Cresce l’euforia in Myanmar per la campagna elettorale della Lega nazionale per la democrazia, il partito che fa capo al premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi.
Radio Vaticana - La storica oppositrice al regime militare ha ottenuto, dopo forti pressioni internazionali, l’autorizzazione a candidarsi per le elezioni suppletive del primo aprile prossimo dopo essere stata tenuta in isolamento nella propria dimora per gli ultimi 15 anni. Sui segnali di cambiamento in corso in Myanmar, Stefano Leszczynski ha intervistato Cecilia Brighi, sindacalista della Cisl esperta di questioni birmane: ascolta
R. – Alcuni di questi segnali si sono avverati, come il cambiamento delle leggi elettorali, che hanno permesso al partito di Aung San Suu Kyi di potersi candidare. Ci sono stati dei passi in avanti che noi, come organizzazioni sindacali internazionali, consideriamo ancora non sufficienti per l’eliminazione delle sanzioni, ma comunque ci sono dei passi in avanti.
D. – Quali sono i punti forti del programma di questo partito?
R. – Io ho incontrato la leader birmana a dicembre e abbiamo discusso lungamente dei cambiamenti. La sua prima richiesta è l’introduzione di regole certe; quindi di uno stato di diritto e l’attuazione concreta delle leggi. La prima è quella sulla liberazione dei prigionieri politici che ancora oggi possono essere rimessi in carcere; la possibilità che tutti i dissidenti che sono fuori possano rientrare con delle certezze nel Paese; la costruzione di una politica economica che sia sostenibile e che permetta veramente l’eliminazione della povertà; la possibilità per i lavoratori di organizzarsi anche sindacalmente.
D. – Qual è lo stato d’animo della popolazione?
R. – Gli abitanti della Birmania confidano molto nella leadership di Aung San Su Kyi, che ritengono sia ancora oggi un punto di riferimento, non solo formale, ma sostanziale, per il suo impegno ed anche per la sua capacità di intervenire sulle questioni reali del Paese. Quindi, questa grande partecipazione alle manifestazioni che si stanno svolgendo in questi giorni per il lancio della campagna elettorale rappresenta proprio questa speranza di cambiamento che la gente vuole vedere realizzarsi.
D. – Un eventuale cambiamento in Birmania che ricadute potrebbe avere a livello regionale?
R. – Ci sarà probabilmente un riequilibrio nelle dinamiche economiche, se appunto alcune questioni fondamentali si attueranno: una politica economica, una politica fiscale trasparente, uno Stato federale che dia maggiore potere e autonomia agli Stati etnici e, appunto, la possibilità che i soggetti sociali possano veramente contribuire alla costruzione di una nuova strategia politica economica, che porti dignità, giustizia sociale e crescita al Paese. Se si realizzeranno gli elementi fondamentali che chiede Aung San Suu Kyi – apertura politica, libertà vera, stato di diritto con l’autonomia della magistratura e del sistema giudiziario – forse si potrà parlare veramente di un cambiamento epocale nel Paese.(ap)
Radio Vaticana - La storica oppositrice al regime militare ha ottenuto, dopo forti pressioni internazionali, l’autorizzazione a candidarsi per le elezioni suppletive del primo aprile prossimo dopo essere stata tenuta in isolamento nella propria dimora per gli ultimi 15 anni. Sui segnali di cambiamento in corso in Myanmar, Stefano Leszczynski ha intervistato Cecilia Brighi, sindacalista della Cisl esperta di questioni birmane: ascolta
R. – Alcuni di questi segnali si sono avverati, come il cambiamento delle leggi elettorali, che hanno permesso al partito di Aung San Suu Kyi di potersi candidare. Ci sono stati dei passi in avanti che noi, come organizzazioni sindacali internazionali, consideriamo ancora non sufficienti per l’eliminazione delle sanzioni, ma comunque ci sono dei passi in avanti.
D. – Quali sono i punti forti del programma di questo partito?
R. – Io ho incontrato la leader birmana a dicembre e abbiamo discusso lungamente dei cambiamenti. La sua prima richiesta è l’introduzione di regole certe; quindi di uno stato di diritto e l’attuazione concreta delle leggi. La prima è quella sulla liberazione dei prigionieri politici che ancora oggi possono essere rimessi in carcere; la possibilità che tutti i dissidenti che sono fuori possano rientrare con delle certezze nel Paese; la costruzione di una politica economica che sia sostenibile e che permetta veramente l’eliminazione della povertà; la possibilità per i lavoratori di organizzarsi anche sindacalmente.
D. – Qual è lo stato d’animo della popolazione?
R. – Gli abitanti della Birmania confidano molto nella leadership di Aung San Su Kyi, che ritengono sia ancora oggi un punto di riferimento, non solo formale, ma sostanziale, per il suo impegno ed anche per la sua capacità di intervenire sulle questioni reali del Paese. Quindi, questa grande partecipazione alle manifestazioni che si stanno svolgendo in questi giorni per il lancio della campagna elettorale rappresenta proprio questa speranza di cambiamento che la gente vuole vedere realizzarsi.
D. – Un eventuale cambiamento in Birmania che ricadute potrebbe avere a livello regionale?
R. – Ci sarà probabilmente un riequilibrio nelle dinamiche economiche, se appunto alcune questioni fondamentali si attueranno: una politica economica, una politica fiscale trasparente, uno Stato federale che dia maggiore potere e autonomia agli Stati etnici e, appunto, la possibilità che i soggetti sociali possano veramente contribuire alla costruzione di una nuova strategia politica economica, che porti dignità, giustizia sociale e crescita al Paese. Se si realizzeranno gli elementi fondamentali che chiede Aung San Suu Kyi – apertura politica, libertà vera, stato di diritto con l’autonomia della magistratura e del sistema giudiziario – forse si potrà parlare veramente di un cambiamento epocale nel Paese.(ap)
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