Come è ormai universalmente noto, i social network, da facebook a twitter, hanno avuto un ruolo importante se non fondamentale nelle proteste, sollevazioni, insurrezioni che hanno costellato il 2011, dal Nord Africa al Nord America, dalle Primavere Arabe a Occupy Wall Street. E mentre i sociologi discutono se un social network sia virtuale, ma reale, o reale ma virtuale, insomma se abbia la stessa corposità sociale del reparto di una fabbrica o di una assemblea in una scuola o di un corteo in una strada, si sta preparando nel movimento un salto di qualità, tecnico ma anche politico...
E-il mensile - Diciamola così: come può diventare possibile fare una democratica assemblea che voti e decida le azioni, le iniziative, gli obiettivi eccetera dispiegata sull’intera terra? Facebook è troppo esposto alla sorveglianza degli stati, a possibili provocazioni e/o interruzioni e/o oscuramenti, lo stesso si può dire per twitter. Allora un gruppo di militanti sta lavorando per costruire Global Square, la Piazza Globale, tagliato su misura per le esigenze di comunicazione e lotta degli indignati, siano tunisini, egiziani, spagnoli, greci, italiani, americani e chi più ne ha più ne metta. L’iniziativa nasce sull’onda della giornata mondiale dell’indignazione che ha visto il 15 ottobre 2011 mobilitarsi persone, gruppi, manifestazioni un poco dappertutto, quasi in ogni angolo del pianeta Terra. I primi risultati dovrebbero vedersi a partire da gennaio, ma alcune caratteristiche sono in parte note. Secondo quanto scritto su Roarmag.org dagli ideatori, Global Square prevederà mappe interattive delle assemblee in corso in tutto il pianeta, archivi dei documenti prodotti, la possibilità di modificarli in modo collaborativo e di discutere e votare le proposte formulate. Si tratterà inoltre, precisa Wired.com, di una piattaforma open source (a codice aperto) ma a ingresso limitato, per accedere infatti servirà la ‘garanzia’ di un iscritto conosciuto offline. Insomma si accede per cooptazione, onde ovviare al rischio che comporterebbe diffondere comunicazioni militanti e magari delicate a una catena di Sant’ Antonio più o meno casuale, composta anche di sconosciuti, e quindi con possibili “intercettazioni”, “deviazioni”, “provocazioni” , nonché accumulo di informazioni sui soggetti militanti a disposizione degli stati, e dei loro apparati repressivi.
A maggior ragione ora che l’introduzione di timeline (la nuova configurazione a forma di diario della propria pagina personale) consente di risalire in un attimo a tutto ciò che si è scritto sul social network fin dal momento dell’iscrizione. Il tentativo, insomma, è sfuggire all’occhio del grande fratello digitale che sempre più si manifesta dietro i propositi di frictionless sharing (cioè di condivisione automatica dei contenuti) e di demolizione della privacy propagandati da facebook. Ma anche twitter è diventato un luogo “pericoloso” per protestare, dato che proprio nei confronti del servizio di microblogging si moltiplicano le richieste delle autorità di accedere a dati personali degli utenti, come avvenuto per diversi profili legati a WikiLeaks e Occupy Boston – senza scomodare i software di sorveglianza on line adoperati dai regimi autoritari per identificare i dissidenti. Tutte cose vere, ma, se ci sono problemi di sorveglianza e repressione statale e parastatale, non credo bisogni cedere a una paranoia della sicurezza. La forza di Occupy sta in quella scritta, noi siamo il 99% voi l’1%. E questo novantanove per cento non può essere confinato, sbarrato, filtrato. La cooptazione, di leninista memoria, fa presto a trasformarsi in uno strumento di potere e, quindi possibile esclusione di chi eventualmente sia in disaccordo con la linea maggioritaria. Inoltre quanto più ci si muove alla luce del sole, tanto più si diventa robusti rispetto a infiltrazioni, provocazioni e altre pratiche dei servizi più o meno segreti. Comunque il progetto è “ambizioso” per fondi e intelligenze richieste, dicono gli ideatori, ma necessario per integrare e potenziare i diversi sforzi a livello locale, perché sul serio il 99% diventi attivo, avendo la possibilità di partecipare da qualunque parte del globo a elaborazioni, iniziative, decisioni. In attesa di Global Square gli attivisti stanno lavorando, parallelamente, a un network che metta in comunicazione i diversi Occupy statunitensi (il nome provvisorio è Federated General Assembly, Assemblea Generale Federata). Infine Planetary – un’associazione che si propone di rendere human-friendly i sistemi sociali – è intervenuta nel dibattito proponendo che Global Square sia gestito come una assemblea, più che come un social network.
