venerdì, novembre 11, 2011
L’emergenza educativa e il grande valore dell’educazione come strumento di libertà sono stati i temi centrali della prolusione del cardinale Carlo Caffarra all'inaugurazione dell'Anno Accademico alla Lateranense a Roma

di Carlo Mafera

“Se partiamo dalla certezza che esiste una verità circa il bene della persona, che esiste di conseguenza un bene comune fra le persone, l’eventuale controversia sulle ragioni di convinzioni, anche opposte, non diventa mai una controversia fra rivali. Diviene un incontro fra alleati nella ricerca comune della verità”. Qual è dunque il miglior antidoto al male del relativismo educativo? A tal proposito il cardinal Caffarra ha citato un verso di Virgilio: “Incipe, parve puer, risu cognoscere matrem (Virgilio, Egloga IV, 60)”. I versi virgiliani significano che l’uomo, sin da bambino, porta dentro di sé una domanda di verità (“cosa è ciò che è?”) e una domanda di bene (“ciò che è, mi è ostile o benevolente”?). La risposta è “nel modo con cui la madre gli sorride, cioè lo accoglie”. La verità è dunque nel bene. “Un volto indifferente, il volto della sfinge non fa nascere un io libero”.

Un’altra dimensione della responsabilità dell’educatore consiste nella “responsabilità di testimoniare la verità circa il bene della persona”, come fece Socrate, definito da Caffarra “il primo grande educatore in Occidente perché contro il potere ha testimoniato la verità circa il bene della persona, fino a subire la morte”. Tre sono, in definitiva, le responsabilità dell’educatore: 1) “la responsabilità della nascita di un io veramente libero e liberamente vero”; 2) “la responsabilità della custodia della verità circa il bene della persona”; 3) “la responsabilità della testimonianza alla verità circa il bene dell’uomo”. Secondo Caffarra, la sorgente di questa triplice responsabilità dell’educatore è rappresentata – sulla scia di quanto scriveva Romano Guardini – dalla responsabilizzazione dell’educando, considerato nella sua straordinaria unicità. Ed è soltanto l’amore cristiano che permette di cogliere questo aspetto, poiché “l’educazione è un affare del cuore”, ha poi concluso Caffarra citando San Giovanni Bosco.

A suo tempo - ricordava il Papa Benedetto XVI nella Lettera alla diocesi del 2008 - agli «insuccessi a cui troppo spesso vanno incontro i nostri sforzi per formare persone solide, capaci di collaborare con gli altri e di dare un senso alla propria vita», un primo ed indispensabile passo da compiere è quindi quello di recuperare in maniera decisa il carico di responsabilità che appartiene a ciascuno di noi. Un carico di responsabilità che va speso in un direzione precisa e che Benedetto XVI identifica nel dare un senso alla propria vita; in altri termini, nell’acquisire e nell’offrire ragioni per vivere. Se educare vuol dire trasmettere, comunicare e testimoniare, in modo credibile ed efficace, ragioni per vivere in maniera significativa, uno degli aspetti più preoccupanti dell’ “emergenza educativa” è, dal punto di vista antropologico, la distanza tra la domanda di ragioni per vivere - che può cambiare nei modi d’essere posta, ma che non è mai venuta meno - e le risposte che a questa domanda vengono fornite da quelle che, con un’espressione poco felice, vengono chiamate “agenzie educative”.

Uno dei libri della Bibbia, dove più di tutti emerge il tema della domande di senso è il libro di Giobbe. Questi infatti, smette di porre domande a Dio – domande che in certi momenti hanno il carattere della sfida e che rasentano anche la disperazione - solo quando Dio stesso apre la sua bocca e riapre il dialogo e la relazione con lui. Come il patriarca biblico, l’uomo contemporaneo è un uomo sempre più capace di porre domande di senso; è un uomo che ha tanti modi per esprimere il suo bisogno di relazioni autentiche. Quando al realismo delle domande e al bisogno di relazione fanno seguito risposte poco o per niente sensate, si innescano quei meccanismi che stanno portando un po’ tutti a parlare di “emergenza educativa”. E se è vera la continuità tra la vicenda di Giobbe e uno dei caratteri fondamentali dell’uomo contemporaneo, sento di poter affermare che, dal punto di vista antropologico, il primo passo per uscire dall’ emergenza è il recupero della relazione che, nel nostro contesto, assume il carattere di una “relazione educativa”.

Infatti l’ultima novità nel panorama delle relazioni terapeutiche è la nascita, non a caso, del consulente filosofico. Ciò sta a dimostrare che l’uomo contemporaneo non soffre più per problematiche psicologiche, peraltro superficiali, ma per situazioni esistenziali. I giovani, come si diceva, soffrono per non riuscire a ricevere risposte esaurienti alle loro domande di senso. Spesso viene ricordata una frase riportata da Bernanos e presente in uno dei suoi discorsi sulla libertà. Ricordando le vittime della Prima Guerra Mondiale, soprattutto quelle perite presso la trincea del bacino parigino del fiume Marne, lo scrittore francese attribuisce ai più giovani, tra i morti, un’amara constatazione: "Abbiamo chiesto ai nostri padri una ragione per vivere ed essi ci hanno mandato a morire nelle trincee". La domanda di ragioni per vivere, la domanda cioè di ragioni per non morire, rivolta da quei giovani, ma che appartiene anche alle nostre generazioni, non è stata ancora accolta nel suo carattere più profondo.

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