Nel racconto dell’evangelista Luca dell’incontro dei pastori con Gesù bambino troviamo in estrema sintesi il senso del Santo Natale. Una breve “incursione” nel mistero dell’ Incarnazione, centro della nostra fede e punto di partenza per una rinnovata comprensione di Dio e della storia.
C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama». Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». (Lc 2, 8-15)
“E il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1, 14): ecco riassunto lapidariamente il significato del Santo Natale. In questa solennità il cristiano non si limita a fare memoria della venuta al mondo di Gesù, ma celebra il mistero centrale di tutta la Fede, ossia il mistero dell’Incarnazione: Dio che si fa uomo, entrando nella storia come uno di noi, simile a noi in tutto fuorché nel peccato.
L’eternità irrompe nella storia, mutando la stessa comprensione degli eventi. Fede e storia, da quel momento, non sono più mondi separati, bensì realtà strettamente correlate: la fede nasce dagli avvenimenti, vive nella storia, interpreta la storia e si fa essa stessa storia. Ma cambia anche la comprensione di Dio: non più lontano, non più indifferente alle pene e alle vicende umane, ma nostro compagno di viaggio in quell’avventura stupenda che è la vita. Col cristianesimo Dio diventa l’Emmanuel, il Dio-con-noi, il Dio che ha cura di noi e che ci invita a prenderci cura gli uni degli altri. Nella persona di Gesù, infatti, Dio si è fatto a noi prossimo, perché anche noi imparassimo a farci “prossimi” ai nostri fratelli in umanità.
Con la sua incarnazione, Dio ha voluto eliminare ogni distanza, annullare ogni barriera che lo separasse da noi, ivi compresa la barriera del peccato. Non a caso Egli, nel manifestarsi nelle vesti di un umile infante, per primo si rivela a dei pastori, simbolo dell’umanità povera e peccatrice (non dimentichiamoci che i pastori erano gente disprezzata ai tempi di Gesù, non solo per l’umile estrazione sociale, ma anche perché avevano fama di essere ladri e rapinatori). L’evangelista Luca ci rende con estrema sobrietà i primi momenti di questo incontro di Gesù con l’umanità peccatrice ed esprime così tutta l’originalità e la potenza del messaggio cristiano, un lieto annuncio di gioia e di speranza rivolto proprio a chi, secondo l’implacabile giudizio umano, non merita né comprensione né considerazione.
Il segno del Messia Salvatore, dunque, è “un bambino avvolto in fasce adagiato in una mangiatoia” (Lc, 2, 12). Debole, indifeso, bisognoso si presenta il gran Liberatore di Israele. L’onnipotenza di Dio nascosta dietro la fragilità di un neonato: follia delle follie! Ma così facendo Dio si nasconde ai superbi e ai duri di cuore. “Veramente tu sei un Dio nascosto, Dio di Israele, salvatore”, aveva esclamato con stupore il profeta Isaia secoli addietro. Un Dio discreto è il Dio cristiano, un Dio che non ama i clamori, che non si impone con la forza dei portenti e dei miracoli, un Dio che desidera essere amato prima ancora che creduto.
L’amore, d’altro canto, non si impone, ma la sua forza è tale da saper superare difficoltà e resistenze, altrimenti insormontabili. In apparenza l’amore è debole e fragile, in realtà è la vera potenza che sostiene il mondo: questo è quel che ci insegna ancora il nostro Dio bambino. “Con le labbra dei bambini e dei lattanti hai affermato la tua forza contro i tuoi avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli” (Sal 8, 3), strategia mirabilmente attuata da Dio Padre attraverso l’incarnazione del suo Figlio.
L’incarnazione, ancora, è segno dell’estremo abbassamento di Dio. Dio, in Cristo Gesù, sembra rinunciare alle sue prerogative divine per far emergere l’essenza del suo Essere: l’amore. Se nell’Antica economia della salvezza l’amore di Dio pareva celarsi dietro la sua potenza, adesso, nella persona di Gesù, è la potenza di Dio a celarsi dietro l’amore. E se è vero che chi ama va alla ricerca della persona amata, come poteva Dio rimanere chiuso in una gloria solitaria? “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama” fa dire Luca alle schiere angeliche che incessantemente lodano Dio. Proprio perché ci ha amati, il Signore si è messo alla nostra ricerca, scegliendo di condividere la nostra stessa condizione. Se adesso noi lo cerchiamo è perché Egli per primo ci ha cercati; se possiamo conoscerlo è perché Egli per primo ha voluto conoscerci. Così i pastori, dopo l’annuncio della nascita del salvatore, possono mettersi in cammino verso Betlemme per “vedere quello che è accaduto” e che il Signore ha voluto far conoscere loro (Lc 2, 15). Lo stesso cammino ci viene proposto oggi, perché Gesù è presente ancora in mezzo a noi: “nascosto” in chi soffre, in chi è povero, in chi è debole, affamato, nudo, emarginato. E ancor oggi, come duemila anni fa, si nasconde ai superbi e si rivela a chi ha il cuore semplice e generoso, capace di accogliere e di amare. In questo sta tutta la bellezza, l’originalità e la grandezza della fede cristiana.
