La lezione di Gesù sulla Giustizia nel discorso della montagna. Quale giustizia ci rende realmente santi? Quale giustizia redimerà il mondo?
Nel corso dei secoli i filosofi si sono affannati nella ricerca di un concetto universale di giustizia, proponendo soluzioni differenti, non di rado antitetiche. Anche la sapienza biblica, che nei Vangeli trova il suo culmine, si è confrontata col tema della giustizia, andando in profondità in quel che è più di un semplice concetto astratto. La giustizia, prima ancora che una nozione, è infatti un’esigenza radicata nel cuore dell’uomo, al punto che si può sostenere che le perversioni del concetto di giustizia sono perversioni del cuore umano: un cuore arido, egoista, spento o collerico è alla base di una giustizia altrettanto arida, egocentrica e implacabile. Forte di questa consapevolezza, il Cristianesimo ha riportato correttamente il discorso sulla giustizia nella sede sua propria, che non è quella razionale-filosofica, bensì quella spirituale, morale ed esistenziale. La giustizia non a caso per la teologia cattolica è una delle quattro virtù cardinali. E non a caso è menzionata ben due volte all’interno dell’impareggiabile discorso di Gesù sulle beatitudini, tramandatoci dall’evangelista Matteo: la giustizia, quale fondamentale condizione per vivere “beati”, ci è indicata da Gesù come via che conduce alla santità. L’uomo santo, con la sua esistenza luminosa, genera giustizia e la giustizia, a sua volta, se rettamente intesa e praticata sull’esempio del Cristo, produce frutti di santità. Senza santità di vita la giustizia non è autentica e, al contrario, senza giustizia la santità diventa una pia illusione.
“Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati” (Mt 5, 6). Chi non desidera un mondo più giusto? Tutti quanti possiamo invero illuderci di rientrare all’interno di questa beatitudine. Ma chi comprende davvero le parole di Gesù? Una cosa è infatti la giustizia come la intendiamo noi e un’altra cosa è la giustizia come la intende Gesù: superfluo perfino dire che la giustizia come noi la intendiamo non sarebbe foriera di beatitudine se non corrispondesse alla giustizia come la intende Gesù. Troppo spesso, infatti, noi rimaniamo fermi ad un concetto di giustizia ancora infantile, proprio degli albori della civiltà, ossia ad un concetto di giustizia puramente retributiva. Giustizia è dare a ciascuno quello che si merita in rapporto alle proprie azioni: giustizia, in quest’ottica, è pertanto punire chi si comporta male e premiare chi agisce bene. Una nozione di giustizia, questa, ancora legata al principio del taglione e ben lontana dal comandamento dell’amore come da Cristo ci viene insegnato. “Avete inteso che fu detto: amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti” (Mt 5, 43-45). La giustizia di Dio si manifesta dunque nel far del bene al peccatore: essa si fonda non sul principio di retribuzione, ma su quello dell’amore e l’amore, per sua natura, è “sovrabbondante”. La giustizia vera non è diretta a punire il peccatore, ma a salvarlo e, anche se talvolta per correggere bisogna punire, la punizione non è mai fine a sé stessa né può essere diretta a umiliare o addirittura a distruggere chi ha errato.
La giustizia, inoltre, in senso biblico, ha carattere totale: non è solo correttezza nei rapporti interpersonali od osservanza delle regole del vivere comune, bensì anche equità nei rapporti sociali. Giustizia è anche giustizia sociale. Più volte nella Bibbia troviamo eco di questa nozione di giustizia, sia nell’antico che nel nuovo testamento: si pensi al Magnificat (“ ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote”) e al suo antecedente vetero-testamentario rappresentato dal Cantico di Anna (“i sazi sono andati a giornata per un pane, mentre gli affamati han cessato di faticare… Il Signore solleva dalla polvere il misero, innalza il povero dalle immondizie”). Avere fame e sete di giustizia significa quindi non sopportare le disuguaglianze e le ingiustizie sociali, operare concretamente perché sia rispettata la dignità del povero, perché a ciascuno sia realmente assicurato il suo pane quotidiano.
