L'opposizione denuncia brogli nelle elezioni che hanno confermato in carica Kabila. E il principale sfidante si autoproclama presidente
Città Nuova - Rimane critica la situazione nella Repubblica democratica del Congo, dove l'opposizione ha denunciato pesanti brogli nelle elezioni del 28 novembre che hanno visto la conferma in carica del presidente uscente Kabila. Sin dai giorni precedenti l'annuncio del responso delle urne le forze dell'ordine sono ricorse alla violenza per frenare le proteste: l'ong Human Rights Watch ha denunciato ieri l'uccisione di almeno 24 persone – i cui corpi sarebbero stati portati lontano dalla capitale Kinshasa, per nascondere quanto accaduto – e l'arresto di un numero imprecisato di oppositori e di semplici cittadini, oltre che ripetute violenze sui civili.
Stando ai risultati ufficiali, Kabila avrebbe ottenuto il 49 per cento dei voti, contro il 32 del principale sfidante Tsishekedi; responso confermato dalla Corte di giustizia il 16 novembre – peraltro di nomina presidenziale –, che ha rigettato l'appello dell'opposizione. Che non è l'unica a esprimere dubbi sulla regolarità del voto: varie ong, osservatori della Chiesa, gli Usa e le stesse Nazioni Unite sono dello stesso parere. Nonostante tutto, Kabila ha giurato per il suo secondo mandato quinquennale il 20 dicembre: unico capo di Stato presente, il presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe, accusato di aver instaurato un regime dittatoriale nel suo Paese e dichiarato “persona non grata” da Unione Europea e Stati Uniti (non può cioè ottenere un visto d'ingresso). L'ottantenne Tsishekedi, forte di un più vasto sostegno popolare nella capitale, non è però stato a guardare: secondo quanto riferisce l'agenzia AllAfrica.com avrebbe fatto distribuire in tutta Kinshasa mezzo milione di inviti al suo contro-giuramento, previsto per venerdì 23 allo stadio – altro segnale dell'intenzione di organizzare un evento di massa, considerata la capienza di 80 mila persone. Il timore di scontri, o addirittura di una guerra civile – come già espresso dalla Santa Sede in un'intervista a La Stampa tramite Raffaello Zordan di Nigrizia – appare dunque fondato, nonostante i ripetuti appelli di Tsishekedi alla non violenza rivolti ai suoi sostenitori.
Che la situazione rimanga confusa è però dire poco: secondo il quotidiano online Congoplanet.com Tsishekedi si sarebbe autoproclamato presidente già prima che i voti venissero conteggiati, dichiarando Kabila decaduto e promettendo una ricompensa a chiunque glie l'avesse riportato in manette. Di fronte al fatto che né l'opposizione né gli osservatori abbiano fornito – almeno per ora – alcuna prova dei brogli, ironizza l'editorialista, di fronte a due persone che si proclamano presidente una soluzione ci sarebbe: rifare le elezioni, questa volta però a spese dell'Onu. La comunità internazionale è peraltro chiamata in causa anche da altre parti: un gruppo di ong ha rivolto un appello a dissociarsi dal responso delle urne, istituire una commissione internazionale di mediazione e impegnarsi affinché i responsabili degli eventuali brogli siano chiamati a rispondere delle loro azioni. Il dipartimento di Stato americano ha inviato lo scorso 20 dicembre un comunicato in cui invitava le autorità congolesi a rivedere i risultati delle elezioni e fermare le violenze, ma non è stata intrapresa nessuna azione concreta. Anche le speranze riposte nell'Unione africana, per ora, sono andate deluse.
Città Nuova - Rimane critica la situazione nella Repubblica democratica del Congo, dove l'opposizione ha denunciato pesanti brogli nelle elezioni del 28 novembre che hanno visto la conferma in carica del presidente uscente Kabila. Sin dai giorni precedenti l'annuncio del responso delle urne le forze dell'ordine sono ricorse alla violenza per frenare le proteste: l'ong Human Rights Watch ha denunciato ieri l'uccisione di almeno 24 persone – i cui corpi sarebbero stati portati lontano dalla capitale Kinshasa, per nascondere quanto accaduto – e l'arresto di un numero imprecisato di oppositori e di semplici cittadini, oltre che ripetute violenze sui civili.
Stando ai risultati ufficiali, Kabila avrebbe ottenuto il 49 per cento dei voti, contro il 32 del principale sfidante Tsishekedi; responso confermato dalla Corte di giustizia il 16 novembre – peraltro di nomina presidenziale –, che ha rigettato l'appello dell'opposizione. Che non è l'unica a esprimere dubbi sulla regolarità del voto: varie ong, osservatori della Chiesa, gli Usa e le stesse Nazioni Unite sono dello stesso parere. Nonostante tutto, Kabila ha giurato per il suo secondo mandato quinquennale il 20 dicembre: unico capo di Stato presente, il presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe, accusato di aver instaurato un regime dittatoriale nel suo Paese e dichiarato “persona non grata” da Unione Europea e Stati Uniti (non può cioè ottenere un visto d'ingresso). L'ottantenne Tsishekedi, forte di un più vasto sostegno popolare nella capitale, non è però stato a guardare: secondo quanto riferisce l'agenzia AllAfrica.com avrebbe fatto distribuire in tutta Kinshasa mezzo milione di inviti al suo contro-giuramento, previsto per venerdì 23 allo stadio – altro segnale dell'intenzione di organizzare un evento di massa, considerata la capienza di 80 mila persone. Il timore di scontri, o addirittura di una guerra civile – come già espresso dalla Santa Sede in un'intervista a La Stampa tramite Raffaello Zordan di Nigrizia – appare dunque fondato, nonostante i ripetuti appelli di Tsishekedi alla non violenza rivolti ai suoi sostenitori.
Che la situazione rimanga confusa è però dire poco: secondo il quotidiano online Congoplanet.com Tsishekedi si sarebbe autoproclamato presidente già prima che i voti venissero conteggiati, dichiarando Kabila decaduto e promettendo una ricompensa a chiunque glie l'avesse riportato in manette. Di fronte al fatto che né l'opposizione né gli osservatori abbiano fornito – almeno per ora – alcuna prova dei brogli, ironizza l'editorialista, di fronte a due persone che si proclamano presidente una soluzione ci sarebbe: rifare le elezioni, questa volta però a spese dell'Onu. La comunità internazionale è peraltro chiamata in causa anche da altre parti: un gruppo di ong ha rivolto un appello a dissociarsi dal responso delle urne, istituire una commissione internazionale di mediazione e impegnarsi affinché i responsabili degli eventuali brogli siano chiamati a rispondere delle loro azioni. Il dipartimento di Stato americano ha inviato lo scorso 20 dicembre un comunicato in cui invitava le autorità congolesi a rivedere i risultati delle elezioni e fermare le violenze, ma non è stata intrapresa nessuna azione concreta. Anche le speranze riposte nell'Unione africana, per ora, sono andate deluse.
Chiara Andreola
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