La Siria punta il dito contro bande di ''terroristi armati'' per l'attacco in cui ieri ad Homs è rimasto ucciso il giornalista francese di "France 2", Gilles Jacquier, mentre assisteva ad un raduno dei fedelissimi del presidente Bashar al Assad.
Radio Vaticana - Parigi invoca l’immediata apertura di un’inchiesta. Sulla stessa linea anche l’Unione europea. Per un ricordo del reporter che ha perso la vita in Siria, ascoltiamo Domenico Affinito, vicepresidente di "Reporter Senza Frontiere Italia", intervistato da Salvatore Sabatino: ascolta
R. - Aveva vinto da noi il Premio "laria Alpi" e aveva vinto in Francia il Premio "Bayeux Calvados”, che è un premio molto importante che viene dato, appunto, ai reportages internazionali. Era un giornalista molto esperto, era un giornalista che conosceva bene le zone di guerra, sapeva muoversi;
ovviamente, è successo quello che alcune volte accade nei teatri con forti tensioni sociali: si è trovato nel momento sbagliato nel posto sbagliato.
D. – I Paesi dove sono in corso guerre, sono ancora i più pericolosi, o ci sono altri scenari che non hanno in questo momento forti momenti di tensione, ma in cui fare il reporter, fare il giornalista è ancora pericoloso?
R. – Sono due le tipologie dei Paesi in cui un giornalista rischia la vita: quelli nei quali ci sono attivi focolai di guerra o tensioni sociali molto forti, oppure i Paesi nei quali ci sono regimi dittatoriali, o la presenza di forti interessi legati alla criminalità organizzata.
D. – Ci sono poi Paesi che sono "paradisi", frequentati da milioni di turisti, che non sono invece "paradisi" per i reporter: voi avete presentato proprio pochi giorni fa un rapporto molto importante, da questo punto di vista …
R. – Sì: ci sono Paesi, come le Maldive, avevamo citato anche le Seychelles, Cuba dove tutto il mondo – soprattutto il mondo occidentale – è abituato a recarsi come turista; proprio in questi Paesi spesso le persone che vanno e portano economia non sanno che dietro, invece, ci sono problematiche molto forti, come quelle legate alla libertà di informazione e alla libertà civile e alla libertà d’espressione.
D. – Qual è la condizione del reporter, oggi?
R. – E’ sempre più difficile riuscire a fare il giornalista a dispetto di un mondo che si è globalizzato. Abbiamo la tecnologia, da una parte, che ci supporta come aiuto. Basti pensare che, ad esempio, la notizia della morte di Giovanni Paolo I è arrivata in tutto il mondo nel giro di tre mesi, mentre per Giovanni Paolo II, per sapere della sua morte in tutto il mondo, ci sono voluti tre giorni. Il mondo è cambiato completamente, con la tecnologia. Però, dall’altra parte sono aumentate anche le censure, sono aumentati gli interessi di tanti gruppi politici – dittatori, gruppi legati ad interessi economici – a far sì che l’informazione sia in qualche modo fermata, bloccata o etero-diretta. E quindi, parallelamente, è diventato sempre più difficile spostarsi, riuscire a raggiungere i luoghi dove le cose succedono. E ricordiamo che il mestiere del giornalista necessita dell’investigazione sulla realtà dei fatti che succedono, perché non c’è giornalismo se non c’è investigazione sulla realtà: quindi, presenza in loco dei reporter.
D. – La tecnologia ci viene incontro per la diffusione delle notizie; però, la tecnologia viene utilizzata anche in senso contrario. C’è un’applicazione, ad esempio, di un noto cellulare, in Siria, che permette proprio la censura. Voi l’avete denunciato, questo fatto?
