L'opposizione siriana al regime ha registrato oggi nuove violenze contro la popolazione civile, a poche ore dalla scadenza dell'ultimatum della Lega Araba a Damasco perché metta fine alla repressione, pena l'adozione di sanzioni
di Claudia Zichi
Alcuni attivisti hanno riferito alla televisione panaraba che forze della polizia avrebbero attaccato i sobborghi nel settore occidentale di Hama, costringendo alcune famiglie a cercare riparo altrove. Il fuoco sarebbe stato aperto anche in altre aree residenziali a Homs e a Idlib. Inoltre sarebbero ancora in corso movimenti di carri armati da un'area all'altra del Paese. La Lega Araba aveva chiesto il 2 novembre il ritiro delle forze militari dalle città, in vista della soluzione della crisi, e Damasco aveva accettato la richiesta, ma solo sulla carta: le violenze non sono mai cessate. Il nuovo ultimatum della Lega Araba scade alla mezzanotte di oggi, mentre il regime di Assad pone come condizione l'invio di una delegazione di 500 osservatori. Tuttavia secondo gli attivisti si tratta solo di un tentativo del regime di Bashar al Assad di guadagnare tempo.
Nel frattempo sale a venti morti, tra cui un bambino, il bilancio delle repressioni avvenute ieri in nel paese. Attivisti siriani hanno denunciato l'apertura del fuoco da parte dell'esercito siriano per disperdere i manifestanti, scesi in strada in diverse città del paese contro il regime di Bashar al-Asad. Anche tre uomini delle forze di sicurezza sono morti in seguito ad un’esplosione. Come ogni venerdì, ormai da marzo, sono stati organizzati cortei e assembramenti a Daraa, Homs, Deir Ezzor (est), Idleb e nella provincia di Damasco, e come ogni settimana sono cominciati tutti dopo la preghiera settimanale. I militanti pro-democrazia hanno dedicato la giornata di ieri "all'espulsione degli ambasciatori" siriani all'estero, secondo quanto emerge dall'appello pubblicato sulla pagina facebook.
Secondo quanto riferito dalla Bbc, una missione della Lega araba ha però già ottenuto il permesso di entrare nel paese per verificare la reale volontà del regime di Damasco di mettere fine alla violenta repressione contro l'opposizione e avviare un processo di pace. Mercoledì scorso Damasco era stata minacciata di pesanti sanzioni economiche se non avesse cessato le repressioni entro tre giorni. I Ministri degli Esteri riuniti a Rabat avevano dato tre giorni di tempo ad Assad per porre fine alla repressione armata, chiedendo inoltre una “soluzione della crisi senza alcun intervento straniero”. L'incontro ha confermato la sospensione di Damasco dalla Lega, a meno che non ritiri i mezzi corazzati dalle città, liberi gli oppositori arrestati e non dia inizio a colloqui con l’opposizione. Opposizione che, nel frattempo, assume un volto armato: un gruppo chiamato Free Syrian Army, composto da oltre 10mila uomini tra soldati e ufficiali disertori, ha attaccato qualche giorno fa un comando della sicurezza siriana a sud-ovest di Damasco.
Intanto la Russia sceglie di temporeggiare: Vladimir Putin ha invitato a usare "moderazione e prudenza" sulla Siria. Il premier francese Francois Fillon ha però sottolineato che "il presidente siriano, Bashar al Assad, è rimasto sordo agli appelli della comunità internazionale e non ha dato seguito alle promesse di riforma, mentre i massacri proseguono".
La Francia e il Marocco hanno intanto richiamato i loro ambasciatori da Damasco, dopo l’assalto di elementi pro-Assad alle rappresentanze diplomatiche dei due Paesi, oltre che degli Emirati arabi e del Qatar. Il portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Mark Toner, ha dichiarato che l’aumento della violenza è responsabilità del regime di Assad: “Sia molto chiaro - ha detto - che sono le tattiche brutali di Assad e del suo regime nell’affrontare ciò che è cominciato come un movimento non violento a portare ora la Siria su un sentiero molto pericoloso”.
Anche la Turchia, paese confinante ed ex-alleato della Siria, assume una posizione molto critica nei confronti del regime di Damasco: ha già cominciato ad attuare sanzioni, come lo stop di esplorazioni petrolifere congiunte, e inoltre favorisce gli oppositori al regime, ospitando un colonnello che è considerato il capo dell'Esercito siriano libero. Il premier turco Recep Tayyip Erdogan, parlando da un forum sull'economia del Mar Nero, ha esortato la comunità internazionale ad alzare la voce contro la sanguinosa repressione dei moti di protesta in Siria:”Non è possibile rimanere in silenzio di fronte alla violenza che viene usata in Siria” .