Dice ancora Gesù: “Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli” (Mt 5, 10). Queste parole potrebbero sembrare in contraddizione con le precedenti: infatti, mentre nella precedente beatitudine la giustizia viene presentata senz’altro come un valore positivo, come una virtù da coltivare, qui la medesima realtà assume una connotazione sinistra, in quanto la giustizia viene presentata come causa di persecuzione. Com’è possibile che la medesima realtà sia vista dapprima in una ottica positiva e poi in modo negativo? A quale giustizia si riferisce Gesù in questo secondo caso?
Si potrebbe tentare di superare l’impasse sostenendo che mentre in Mt 5, 6 si parla della giustizia di Dio, qui al contrario si parla della giustizia umana, imperfetta, fallibile e non di rado “ingiusta”. Di errori giudiziari la storia passata e recente, del resto, è tristemente piena. Lo stesso Gesù fu vittima della cattiva giustizia dell’uomo, condannato a seguito di un processo iniquo, mosso da ragioni sostanzialmente politiche. Tuttavia, giungere ad una contrapposizione così estrema tra giustizia umana e giustizia divina non è affatto necessario per spiegare l’apparente contraddizione delle parole di Gesù. Anzi, la spiegazione più coerente col testo pare essere quella che prende le mosse da quell’altro significato biblico del termine “giustizia” (che più volte ritroviamo nelle parole di Gesù nel corso del Vangelo), quale virtù morale propria dell’uomo che, sorretto dalla fede, si sforza di conoscere e di compiere la volontà di Dio. L’uomo giusto è colui che compie la volontà di Dio, e fare la sua volontà fino in fondo significa esporsi a insidie, pericoli e non di rado a persecuzioni. In questo senso la giustizia è causa di persecuzioni, per l’opposizione che l’uomo di Dio incontra da parte del mondo nel praticare la giustizia.
In definitiva, fare giustizia per un cristiano significa compiere giorno per giorno la volontà di Dio, nell’amore suo e del prossimo. La vera giustizia risiede nella carità, la sola che potrà salvare il mondo.
Nel corso dei secoli i filosofi si sono affannati nella ricerca di un concetto universale di giustizia, proponendo soluzioni differenti, non di rado antitetiche. Anche la sapienza biblica, che nei Vangeli trova il suo culmine, si è confrontata col tema della giustizia, andando in profondità in quel che è più di un semplice concetto astratto. La giustizia, prima ancora che una nozione, è infatti un’esigenza radicata nel cuore dell’uomo, al punto che si può sostenere che le perversioni del concetto di giustizia sono perversioni del cuore umano: un cuore arido, egoista, spento o collerico è alla base di una giustizia altrettanto arida, egocentrica e implacabile. Forte di questa consapevolezza, il Cristianesimo ha riportato correttamente il discorso sulla giustizia nella sede sua propria, che non è quella razionale-filosofica, bensì quella spirituale, morale ed esistenziale. La giustizia non a caso per la teologia cattolica è una delle quattro virtù cardinali. E non a caso è menzionata ben due volte all’interno dell’impareggiabile discorso di Gesù sulle beatitudini, tramandatoci dall’evangelista Matteo: la giustizia, quale fondamentale condizione per vivere “beati”, ci è indicata da Gesù come via che conduce alla santità. L’uomo santo, con la sua esistenza luminosa, genera giustizia e la giustizia, a sua volta, se rettamente intesa e praticata sull’esempio del Cristo, produce frutti di santità. Senza santità di vita la giustizia non è autentica e, al contrario, senza giustizia la santità diventa una pia illusione.
“Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati” (Mt 5, 6). Chi non desidera un mondo più giusto? Tutti quanti possiamo invero illuderci di rientrare all’interno di questa beatitudine. Ma chi comprende davvero le parole di Gesù? Una cosa è infatti la giustizia come la intendiamo noi e un’altra cosa è la giustizia come la intende Gesù: superfluo perfino dire che la giustizia come noi la intendiamo non sarebbe foriera di beatitudine se non corrispondesse alla giustizia come la intende Gesù. Troppo spesso, infatti, noi rimaniamo fermi ad un concetto di giustizia ancora infantile, proprio degli albori della civiltà, ossia ad un concetto di giustizia puramente retributiva. Giustizia è dare a ciascuno quello che si merita in rapporto alle proprie azioni: giustizia, in quest’ottica, è pertanto punire chi si comporta male e premiare chi agisce bene. Una nozione di giustizia, questa, ancora legata al principio del taglione e ben lontana dal comandamento dell’amore come da Cristo ci viene insegnato. “Avete inteso che fu detto: amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti” (Mt 5, 43-45). La giustizia di Dio si manifesta dunque nel far del bene al peccatore: essa si fonda non sul principio di retribuzione, ma su quello dell’amore e l’amore, per sua natura, è “sovrabbondante”. La giustizia vera non è diretta a punire il peccatore, ma a salvarlo e, anche se talvolta per correggere bisogna punire, la punizione non è mai fine a sé stessa né può essere diretta a umiliare o addirittura a distruggere chi ha errato.
La giustizia, inoltre, in senso biblico, ha carattere totale: non è solo correttezza nei rapporti interpersonali od osservanza delle regole del vivere comune, bensì anche equità nei rapporti sociali. Giustizia è anche giustizia sociale. Più volte nella Bibbia troviamo eco di questa nozione di giustizia, sia nell’antico che nel nuovo testamento: si pensi al Magnificat (“ ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote”) e al suo antecedente vetero-testamentario rappresentato dal Cantico di Anna (“i sazi sono andati a giornata per un pane, mentre gli affamati han cessato di faticare… Il Signore solleva dalla polvere il misero, innalza il povero dalle immondizie”). Avere fame e sete di giustizia significa quindi non sopportare le disuguaglianze e le ingiustizie sociali, operare concretamente perché sia rispettata la dignità del povero, perché a ciascuno sia realmente assicurato il suo pane quotidiano.
Dice ancora Gesù: “Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli” (Mt 5, 10). Queste parole potrebbero sembrare in contraddizione con le precedenti: infatti, mentre nella precedente beatitudine la giustizia viene presentata senz’altro come un valore positivo, come una virtù da coltivare, qui la medesima realtà assume una connotazione sinistra, in quanto la giustizia viene presentata come causa di persecuzione. Com’è possibile che la medesima realtà sia vista dapprima in una ottica positiva e poi in modo negativo? A quale giustizia si riferisce Gesù in questo secondo caso?
Si potrebbe tentare di superare l’impasse sostenendo che mentre in Mt 5, 6 si parla della giustizia di Dio, qui al contrario si parla della giustizia umana, imperfetta, fallibile e non di rado “ingiusta”. Di errori giudiziari la storia passata e recente, del resto, è tristemente piena. Lo stesso Gesù fu vittima della cattiva giustizia dell’uomo, condannato a seguito di un processo iniquo, mosso da ragioni sostanzialmente politiche. Tuttavia, giungere ad una contrapposizione così estrema tra giustizia umana e giustizia divina non è affatto necessario per spiegare l’apparente contraddizione delle parole di Gesù. Anzi, la spiegazione più coerente col testo pare essere quella che prende le mosse da quell’altro significato biblico del termine “giustizia” (che più volte ritroviamo nelle parole di Gesù nel corso del Vangelo), quale virtù morale propria dell’uomo che, sorretto dalla fede, si sforza di conoscere e di compiere la volontà di Dio. L’uomo giusto è colui che compie la volontà di Dio, e fare la sua volontà fino in fondo significa esporsi a insidie, pericoli e non di rado a persecuzioni. In questo senso la giustizia è causa di persecuzioni, per l’opposizione che l’uomo di Dio incontra da parte del mondo nel praticare la giustizia.
In definitiva, fare giustizia per un cristiano significa compiere giorno per giorno la volontà di Dio, nell’amore suo e del prossimo. La vera giustizia risiede nella carità, la sola che potrà salvare il mondo.
Tweet |
Sono presenti 0 commenti
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.