«Noi cattolici vogliamo continuare a sperare nel futuro e a lavorare per un clima di fiducia, riconciliazione e tolleranza».
ACS -Al telefono con Aiuto alla Chiesa che Soffre il cardinal Vinko Puljic, arcivescovo di Sarajevo, racconta la difficile condizione dei fedeli in Bosnia ed Erzegovina: «sistematicamente discriminati». Il porporato sessantaseienne è pastore della capitale bosniaca dal 1990 - appena qualche mese prima dello scoppio della guerra – e spiega come la situazione sia degenerata in seguito agli accordi di Dayton. Il patto stipulato nel novembre del 1995 nella base militare dell’Ohio, oltre a sancire la fine del conflitto civile jugoslavo, stabilisce la suddivisione della Bosnia Erzegovina in Federazione croato-musulmana e Repubblica Srpska. «In quest’ultima la pulizia etnica è di fatto consentita, con il bene placito della comunità internazionale» denuncia ad ACS-Italia il cardinal Puljic che è nato a Priječani, proprio nell’entità serba.
ACS -Al telefono con Aiuto alla Chiesa che Soffre il cardinal Vinko Puljic, arcivescovo di Sarajevo, racconta la difficile condizione dei fedeli in Bosnia ed Erzegovina: «sistematicamente discriminati». Il porporato sessantaseienne è pastore della capitale bosniaca dal 1990 - appena qualche mese prima dello scoppio della guerra – e spiega come la situazione sia degenerata in seguito agli accordi di Dayton. Il patto stipulato nel novembre del 1995 nella base militare dell’Ohio, oltre a sancire la fine del conflitto civile jugoslavo, stabilisce la suddivisione della Bosnia Erzegovina in Federazione croato-musulmana e Repubblica Srpska. «In quest’ultima la pulizia etnica è di fatto consentita, con il bene placito della comunità internazionale» denuncia ad ACS-Italia il cardinal Puljic che è nato a Priječani, proprio nell’entità serba.
In quest’area la popolazione non serba è diminuita drasticamente dall’inizio della guerra nel 1991 e «nonostante le promesse internazionali» moltissimi cattolici - di origine croata - non possono ancora farvi ritorno. Lo stesso vescovo di Banja Luka, monsignor Franjo Komarica, ha dichiarato recentemente ad ACS che degli oltre 70mila i fedeli cacciati dalla sua diocesi, sono tornati solo in 5.800. «Sono più di 200mila a voler tornare a casa nella Repubblica Srpska» dichiara il cardinal Puljic.
I cattolici che vivono nella Federazione croato-musulmana sono altrettanto discriminati. «Tutto qui è in mano ai musulmani – afferma il porporato – e provano in ogni modo a farci lasciare il Paese». Le cariche politiche sono monopolio degli islamici, i fedeli sono svantaggiati nella ricerca di un posto lavoro e molte delle proprietà confiscate alla Chiesa durante il periodo comunista non sono state ancora restituite. E’ peraltro molto difficile ottenere permessi per costruire nuovi edifici religiosi, mentre solo a Sarajevo sono più di 70 le moschee «finanziate negli ultimi anni dai petrodollari sauditi». La crescente islamizzazione post bellica è frutto dell’investimento di alcuni paesi a maggioranza musulmana - Iran e Arabia Saudita su tutti – che oltre a ricostruire le moschee danneggiate e a costruirne di nuove, hanno istituito diverse madrase ed una facoltà teologica islamica. A preoccupare il cardinal Puljic è anche l’aumento della presenza wahabita. Il movimento radicale sunnita – che qui conta tra i 3mila ed i 5mila aderenti – sta compiendo un’aggressiva azione di reclutamento tra i giovani bosniaci, facendo leva sull’incertezza lavorativa e le difficoltà economiche. «E il governo non interviene in alcun modo».
L’arcivescovo di Sarajevo punta il dito contro la comunità internazionale «che dovrebbe aiutarci tutti e non continuare a favorire la maggioranza musulmana». E contro la Croazia - di dove è originaria la quasi totalità dei fedeli bosniaci – «così interessata ad entrare nell’Unione europea da averci dimenticato».
Insieme ai leader delle altre confessioni, il cardinal Puljic partecipa al Consiglio interreligioso come rappresentante dei cattolici. E dichiara di aver incontrato la disponibilità al dialogo del Gran Muftì, Mustafa Cerić. «Noi lavoriamo per trovare delle soluzioni – spiega – ma prima c’è bisogno di provvedimenti politici».
