I segreti svelati sulla scomparsa di migliaia di italiani negli anni della dittatura
Scavare nel passato dell’Argentina vuol dire far tornare alla luce il destino comune di 30.000 desaparecidos, in gran parte di origine italiana. Era il 24 marzo del 1976 quando subentrava la dittatura militare, che attuò una strategia di repressione nei confronti di coloro ritenuti colpevoli di attività antigovernative: con estrema ferocia furono compiuti i più gravi reati di violazione dei diritti umani. Durante la Guerra Sporca, conclusa nel 1983, 50.000 persone furono assassinate e 400.000 arrestate (rapporto C.O.N.A.D.E.P.). Le accuse erano quelle di aver fomentato il diffondersi di attività sovversive contro lo stato, ma si rivelarono quasi tutte infondate. La pubblicazione di 700 faldoni che attestano le procedure di uccisione sistematica è stata sottoscritta in un accordo siglato dai ministri degli esteri, l’italiano Frattini e l’argentino Timerman. I rispettivi governi, l’1 giugno di quest’anno, si sono impegnati a consegnare, presso l’Archivio Nazionale della Memoria, i documenti relativi alla sorte degli scomparsi.
I centri di detenzione custodivano migliaia di desaparecidos, vittime delle più indicibili torture, preludio di morti innocenti. Centinaia di corpi furono occultati in fosse comuni e molti altri furono gettate nel Rio de la Plata, il fiume che separa i confini dell’Argentina con l’Uruguay, attraverso i cosiddetti “voli della morte”, una pratica che era addirittura materia disciplinare nella scuola di addestramento della Marina Militare a Buenos Aires, l’ESMA. Altri detenuti, prima di essere gettati dagli aeroplani, furono squartati nel ventre e poi dati in pasto agli squali dell’Oceano Atlantico. I particolari macabri sono numerosi così come le testimonianze ricostruite con sceneggiature e libri diventati celebri.
La grande mobilitazione da parte dei parenti, tra cui la nota organizzazione “Madri di Plaza de Mayo”, e con loro enti, professionisti, uomini e donne di buona volontà e singoli cittadini volenterosi, ha permesso che la giustizia facesse il suo corso. Ma il percorso per raggiungere le aule dei tribunali è stato difficile e ricco di ostacoli. In primis la segretezza delle operazioni ha comportato difficoltà nel reperire le prove: il Governo faceva finta di non sapere, la Chiesa non si pronunciava, gli elenchi delle carceri non registravano la detenzione dei prigionieri, i magistrati non intervenivano. Molti di questi processi si sono poi conclusi con gravi condanne per tutti i fautori delle atrocità (generali, prefetti, sottoufficiali, colonnelli).
La ricostruzione di quanto accadde circa trent’anni fa lascia sbigottiti dinanzi alla crudeltà commesse dal genere umano. Ciò che lascia stupiti è constatare, ora che i fatti sono venuti alla luce, come sia stato possibile legittimare i torturatori ad usare sistematicamente la violenza verso altri essere umani: nel buio della notte, soldati senza scrupoli sfrecciavano per le strade di Buenos Aires – e in tante altre città argentine - a bordo di una Ford Falcon verde senza targa con la quale si accostavano alle persone da sequestrare. Alcune di queste erano ragazzi, come gli studenti fautori di un movimento di protesta in seguito all’abolizione di un tesserino che consentiva sconti sui libri e sui trasporti. Molti di loro, minorenni, furono torturati e alcune fra le ragazze rimasero incinta in seguito agli stupri subiti. I figli nati furono affidati alle famiglie di militari e poliziotti. A distanza di anni, molti di loro hanno scoperto le vere origini, grazie alle donazioni del sangue, presso la Banca Nazionale Genetica, che ha permesso di accertare i DNA dei propri parenti naturali, zii e nonni. Si tratta di una generazione che non ha mai conosciuto i propri genitori, è come se vivessero senza un passato. Sono le giovani voci dei figli dei desaparecidos ad invocare una richiesta di speranza per il futuro dell’intera umanità, affinché il dramma non si ripeta “nunca màs”, mai più.
