Nella città dello shopping per eccellenza, un missionario condivide coi migranti la fede e i loro valori
È una mattina di domenica dall’aria fredda e pulita. Sbuco fuori a Notting Hill Gate, una bocca del metro londinese, e a pochi passi si sfiorano i mercatini di Portobello. Si coglie nell’aria qualche frase in italiano... i nostri sono sempre tra i primi frequentatori di questo posto, quasi per una strana devozione a una metropoli capitale dello shopping. Alla grande chiesa gotica di St Mary of the Angels mi accoglie una folta comunità cattolica, gente dei cinque continenti, nera e bianca, con i loro bambini, mentre assorbe assorta gli avvisi e la benedizione del parroco irlandese. Sciamano via tutti, poi, con fare veloce e tranquillo allo stesso tempo, mentre qualcuno sfiorandovi sussurra “Good morning”... Entra poi, alla spicciolata, un altro popolo. In pochi istanti, così, la chiesa vi sembra un meraviglioso pezzo di Portogallo. Sì, vi pare magicamente di essere trasportati in una chiesa parrocchiale paesana in terra lusitana: un’assemblea raccolta, una preghiera intensa, canti antichi, sciolti e belli.
Esprimere la fede come si è imparato da piccoli aiuta a resistere in una società totalmente differente. E in un mondo dai valori tanto diversi. Destino e challenge straordinari dei migranti. Si ripetono silenziosamente in loro stessi: "The struggle is my life"(la lotta è la mia vita), quasi ricordando le parole di Mandela. Alla fine, volgendosi verso la statua della Vergine di Fatima, una preghiera compatta e corale capta istintivamente il suo sguardo speciale per chi ha lasciato la propria terra, in cerca di dignità. Una madre non può non essere così.
Terminata la messa e i saluti, ancora due passi e incrocio Saint Sophia, la piccola cattedrale ortodossa dall'architettura bizantina, un'oasi per la diaspora greca dal 1879. Entro per un breve saluto. Anche qui si è alle ultime battute della “divina liturgia” in greco, iniziata già tre ore prima con il rito dell’incensazione di tutta la chiesa. Le luminose volte rotonde completamente rivestite di mosaico mi ricordano la basilica di san Marco nella mia terra... anche se un profumo tanto intenso di incenso vi trasporterà in un’altra fede. Altro popolo di migranti, che ritrova così – in un grande senso del sacro - la sua forza di camminare. Ognuno riparte, prendendo dalla coppa argentata del celebrante un pezzettino di pane benedetto e baciandogli devotamente la mano. La fede per un migrante è anche nutrimento.
Esco e nelle immediate vicinanze mi imbatto in una sinagoga chiusa, ma quasi di fronte St. Matthew una chiesa anglicana è ben aperta. “You are very welcome!” mi sento dire sbirciando dentro, mentre mi si offre shortbread, biscotti scozzesi tipici e un bicchiere di vino. Terminata la celebrazione, tutti sono raccolti in fondo alla chiesa con un brindisi per la partenza dell’organista che, come si sa, qui è sempre un’istituzione. Così, pur senza riuscire ad individuare il festeggiato, mi unisco discretamente a loro per qualche istante. A questo popolo, mi dico, la fede ha insegnato l’accoglienza.
Riprendo il metro per un altro quartiere lontano, Manor House, dove mi attende una comunità brasiliana. Nella moderna chiesa inglese di Saint Thomas More essa prepara febbrilmente già da qualche momento l’altare, i canti, le letture. Entriamo in processione come si costuma in Brasile insieme alla croce, i lettori e gli altri animatori. Il senso di comunità è sempre vivo. I canti acquistano un gusto di danza e le parole un sapore dolce del portoghese brasilero: qui la partecipazione è sempre corale. Amano fare la processione delle offerte, di cui l’ultimo è sempre un bambino alto poche spanne, ma che si gira serio verso il popolo per attendere immobile l’offerta dell’assemblea: tutti allora si alzano per venire a deporre la loro offerta. Movimento animato e naturale, mentre si canta. Il padre nostro, invece, li stringe tutti stretti per mano come in un abbraccio cosmico, bello e impressionate da vedersi. Sconvolge la chiesa, facendone un mappamondo. Alla fine, il benvenuto a chi arriva per la prima volta, si fa invito a presentarsi... e ciò ogni volta riserva dei volti nuovi. Ritrovarsi tra i suoi in una metropoli come questa, in cui si vivono stress e dispersione, si rivela benefico e tonificante.
In fondo alla chiesa, sulla bacheca degli avvisi, tra l’altro si legge: Love is just a word until someone comes along and gives it meaning (l’amore è solo una parola finche qualcuno arriva e gli dà un senso). Verissimo per questi migranti. Ricorda loro come anche a Natale Dio abbia fatto lo stesso. Così, attendono un bambino che ricorderà paradossalmente l’amore di Dio per noi. Stranieri gli uni agli altri. Per esserlo un po’ di meno.