Molti analisti sottolineano che gli scontri fra forze di sicurezza e oppositori hanno ormai assunto le caratteristiche di una vera e propria guerra civile. Secondo l'ex-capo dei servizi segreti sauditi, il principe Turki al-Faisal, è evidente che Assad non vuole fermare le violenze, opponendosi a tutte le richieste di riforma del Paese. “A queste condizioni - ha sottolineato - le proteste contro il governo aumenteranno di intensità e gli uccisi saranno all’ordine del giorno. Prima o poi Assad si dovrà dimettere in un modo o nell’altro”.
Nonostante le pressioni della comunità internazionale, il totale delle vittime ammonta a 3500, di cui 300 solo nel mese di novembre. Faisal sottolinea che se si protrarrà la situazione di violenza non è da escludere un intervento al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, per dare il via a un’operazione di protezione dei civili stile Libia. Lo scenario siriano è però molto differente da quello libico: in Siria non esiste ancora oggi un’opposizione unita, sul modello del Consiglio Nazionale di Transizione di Bengasi, in grado di prendere decisioni e guidare il Paese. Gli oppositori del regime sono divisi sia sul piano tattico sia su quello ideologico: da un lato i gruppi estremisti premono per un intervento armato, dall'altro le formazioni moderate auspicano ancora per una soluzione politica guidata dalla comunità internazionale. Gli stessi nemici di Assad temono un improvviso vuoto di potere, giudicato più pericoloso della repressione continua del regime. Una vera e propria guerra civile, anche con il sostegno della Nato, potrebbe uscire dai confini siriani e far salire ancora di più le vittime civili destabilizzando tutto il Medio Oriente.
di Claudia Zichi
Alcuni attivisti hanno riferito alla televisione panaraba che forze della polizia avrebbero attaccato i sobborghi nel settore occidentale di Hama, costringendo alcune famiglie a cercare riparo altrove. Il fuoco sarebbe stato aperto anche in altre aree residenziali a Homs e a Idlib. Inoltre sarebbero ancora in corso movimenti di carri armati da un'area all'altra del Paese. La Lega Araba aveva chiesto il 2 novembre il ritiro delle forze militari dalle città, in vista della soluzione della crisi, e Damasco aveva accettato la richiesta, ma solo sulla carta: le violenze non sono mai cessate. Il nuovo ultimatum della Lega Araba scade alla mezzanotte di oggi, mentre il regime di Assad pone come condizione l'invio di una delegazione di 500 osservatori. Tuttavia secondo gli attivisti si tratta solo di un tentativo del regime di Bashar al Assad di guadagnare tempo.
Nel frattempo sale a venti morti, tra cui un bambino, il bilancio delle repressioni avvenute ieri in nel paese. Attivisti siriani hanno denunciato l'apertura del fuoco da parte dell'esercito siriano per disperdere i manifestanti, scesi in strada in diverse città del paese contro il regime di Bashar al-Asad. Anche tre uomini delle forze di sicurezza sono morti in seguito ad un’esplosione. Come ogni venerdì, ormai da marzo, sono stati organizzati cortei e assembramenti a Daraa, Homs, Deir Ezzor (est), Idleb e nella provincia di Damasco, e come ogni settimana sono cominciati tutti dopo la preghiera settimanale. I militanti pro-democrazia hanno dedicato la giornata di ieri "all'espulsione degli ambasciatori" siriani all'estero, secondo quanto emerge dall'appello pubblicato sulla pagina facebook.
Secondo quanto riferito dalla Bbc, una missione della Lega araba ha però già ottenuto il permesso di entrare nel paese per verificare la reale volontà del regime di Damasco di mettere fine alla violenta repressione contro l'opposizione e avviare un processo di pace. Mercoledì scorso Damasco era stata minacciata di pesanti sanzioni economiche se non avesse cessato le repressioni entro tre giorni. I Ministri degli Esteri riuniti a Rabat avevano dato tre giorni di tempo ad Assad per porre fine alla repressione armata, chiedendo inoltre una “soluzione della crisi senza alcun intervento straniero”. L'incontro ha confermato la sospensione di Damasco dalla Lega, a meno che non ritiri i mezzi corazzati dalle città, liberi gli oppositori arrestati e non dia inizio a colloqui con l’opposizione. Opposizione che, nel frattempo, assume un volto armato: un gruppo chiamato Free Syrian Army, composto da oltre 10mila uomini tra soldati e ufficiali disertori, ha attaccato qualche giorno fa un comando della sicurezza siriana a sud-ovest di Damasco.