Scavare nel passato dell’Argentina vuol dire far tornare alla luce il destino comune di 30.000 desaparecidos, in gran parte di origine italiana. Era il 24 marzo del 1976 quando subentrava la dittatura militare, che attuò una strategia di repressione nei confronti di coloro ritenuti colpevoli di attività antigovernative: con estrema ferocia furono compiuti i più gravi reati di violazione dei diritti umani. Durante la Guerra Sporca, conclusa nel 1983, 50.000 persone furono assassinate e 400.000 arrestate (rapporto C.O.N.A.D.E.P.). Le accuse erano quelle di aver fomentato il diffondersi di attività sovversive contro lo stato, ma si rivelarono quasi tutte infondate. La pubblicazione di 700 faldoni che attestano le procedure di uccisione sistematica è stata sottoscritta in un accordo siglato dai ministri degli esteri, l’italiano Frattini e l’argentino Timerman. I rispettivi governi, l’1 giugno di quest’anno, si sono impegnati a consegnare, presso l’Archivio Nazionale della Memoria, i documenti relativi alla sorte degli scomparsi.
I centri di detenzione custodivano migliaia di desaparecidos, vittime delle più indicibili torture, preludio di morti innocenti. Centinaia di corpi furono occultati in fosse comuni e molti altri furono gettate nel Rio de la Plata, il fiume che separa i confini dell’Argentina con l’Uruguay, attraverso i cosiddetti “voli della morte”, una pratica che era addirittura materia disciplinare nella scuola di addestramento della Marina Militare a Buenos Aires, l’ESMA. Altri detenuti, prima di essere gettati dagli aeroplani, furono squartati nel ventre e poi dati in pasto agli squali dell’Oceano Atlantico. I particolari macabri sono numerosi così come le testimonianze ricostruite con sceneggiature e libri diventati celebri.
La grande mobilitazione da parte dei parenti, tra cui la nota organizzazione “Madri di Plaza de Mayo”, e con loro enti, professionisti, uomini e donne di buona volontà e singoli cittadini volenterosi, ha permesso che la giustizia facesse il suo corso. Ma il percorso per raggiungere le aule dei tribunali è stato difficile e ricco di ostacoli. In primis la segretezza delle operazioni ha comportato difficoltà nel reperire le prove: il Governo faceva finta di non sapere, la Chiesa non si pronunciava, gli elenchi delle carceri non registravano la detenzione dei prigionieri, i magistrati non intervenivano. Molti di questi processi si sono poi conclusi con gravi condanne per tutti i fautori delle atrocità (generali, prefetti, sottoufficiali, colonnelli).
La ricostruzione di quanto accadde circa trent’anni fa lascia sbigottiti dinanzi alla crudeltà commesse dal genere umano. Ciò che lascia stupiti è constatare, ora che i fatti sono venuti alla luce, come sia stato possibile legittimare i torturatori ad usare sistematicamente la violenza verso altri essere umani: nel buio della notte, soldati senza scrupoli sfrecciavano per le strade di Buenos Aires – e in tante altre città argentine - a bordo di una Ford Falcon verde senza targa con la quale si accostavano alle persone da sequestrare. Alcune di queste erano ragazzi, come gli studenti fautori di un movimento di protesta in seguito all’abolizione di un tesserino che consentiva sconti sui libri e sui trasporti. Molti di loro, minorenni, furono torturati e alcune fra le ragazze rimasero incinta in seguito agli stupri subiti. I figli nati furono affidati alle famiglie di militari e poliziotti. A distanza di anni, molti di loro hanno scoperto le vere origini, grazie alle donazioni del sangue, presso la Banca Nazionale Genetica, che ha permesso di accertare i DNA dei propri parenti naturali, zii e nonni. Si tratta di una generazione che non ha mai conosciuto i propri genitori, è come se vivessero senza un passato. Sono le giovani voci dei figli dei desaparecidos ad invocare una richiesta di speranza per il futuro dell’intera umanità, affinché il dramma non si ripeta “nunca màs”, mai più.
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