Il porporato considera la frammentazione amministrativa – il Paese è suddiviso in dieci cantoni –un’ulteriore impasse da superare. «Dobbiamo semplificare il meccanismo statale e creare un’unica entità politica che garantisca uguali diritti e assicuri il rispetto della libertà religiosa».
Intanto la comunità cattolica – pur fortemente discriminata - continua a lavorare per l’integrazione e il dialogo. «Portiamo avanti il nostro lavoro pastorale e insegniamo il rispetto e la tolleranza nelle nostre scuole, che restano aperte a tutti: cattolici, ortodossi e musulmani».
Degli 820mila cattolici che vivevano in Bosnia prima della guerra, oggi ne sono rimasti solo 460mila. Circa il 10 percento della popolazione, contro il 40 percento di islamici e il 31 percento di serbo-ortodossi. «Essere una piccola minoranza non ci impedisce di contribuire allo sviluppo della società. Siamo gli unici a battersi perché finalmente in Bosnia ed Erzegovina tutti i gruppi etnici e religiosi possano convivere pacificamente. E con pari diritti».
I cattolici che vivono nella Federazione croato-musulmana sono altrettanto discriminati. «Tutto qui è in mano ai musulmani – afferma il porporato – e provano in ogni modo a farci lasciare il Paese». Le cariche politiche sono monopolio degli islamici, i fedeli sono svantaggiati nella ricerca di un posto lavoro e molte delle proprietà confiscate alla Chiesa durante il periodo comunista non sono state ancora restituite. E’ peraltro molto difficile ottenere permessi per costruire nuovi edifici religiosi, mentre solo a Sarajevo sono più di 70 le moschee «finanziate negli ultimi anni dai petrodollari sauditi». La crescente islamizzazione post bellica è frutto dell’investimento di alcuni paesi a maggioranza musulmana - Iran e Arabia Saudita su tutti – che oltre a ricostruire le moschee danneggiate e a costruirne di nuove, hanno istituito diverse madrase ed una facoltà teologica islamica. A preoccupare il cardinal Puljic è anche l’aumento della presenza wahabita. Il movimento radicale sunnita – che qui conta tra i 3mila ed i 5mila aderenti – sta compiendo un’aggressiva azione di reclutamento tra i giovani bosniaci, facendo leva sull’incertezza lavorativa e le difficoltà economiche. «E il governo non interviene in alcun modo».
L’arcivescovo di Sarajevo punta il dito contro la comunità internazionale «che dovrebbe aiutarci tutti e non continuare a favorire la maggioranza musulmana». E contro la Croazia - di dove è originaria la quasi totalità dei fedeli bosniaci – «così interessata ad entrare nell’Unione europea da averci dimenticato».
Insieme ai leader delle altre confessioni, il cardinal Puljic partecipa al Consiglio interreligioso come rappresentante dei cattolici. E dichiara di aver incontrato la disponibilità al dialogo del Gran Muftì, Mustafa Cerić. «Noi lavoriamo per trovare delle soluzioni – spiega – ma prima c’è bisogno di provvedimenti politici».
Il porporato considera la frammentazione amministrativa – il Paese è suddiviso in dieci cantoni –un’ulteriore impasse da superare. «Dobbiamo semplificare il meccanismo statale e creare un’unica entità politica che garantisca uguali diritti e assicuri il rispetto della libertà religiosa».
Intanto la comunità cattolica – pur fortemente discriminata - continua a lavorare per l’integrazione e il dialogo. «Portiamo avanti il nostro lavoro pastorale e insegniamo il rispetto e la tolleranza nelle nostre scuole, che restano aperte a tutti: cattolici, ortodossi e musulmani».
Degli 820mila cattolici che vivevano in Bosnia prima della guerra, oggi ne sono rimasti solo 460mila. Circa il 10 percento della popolazione, contro il 40 percento di islamici e il 31 percento di serbo-ortodossi. «Essere una piccola minoranza non ci impedisce di contribuire allo sviluppo della società. Siamo gli unici a battersi perché finalmente in Bosnia ed Erzegovina tutti i gruppi etnici e religiosi possano convivere pacificamente. E con pari diritti».
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È presente 1 commento
Cardinale Puljic, Lei ha messo il dito su una piaga dolorosa, quella della pulizia etnica nella ex Jugoslavia. Però le faccio rispettosamente osservare che nel 94 in Croazia (Regione della Kraijna), tanti cristiani ortodossi (300-400mila circa), vennero cacciati dalle loro case, tra loro ovviamente tante donne e bambini, ai quali non è concesso rientrarvi nemmeno dopo quasi 20 anni ...la pulizia etnica esercitata dai cattolici è forse meno odiosa delle altre? Sempre con rispetto parlando s'intende.
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