C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama». Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». (Lc 2, 8-15)
“E il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1, 14): ecco riassunto lapidariamente il significato del Santo Natale. In questa solennità il cristiano non si limita a fare memoria della venuta al mondo di Gesù, ma celebra il mistero centrale di tutta la Fede, ossia il mistero dell’Incarnazione: Dio che si fa uomo, entrando nella storia come uno di noi, simile a noi in tutto fuorché nel peccato.
L’eternità irrompe nella storia, mutando la stessa comprensione degli eventi. Fede e storia, da quel momento, non sono più mondi separati, bensì realtà strettamente correlate: la fede nasce dagli avvenimenti, vive nella storia, interpreta la storia e si fa essa stessa storia. Ma cambia anche la comprensione di Dio: non più lontano, non più indifferente alle pene e alle vicende umane, ma nostro compagno di viaggio in quell’avventura stupenda che è la vita. Col cristianesimo Dio diventa l’Emmanuel, il Dio-con-noi, il Dio che ha cura di noi e che ci invita a prenderci cura gli uni degli altri. Nella persona di Gesù, infatti, Dio si è fatto a noi prossimo, perché anche noi imparassimo a farci “prossimi” ai nostri fratelli in umanità.
Con la sua incarnazione, Dio ha voluto eliminare ogni distanza, annullare ogni barriera che lo separasse da noi, ivi compresa la barriera del peccato. Non a caso Egli, nel manifestarsi nelle vesti di un umile infante, per primo si rivela a dei pastori, simbolo dell’umanità povera e peccatrice (non dimentichiamoci che i pastori erano gente disprezzata ai tempi di Gesù, non solo per l’umile estrazione sociale, ma anche perché avevano fama di essere ladri e rapinatori). L’evangelista Luca ci rende con estrema sobrietà i primi momenti di questo incontro di Gesù con l’umanità peccatrice ed esprime così tutta l’originalità e la potenza del messaggio cristiano, un lieto annuncio di gioia e di speranza rivolto proprio a chi, secondo l’implacabile giudizio umano, non merita né comprensione né considerazione.
Il segno del Messia Salvatore, dunque, è “un bambino avvolto in fasce adagiato in una mangiatoia” (Lc, 2, 12). Debole, indifeso, bisognoso si presenta il gran Liberatore di Israele. L’onnipotenza di Dio nascosta dietro la fragilità di un neonato: follia delle follie! Ma così facendo Dio si nasconde ai superbi e ai duri di cuore. “Veramente tu sei un Dio nascosto, Dio di Israele, salvatore”, aveva esclamato con stupore il profeta Isaia secoli addietro. Un Dio discreto è il Dio cristiano, un Dio che non ama i clamori, che non si impone con la forza dei portenti e dei miracoli, un Dio che desidera essere amato prima ancora che creduto.
L’amore, d’altro canto, non si impone, ma la sua forza è tale da saper superare difficoltà e resistenze, altrimenti insormontabili. In apparenza l’amore è debole e fragile, in realtà è la vera potenza che sostiene il mondo: questo è quel che ci insegna ancora il nostro Dio bambino. “Con le labbra dei bambini e dei lattanti hai affermato la tua forza contro i tuoi avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli” (Sal 8, 3), strategia mirabilmente attuata da Dio Padre attraverso l’incarnazione del suo Figlio.
L’incarnazione, ancora, è segno dell’estremo abbassamento di Dio. Dio, in Cristo Gesù, sembra rinunciare alle sue prerogative divine per far emergere l’essenza del suo Essere: l’amore. Se nell’Antica economia della salvezza l’amore di Dio pareva celarsi dietro la sua potenza, adesso, nella persona di Gesù, è la potenza di Dio a celarsi dietro l’amore. E se è vero che chi ama va alla ricerca della persona amata, come poteva Dio rimanere chiuso in una gloria solitaria? “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama” fa dire Luca alle schiere angeliche che incessantemente lodano Dio. Proprio perché ci ha amati, il Signore si è messo alla nostra ricerca, scegliendo di condividere la nostra stessa condizione. Se adesso noi lo cerchiamo è perché Egli per primo ci ha cercati; se possiamo conoscerlo è perché Egli per primo ha voluto conoscerci. Così i pastori, dopo l’annuncio della nascita del salvatore, possono mettersi in cammino verso Betlemme per “vedere quello che è accaduto” e che il Signore ha voluto far conoscere loro (Lc 2, 15). Lo stesso cammino ci viene proposto oggi, perché Gesù è presente ancora in mezzo a noi: “nascosto” in chi soffre, in chi è povero, in chi è debole, affamato, nudo, emarginato. E ancor oggi, come duemila anni fa, si nasconde ai superbi e si rivela a chi ha il cuore semplice e generoso, capace di accogliere e di amare. In questo sta tutta la bellezza, l’originalità e la grandezza della fede cristiana.
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