R. – Certo! Infatti, la tecnologia è un’arma a doppio taglio, e l’abbiamo visto in tante occasioni: l’abbiamo visto in Siria, recentemente, l’abbiamo visto anche in Egitto. L’utilizzo dei cellulari per mandare messaggi, per mandare false notizie … Ovviamente, la tecnologia non è né buona né cattiva; va utilizzata nel modo corretto e il giornalista, in un mondo completamente diverso, dove la carta sta scomparendo, dove Internet ed i nuovi media sono sempre più importanti, rimane quello che certifica quell’informazione, quindi quello che la rende credibile, quello che – in qualche modo – dà la possibilità agli utenti, ai cittadini di sapere che quello che viene raccontato è vero. Questa dovrebbe essere la funzione alta, per la società, del giornalista. (gf)
Radio Vaticana - Parigi invoca l’immediata apertura di un’inchiesta. Sulla stessa linea anche l’Unione europea. Per un ricordo del reporter che ha perso la vita in Siria, ascoltiamo Domenico Affinito, vicepresidente di "Reporter Senza Frontiere Italia", intervistato da Salvatore Sabatino: ascolta
R. - Aveva vinto da noi il Premio "laria Alpi" e aveva vinto in Francia il Premio "Bayeux Calvados”, che è un premio molto importante che viene dato, appunto, ai reportages internazionali. Era un giornalista molto esperto, era un giornalista che conosceva bene le zone di guerra, sapeva muoversi;
ovviamente, è successo quello che alcune volte accade nei teatri con forti tensioni sociali: si è trovato nel momento sbagliato nel posto sbagliato.
D. – I Paesi dove sono in corso guerre, sono ancora i più pericolosi, o ci sono altri scenari che non hanno in questo momento forti momenti di tensione, ma in cui fare il reporter, fare il giornalista è ancora pericoloso?
R. – Sono due le tipologie dei Paesi in cui un giornalista rischia la vita: quelli nei quali ci sono attivi focolai di guerra o tensioni sociali molto forti, oppure i Paesi nei quali ci sono regimi dittatoriali, o la presenza di forti interessi legati alla criminalità organizzata.
D. – Ci sono poi Paesi che sono "paradisi", frequentati da milioni di turisti, che non sono invece "paradisi" per i reporter: voi avete presentato proprio pochi giorni fa un rapporto molto importante, da questo punto di vista …
R. – Sì: ci sono Paesi, come le Maldive, avevamo citato anche le Seychelles, Cuba dove tutto il mondo – soprattutto il mondo occidentale – è abituato a recarsi come turista; proprio in questi Paesi spesso le persone che vanno e portano economia non sanno che dietro, invece, ci sono problematiche molto forti, come quelle legate alla libertà di informazione e alla libertà civile e alla libertà d’espressione.
D. – Qual è la condizione del reporter, oggi?
R. – E’ sempre più difficile riuscire a fare il giornalista a dispetto di un mondo che si è globalizzato. Abbiamo la tecnologia, da una parte, che ci supporta come aiuto. Basti pensare che, ad esempio, la notizia della morte di Giovanni Paolo I è arrivata in tutto il mondo nel giro di tre mesi, mentre per Giovanni Paolo II, per sapere della sua morte in tutto il mondo, ci sono voluti tre giorni. Il mondo è cambiato completamente, con la tecnologia. Però, dall’altra parte sono aumentate anche le censure, sono aumentati gli interessi di tanti gruppi politici – dittatori, gruppi legati ad interessi economici – a far sì che l’informazione sia in qualche modo fermata, bloccata o etero-diretta. E quindi, parallelamente, è diventato sempre più difficile spostarsi, riuscire a raggiungere i luoghi dove le cose succedono. E ricordiamo che il mestiere del giornalista necessita dell’investigazione sulla realtà dei fatti che succedono, perché non c’è giornalismo se non c’è investigazione sulla realtà: quindi, presenza in loco dei reporter.
D. – La tecnologia ci viene incontro per la diffusione delle notizie; però, la tecnologia viene utilizzata anche in senso contrario. C’è un’applicazione, ad esempio, di un noto cellulare, in Siria, che permette proprio la censura. Voi l’avete denunciato, questo fatto?
R. – Certo! Infatti, la tecnologia è un’arma a doppio taglio, e l’abbiamo visto in tante occasioni: l’abbiamo visto in Siria, recentemente, l’abbiamo visto anche in Egitto. L’utilizzo dei cellulari per mandare messaggi, per mandare false notizie … Ovviamente, la tecnologia non è né buona né cattiva; va utilizzata nel modo corretto e il giornalista, in un mondo completamente diverso, dove la carta sta scomparendo, dove Internet ed i nuovi media sono sempre più importanti, rimane quello che certifica quell’informazione, quindi quello che la rende credibile, quello che – in qualche modo – dà la possibilità agli utenti, ai cittadini di sapere che quello che viene raccontato è vero. Questa dovrebbe essere la funzione alta, per la società, del giornalista. (gf)
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