A Kabul, una giovane donna di 30 anni è stata torturata e strangolata dal marito per aver dato alla luce la terza figlia femmina invece del tanto sospirato maschio
di Claudia Zichi
Storay era una giovane donna di 30 anni e abitava nel villaggio di Mohasili, nella provincia di Kunduz, nel remoto nord dell'Afghanistan. Sabato è stata uccisa dal marito e dalla suocera per aver partorito la terza femmina invece dell'atteso maschio. A riferire la notizia è il capo della polizia di Kunduz, Sufi Habib: "La mamma aveva partorito una bambina due mesi fa. Si trattava della terza femmina e per questo suocera e marito l'hanno strangolata". La polizia locale ha già arrestato la suocera della vittima, mentre il marito, Sher Mohammed, appartenente ad una milizia locale, è riuscito a darsi alla macchia, complice la rete di protezione fornitagli dai compagni. Quanto alla piccola, che ha due mesi, è rimasta fortunatamente illesa.
Secondo la ricostruzione fatta da alcuni funzionari, e riportata dalla Bbc, la suocera, Wali Hazrata, l'avrebbe legata mentre il marito la soffocava. Sono infatti chiari i segni di tortura sul cadavere: "E' uno dei peggiori casi di violenza che abbia mai visto, un crimine brutale commesso contro una donna innocente", ha commentato il capo del dipartimento Affari femminili della provincia di Kunduz, Nadera Geya.
L'esistenza di milizie costituisce l'ostacolo principale all'arresto del marito, ha spiegato il capo della polizia di Kunduz. Un vicino della giovane ha inoltre ricordato che Storay "viveva in un inferno, non in una casa": la giovane aveva infatti chiesto più volte al marito di deporre le armi e abbandonare la milizia spalleggiata dai politici della zona, ma la richiesta non aveva però ottenuto risultati.
La Commissione indipendente afghana per i diritti umani segnala che la violenza contro le donne è una delle piaghe più diffuse in Afghanistan: nel secondo quarto del 2011 sono stati segnalati 1.026 casi di abusi, a fronte dei 2.700 dell'intero 2010. Risale solo al mese scorso la scioccante vicenda della sposa-bambina picchiata e segregata per mesi dal marito dopo il suo rifiuto di prostituirsi.
di Claudia Zichi
Storay era una giovane donna di 30 anni e abitava nel villaggio di Mohasili, nella provincia di Kunduz, nel remoto nord dell'Afghanistan. Sabato è stata uccisa dal marito e dalla suocera per aver partorito la terza femmina invece dell'atteso maschio. A riferire la notizia è il capo della polizia di Kunduz, Sufi Habib: "La mamma aveva partorito una bambina due mesi fa. Si trattava della terza femmina e per questo suocera e marito l'hanno strangolata". La polizia locale ha già arrestato la suocera della vittima, mentre il marito, Sher Mohammed, appartenente ad una milizia locale, è riuscito a darsi alla macchia, complice la rete di protezione fornitagli dai compagni. Quanto alla piccola, che ha due mesi, è rimasta fortunatamente illesa.
Secondo la ricostruzione fatta da alcuni funzionari, e riportata dalla Bbc, la suocera, Wali Hazrata, l'avrebbe legata mentre il marito la soffocava. Sono infatti chiari i segni di tortura sul cadavere: "E' uno dei peggiori casi di violenza che abbia mai visto, un crimine brutale commesso contro una donna innocente", ha commentato il capo del dipartimento Affari femminili della provincia di Kunduz, Nadera Geya.
L'esistenza di milizie costituisce l'ostacolo principale all'arresto del marito, ha spiegato il capo della polizia di Kunduz. Un vicino della giovane ha inoltre ricordato che Storay "viveva in un inferno, non in una casa": la giovane aveva infatti chiesto più volte al marito di deporre le armi e abbandonare la milizia spalleggiata dai politici della zona, ma la richiesta non aveva però ottenuto risultati.
La Commissione indipendente afghana per i diritti umani segnala che la violenza contro le donne è una delle piaghe più diffuse in Afghanistan: nel secondo quarto del 2011 sono stati segnalati 1.026 casi di abusi, a fronte dei 2.700 dell'intero 2010. Risale solo al mese scorso la scioccante vicenda della sposa-bambina picchiata e segregata per mesi dal marito dopo il suo rifiuto di prostituirsi.
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