incerta una previsione sul risultato delle elezioni presidenziali del novembre 2012.
Radio Vaticana - Sulle ragioni del calo di consenso del presidente americano, eletto tre anni fa sull’onda di grandi speranze e aspettative, Alessandro Gisotti ha intervistato l’americanista Alberto Simoni, della redazione Esteri del quotidiano “La Stampa”:
R. – La ragione principale è che l’economia va male, l’economia degli Stati Uniti fa fatica. L’incubo di una seconda recessione è sempre dietro l’angolo, e quindi si comincia a dubitare delle capacità di leadership di Obama e soprattutto della ricetta economica della Casa Bianca. C’è da dire che metà degli americani imputano ancora la crisi economica al predecessore di Obama, George W. Bush. Tuttavia, come ha detto giustamente il vice presidente Joe Biden: “Adesso al potere ci siamo noi democratici e quindi siamo noi a dover dare una risposta”. Il problema di Obama è dunque proprio l’economia, i posti di lavoro, la crescita che non c’è.
D. – Eletto con grandi aspettative, Obama pare appannato nella sua azione di governo. Quali gli errori che più frequentemente gli vengono attribuiti?
R. – L’errore principale che viene attribuito ad Obama è quello di aver creato proprio troppe aspettative, di essersi presentato come un personaggio - come, di fatto, lo era e tuttora resta - nuovo, che avrebbe cambiato, stravolto, messo a soqquadro in senso positivo, dal suo punto di vista, la politica americana, la società americana. Quindi, ha generato un entusiasmo che poi alla resa dei conti non si è mantenuto, perché la realtà ha raccontato un’altra storia. Un Obama quindi che ha creato troppe aspettative e un Obama che si è circondato anche di persone forse troppo diverse tra loro, poco abituate a confrontarsi con la grande politica del Congresso, del Dipartimento di Stato e all’interno della stessa Casa Bianca. Proprio in questi giorni è uscito un libro molto interessante, che racconta degli scontri all’interno del team economico di Barack Obama. Forse anche la sua leadership, che è così evidente quando tiene dei grandi discorsi, probabilmente all’interno della Casa Bianca non è così forte.
D. – Anche in campo repubblicano i due candidati attualmente più in vista, il texano Perry e l’ex governatore del Massachusetts, Romney, sembrano avere molti punti deboli...
R. – Sì, le debolezze di Obama trovano dall’altra parte più o meno gli stessi problemi. Perry è entrato nella corsa per la nomination del partito repubblicano con grandissime aspettative. Moltissimi all’interno del partito erano convinti che fosse il “salvatore” di questa corsa elettorale. In realtà anche lui è incappato in alcune gaffe pesanti e imbarazzanti nel corso dei dibattiti e ha perso subito strada. Mitt Romney non convince: nel 2008 pagò un po’ di supponenza, pagò il suo essere mormone – una “colpa” che principalmente il Sud evangelico non gli perdona – oggi paga la sua riforma della Sanità nel Massachusetts, che è molto simile sotto certi aspetti a quella che ha approvato Obama. Questi sono tutti elementi problematici non superabili semplicemente con un dibattito o con una campagna elettorale. Sono due candidati con dei grossissimi handicap. Non per niente, in questi giorni, ha preso quota l’ipotesi di una candidatura di Christie, il governatore del New Jersey.
Radio Vaticana - Sulle ragioni del calo di consenso del presidente americano, eletto tre anni fa sull’onda di grandi speranze e aspettative, Alessandro Gisotti ha intervistato l’americanista Alberto Simoni, della redazione Esteri del quotidiano “La Stampa”:
R. – La ragione principale è che l’economia va male, l’economia degli Stati Uniti fa fatica. L’incubo di una seconda recessione è sempre dietro l’angolo, e quindi si comincia a dubitare delle capacità di leadership di Obama e soprattutto della ricetta economica della Casa Bianca. C’è da dire che metà degli americani imputano ancora la crisi economica al predecessore di Obama, George W. Bush. Tuttavia, come ha detto giustamente il vice presidente Joe Biden: “Adesso al potere ci siamo noi democratici e quindi siamo noi a dover dare una risposta”. Il problema di Obama è dunque proprio l’economia, i posti di lavoro, la crescita che non c’è.
D. – Eletto con grandi aspettative, Obama pare appannato nella sua azione di governo. Quali gli errori che più frequentemente gli vengono attribuiti?
R. – L’errore principale che viene attribuito ad Obama è quello di aver creato proprio troppe aspettative, di essersi presentato come un personaggio - come, di fatto, lo era e tuttora resta - nuovo, che avrebbe cambiato, stravolto, messo a soqquadro in senso positivo, dal suo punto di vista, la politica americana, la società americana. Quindi, ha generato un entusiasmo che poi alla resa dei conti non si è mantenuto, perché la realtà ha raccontato un’altra storia. Un Obama quindi che ha creato troppe aspettative e un Obama che si è circondato anche di persone forse troppo diverse tra loro, poco abituate a confrontarsi con la grande politica del Congresso, del Dipartimento di Stato e all’interno della stessa Casa Bianca. Proprio in questi giorni è uscito un libro molto interessante, che racconta degli scontri all’interno del team economico di Barack Obama. Forse anche la sua leadership, che è così evidente quando tiene dei grandi discorsi, probabilmente all’interno della Casa Bianca non è così forte.
D. – Anche in campo repubblicano i due candidati attualmente più in vista, il texano Perry e l’ex governatore del Massachusetts, Romney, sembrano avere molti punti deboli...
R. – Sì, le debolezze di Obama trovano dall’altra parte più o meno gli stessi problemi. Perry è entrato nella corsa per la nomination del partito repubblicano con grandissime aspettative. Moltissimi all’interno del partito erano convinti che fosse il “salvatore” di questa corsa elettorale. In realtà anche lui è incappato in alcune gaffe pesanti e imbarazzanti nel corso dei dibattiti e ha perso subito strada. Mitt Romney non convince: nel 2008 pagò un po’ di supponenza, pagò il suo essere mormone – una “colpa” che principalmente il Sud evangelico non gli perdona – oggi paga la sua riforma della Sanità nel Massachusetts, che è molto simile sotto certi aspetti a quella che ha approvato Obama. Questi sono tutti elementi problematici non superabili semplicemente con un dibattito o con una campagna elettorale. Sono due candidati con dei grossissimi handicap. Non per niente, in questi giorni, ha preso quota l’ipotesi di una candidatura di Christie, il governatore del New Jersey.
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