Continua l’appuntamento con le fiabe per bambini di Silvio Foini
Quella che vi voglio raccontare oggi è la favola bella di un’amicizia. Quasi cinquanta anni fa, in una città del nord d’Italia vivevano due ragazzi che ancora non si conoscevano fra loro. Fin qui tutto normale… solo che uno era di colore e veniva dal Congo ed era nero come il carbone. Entrambi, per mantenersi agli studi, lavoravano ai mercati generali ortofrutticoli della città. S’alzavano il mattino molto presto, lavoravano per alcune ore quindi andavano a scuola. Una passione comune li legava: la boxe. Entrambi infatti praticavano da dilettanti la “noble arte” in due scuole diverse e non si erano mai incontrati né sul ring né nella vita, se non per scambiarsi un cenno di saluto durante il lavoro.
Il destino volle che in una sera d’estate toccasse proprio a loro due incrociare i guantoni in un torneo amatoriale in una città vicina. Il bianco, che chiameremo Flavio, era un ragazzone di un metro e ottantacinque; Lawrence una pantera nera dai muscoli sviluppati e guizzanti. Flavio aveva timore: certo, lui non aveva mai perduto nessuno dei sette incontri da dilettante, ma trovandosi davanti ad un avversario tanto agguerrito aveva nutrito dubbi sul prosieguo della sua imbattibilità.
L’incontro ebbe inizio e Flavio ebbe modo di saggiare la potenza dei colpi del contendente, quindi si propose di schivarli il più possibile, riuscendovi però solo in parte. Lawrence dal canto suo accusò alcuni colpi di rimando di Flavio e, fra sé, considerò la difficoltà di assicurarsi la vittoria. All’inizio del terzo ed ultimo round i due si osservarono per qualche momento scoppiando a ridere: erano entrambi con le labbra gonfie e gli zigomi tumefatti, nonostante il regolare casco protettivo obbligatorio per le competizioni fra dilettanti. Al primo scontro Lawrence, detto anche Orenz, testa a testa con Flavio sussurrò: “La finiamo qui, amico? Sono stanco di farmi male”. Flavio acconsentì di buon grado: le sberle di Orenz non erano indifferenti. Fra i fischi del centinaio di spettatori si toccarono i guantoni e si diressero ai rispettivi angoli. Fischi, insulti, urla... i due ora non li sentivano nemmeno.
Con i volti bluastri scesero alle docce poi se ne andarono assieme nella notte della città. Flavio invitò Orenz a casa propria, dove la madre riuscì far mangiare loro solo una pastina in brodo: altro non avrebbero potuto dato il dolore alle bocche.
I due divennero molto amici, smisero con i guantoni e si dedicarono agli studi finché un giorno, Orenz, assai dispiaciuto, tornò in Ghana, ma la distanza non pose termine a quella splendida amicizia. Su quel ring avevano notato che il loro sangue era rosso egualmente per entrambi e che il colore della pelle era irrilevante. Ciò che contava erano il cuore e il cervello.
Ora, quando capita che Orenz, divenuto un alto dirigente di una grande azienda del suo paese, capiti in Italia, telefona all’amico fraterno Flavio dicendogli: “Son qui per darti il resto!”. Flavio risponde che ne ha ancora un poco da dargliene… Poi si incontrano e si abbracciano felici.
Questa favola è vera amici miei, e ve l’ho raccontata per dimostrare che al di là del colore della pelle, noi siamo tutti uguali. Un saluto anche da Orenz.
Quella che vi voglio raccontare oggi è la favola bella di un’amicizia. Quasi cinquanta anni fa, in una città del nord d’Italia vivevano due ragazzi che ancora non si conoscevano fra loro. Fin qui tutto normale… solo che uno era di colore e veniva dal Congo ed era nero come il carbone. Entrambi, per mantenersi agli studi, lavoravano ai mercati generali ortofrutticoli della città. S’alzavano il mattino molto presto, lavoravano per alcune ore quindi andavano a scuola. Una passione comune li legava: la boxe. Entrambi infatti praticavano da dilettanti la “noble arte” in due scuole diverse e non si erano mai incontrati né sul ring né nella vita, se non per scambiarsi un cenno di saluto durante il lavoro.
Il destino volle che in una sera d’estate toccasse proprio a loro due incrociare i guantoni in un torneo amatoriale in una città vicina. Il bianco, che chiameremo Flavio, era un ragazzone di un metro e ottantacinque; Lawrence una pantera nera dai muscoli sviluppati e guizzanti. Flavio aveva timore: certo, lui non aveva mai perduto nessuno dei sette incontri da dilettante, ma trovandosi davanti ad un avversario tanto agguerrito aveva nutrito dubbi sul prosieguo della sua imbattibilità.
L’incontro ebbe inizio e Flavio ebbe modo di saggiare la potenza dei colpi del contendente, quindi si propose di schivarli il più possibile, riuscendovi però solo in parte. Lawrence dal canto suo accusò alcuni colpi di rimando di Flavio e, fra sé, considerò la difficoltà di assicurarsi la vittoria. All’inizio del terzo ed ultimo round i due si osservarono per qualche momento scoppiando a ridere: erano entrambi con le labbra gonfie e gli zigomi tumefatti, nonostante il regolare casco protettivo obbligatorio per le competizioni fra dilettanti. Al primo scontro Lawrence, detto anche Orenz, testa a testa con Flavio sussurrò: “La finiamo qui, amico? Sono stanco di farmi male”. Flavio acconsentì di buon grado: le sberle di Orenz non erano indifferenti. Fra i fischi del centinaio di spettatori si toccarono i guantoni e si diressero ai rispettivi angoli. Fischi, insulti, urla... i due ora non li sentivano nemmeno.
Con i volti bluastri scesero alle docce poi se ne andarono assieme nella notte della città. Flavio invitò Orenz a casa propria, dove la madre riuscì far mangiare loro solo una pastina in brodo: altro non avrebbero potuto dato il dolore alle bocche.
I due divennero molto amici, smisero con i guantoni e si dedicarono agli studi finché un giorno, Orenz, assai dispiaciuto, tornò in Ghana, ma la distanza non pose termine a quella splendida amicizia. Su quel ring avevano notato che il loro sangue era rosso egualmente per entrambi e che il colore della pelle era irrilevante. Ciò che contava erano il cuore e il cervello.
Ora, quando capita che Orenz, divenuto un alto dirigente di una grande azienda del suo paese, capiti in Italia, telefona all’amico fraterno Flavio dicendogli: “Son qui per darti il resto!”. Flavio risponde che ne ha ancora un poco da dargliene… Poi si incontrano e si abbracciano felici.
Questa favola è vera amici miei, e ve l’ho raccontata per dimostrare che al di là del colore della pelle, noi siamo tutti uguali. Un saluto anche da Orenz.
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È presente 1 commento
Finalmente una nuova favola che chiamerei lezione di vita. Compliment !!
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