Intanto la Russia sceglie di temporeggiare: Vladimir Putin ha invitato a usare "moderazione e prudenza" sulla Siria. Il premier francese Francois Fillon ha però sottolineato che "il presidente siriano, Bashar al Assad, è rimasto sordo agli appelli della comunità internazionale e non ha dato seguito alle promesse di riforma, mentre i massacri proseguono".
La Francia e il Marocco hanno intanto richiamato i loro ambasciatori da Damasco, dopo l’assalto di elementi pro-Assad alle rappresentanze diplomatiche dei due Paesi, oltre che degli Emirati arabi e del Qatar. Il portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Mark Toner, ha dichiarato che l’aumento della violenza è responsabilità del regime di Assad: “Sia molto chiaro - ha detto - che sono le tattiche brutali di Assad e del suo regime nell’affrontare ciò che è cominciato come un movimento non violento a portare ora la Siria su un sentiero molto pericoloso”.
Anche la Turchia, paese confinante ed ex-alleato della Siria, assume una posizione molto critica nei confronti del regime di Damasco: ha già cominciato ad attuare sanzioni, come lo stop di esplorazioni petrolifere congiunte, e inoltre favorisce gli oppositori al regime, ospitando un colonnello che è considerato il capo dell'Esercito siriano libero. Il premier turco Recep Tayyip Erdogan, parlando da un forum sull'economia del Mar Nero, ha esortato la comunità internazionale ad alzare la voce contro la sanguinosa repressione dei moti di protesta in Siria:”Non è possibile rimanere in silenzio di fronte alla violenza che viene usata in Siria” .
Molti analisti sottolineano che gli scontri fra forze di sicurezza e oppositori hanno ormai assunto le caratteristiche di una vera e propria guerra civile. Secondo l'ex-capo dei servizi segreti sauditi, il principe Turki al-Faisal, è evidente che Assad non vuole fermare le violenze, opponendosi a tutte le richieste di riforma del Paese. “A queste condizioni - ha sottolineato - le proteste contro il governo aumenteranno di intensità e gli uccisi saranno all’ordine del giorno. Prima o poi Assad si dovrà dimettere in un modo o nell’altro”.
Nonostante le pressioni della comunità internazionale, il totale delle vittime ammonta a 3500, di cui 300 solo nel mese di novembre. Faisal sottolinea che se si protrarrà la situazione di violenza non è da escludere un intervento al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, per dare il via a un’operazione di protezione dei civili stile Libia. Lo scenario siriano è però molto differente da quello libico: in Siria non esiste ancora oggi un’opposizione unita, sul modello del Consiglio Nazionale di Transizione di Bengasi, in grado di prendere decisioni e guidare il Paese. Gli oppositori del regime sono divisi sia sul piano tattico sia su quello ideologico: da un lato i gruppi estremisti premono per un intervento armato, dall'altro le formazioni moderate auspicano ancora per una soluzione politica guidata dalla comunità internazionale. Gli stessi nemici di Assad temono un improvviso vuoto di potere, giudicato più pericoloso della repressione continua del regime. Una vera e propria guerra civile, anche con il sostegno della Nato, potrebbe uscire dai confini siriani e far salire ancora di più le vittime civili destabilizzando tutto il Medio Oriente.
Tweet |
È presente 1 commento
la colpa è di russia e cina che da otto mesi mettono il veto in consiglio di sicurezza dell'onu, perchè purtroppo hanno diritto di veto; a causa della strana alleanza tra capitalismo e comunismo nella seconda guerra mondiale, con il diritto di veto che gli ha dato churchill, e impediscono qualsiasi intervento straniero a favore dell'opposizione siriana, cioè dei combattenti per la libertà. RUSSIA e CINA sono i veri bastardi che proteggono sempre questi regimi in sede internazionale, tranne quando sono regimi di destra. RUSSIA e CINA infatti sono due paesi che fanno sempre affari loschi con questi regimi trafficando in armi, normali chimiche o nucleari, e non hanno nessun concetto di libertà che anzi considerano dannosa per i loro scopi, mentre i comunisti italiani insistono che hanno portato in italia libertà e democrazia e vogliono far addirittura pensare che il comunismo coincide con la libertà. MORTE A PUTIN E HU JINTAO.
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.