È una mattina di domenica dall’aria fredda e pulita. Sbuco fuori a Notting Hill Gate, una bocca del metro londinese, e a pochi passi si sfiorano i mercatini di Portobello. Si coglie nell’aria qualche frase in italiano... i nostri sono sempre tra i primi frequentatori di questo posto, quasi per una strana devozione a una metropoli capitale dello shopping. Alla grande chiesa gotica di St Mary of the Angels mi accoglie una folta comunità cattolica, gente dei cinque continenti, nera e bianca, con i loro bambini, mentre assorbe assorta gli avvisi e la benedizione del parroco irlandese. Sciamano via tutti, poi, con fare veloce e tranquillo allo stesso tempo, mentre qualcuno sfiorandovi sussurra “Good morning”... Entra poi, alla spicciolata, un altro popolo. In pochi istanti, così, la chiesa vi sembra un meraviglioso pezzo di Portogallo. Sì, vi pare magicamente di essere trasportati in una chiesa parrocchiale paesana in terra lusitana: un’assemblea raccolta, una preghiera intensa, canti antichi, sciolti e belli.
Esprimere la fede come si è imparato da piccoli aiuta a resistere in una società totalmente differente. E in un mondo dai valori tanto diversi. Destino e challenge straordinari dei migranti. Si ripetono silenziosamente in loro stessi: "The struggle is my life"(la lotta è la mia vita), quasi ricordando le parole di Mandela. Alla fine, volgendosi verso la statua della Vergine di Fatima, una preghiera compatta e corale capta istintivamente il suo sguardo speciale per chi ha lasciato la propria terra, in cerca di dignità. Una madre non può non essere così.
Terminata la messa e i saluti, ancora due passi e incrocio Saint Sophia, la piccola cattedrale ortodossa dall'architettura bizantina, un'oasi per la diaspora greca dal 1879. Entro per un breve saluto. Anche qui si è alle ultime battute della “divina liturgia” in greco, iniziata già tre ore prima con il rito dell’incensazione di tutta la chiesa. Le luminose volte rotonde completamente rivestite di mosaico mi ricordano la basilica di san Marco nella mia terra... anche se un profumo tanto intenso di incenso vi trasporterà in un’altra fede. Altro popolo di migranti, che ritrova così – in un grande senso del sacro - la sua forza di camminare. Ognuno riparte, prendendo dalla coppa argentata del celebrante un pezzettino di pane benedetto e baciandogli devotamente la mano. La fede per un migrante è anche nutrimento.
Esco e nelle immediate vicinanze mi imbatto in una sinagoga chiusa, ma quasi di fronte St. Matthew una chiesa anglicana è ben aperta. “You are very welcome!” mi sento dire sbirciando dentro, mentre mi si offre shortbread, biscotti scozzesi tipici e un bicchiere di vino. Terminata la celebrazione, tutti sono raccolti in fondo alla chiesa con un brindisi per la partenza dell’organista che, come si sa, qui è sempre un’istituzione. Così, pur senza riuscire ad individuare il festeggiato, mi unisco discretamente a loro per qualche istante. A questo popolo, mi dico, la fede ha insegnato l’accoglienza.
Riprendo il metro per un altro quartiere lontano, Manor House, dove mi attende una comunità brasiliana. Nella moderna chiesa inglese di Saint Thomas More essa prepara febbrilmente già da qualche momento l’altare, i canti, le letture. Entriamo in processione come si costuma in Brasile insieme alla croce, i lettori e gli altri animatori. Il senso di comunità è sempre vivo. I canti acquistano un gusto di danza e le parole un sapore dolce del portoghese brasilero: qui la partecipazione è sempre corale. Amano fare la processione delle offerte, di cui l’ultimo è sempre un bambino alto poche spanne, ma che si gira serio verso il popolo per attendere immobile l’offerta dell’assemblea: tutti allora si alzano per venire a deporre la loro offerta. Movimento animato e naturale, mentre si canta. Il padre nostro, invece, li stringe tutti stretti per mano come in un abbraccio cosmico, bello e impressionate da vedersi. Sconvolge la chiesa, facendone un mappamondo. Alla fine, il benvenuto a chi arriva per la prima volta, si fa invito a presentarsi... e ciò ogni volta riserva dei volti nuovi. Ritrovarsi tra i suoi in una metropoli come questa, in cui si vivono stress e dispersione, si rivela benefico e tonificante.
In fondo alla chiesa, sulla bacheca degli avvisi, tra l’altro si legge: Love is just a word until someone comes along and gives it meaning (l’amore è solo una parola finche qualcuno arriva e gli dà un senso). Verissimo per questi migranti. Ricorda loro come anche a Natale Dio abbia fatto lo stesso. Così, attendono un bambino che ricorderà paradossalmente l’amore di Dio per noi. Stranieri gli uni agli altri. Per esserlo un po’ di meno.
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