Come possa funzionare l’utopia concreta di una assemblea globale che discuta, e magari prenda decisioni votate a maggioranza, ancora non è chiaro. Certamente però è iniziato un nuovo viaggio e si apre una nuova dimensione, mi viene da dire : una nuova frontiera, in vista di un movimento realmente globale, dalla Cina agli Usa, dall’Africa all’Europa, dalla Russia al Medio Oriente, dall’Atlantico al Pacifico al Mediterraneo.
E-il mensile - Diciamola così: come può diventare possibile fare una democratica assemblea che voti e decida le azioni, le iniziative, gli obiettivi eccetera dispiegata sull’intera terra? Facebook è troppo esposto alla sorveglianza degli stati, a possibili provocazioni e/o interruzioni e/o oscuramenti, lo stesso si può dire per twitter. Allora un gruppo di militanti sta lavorando per costruire Global Square, la Piazza Globale, tagliato su misura per le esigenze di comunicazione e lotta degli indignati, siano tunisini, egiziani, spagnoli, greci, italiani, americani e chi più ne ha più ne metta. L’iniziativa nasce sull’onda della giornata mondiale dell’indignazione che ha visto il 15 ottobre 2011 mobilitarsi persone, gruppi, manifestazioni un poco dappertutto, quasi in ogni angolo del pianeta Terra. I primi risultati dovrebbero vedersi a partire da gennaio, ma alcune caratteristiche sono in parte note. Secondo quanto scritto su Roarmag.org dagli ideatori, Global Square prevederà mappe interattive delle assemblee in corso in tutto il pianeta, archivi dei documenti prodotti, la possibilità di modificarli in modo collaborativo e di discutere e votare le proposte formulate. Si tratterà inoltre, precisa Wired.com, di una piattaforma open source (a codice aperto) ma a ingresso limitato, per accedere infatti servirà la ‘garanzia’ di un iscritto conosciuto offline. Insomma si accede per cooptazione, onde ovviare al rischio che comporterebbe diffondere comunicazioni militanti e magari delicate a una catena di Sant’ Antonio più o meno casuale, composta anche di sconosciuti, e quindi con possibili “intercettazioni”, “deviazioni”, “provocazioni” , nonché accumulo di informazioni sui soggetti militanti a disposizione degli stati, e dei loro apparati repressivi.
A maggior ragione ora che l’introduzione di timeline (la nuova configurazione a forma di diario della propria pagina personale) consente di risalire in un attimo a tutto ciò che si è scritto sul social network fin dal momento dell’iscrizione. Il tentativo, insomma, è sfuggire all’occhio del grande fratello digitale che sempre più si manifesta dietro i propositi di frictionless sharing (cioè di condivisione automatica dei contenuti) e di demolizione della privacy propagandati da facebook. Ma anche twitter è diventato un luogo “pericoloso” per protestare, dato che proprio nei confronti del servizio di microblogging si moltiplicano le richieste delle autorità di accedere a dati personali degli utenti, come avvenuto per diversi profili legati a WikiLeaks e Occupy Boston – senza scomodare i software di sorveglianza on line adoperati dai regimi autoritari per identificare i dissidenti. Tutte cose vere, ma, se ci sono problemi di sorveglianza e repressione statale e parastatale, non credo bisogni cedere a una paranoia della sicurezza. La forza di Occupy sta in quella scritta, noi siamo il 99% voi l’1%. E questo novantanove per cento non può essere confinato, sbarrato, filtrato. La cooptazione, di leninista memoria, fa presto a trasformarsi in uno strumento di potere e, quindi possibile esclusione di chi eventualmente sia in disaccordo con la linea maggioritaria. Inoltre quanto più ci si muove alla luce del sole, tanto più si diventa robusti rispetto a infiltrazioni, provocazioni e altre pratiche dei servizi più o meno segreti. Comunque il progetto è “ambizioso” per fondi e intelligenze richieste, dicono gli ideatori, ma necessario per integrare e potenziare i diversi sforzi a livello locale, perché sul serio il 99% diventi attivo, avendo la possibilità di partecipare da qualunque parte del globo a elaborazioni, iniziative, decisioni. In attesa di Global Square gli attivisti stanno lavorando, parallelamente, a un network che metta in comunicazione i diversi Occupy statunitensi (il nome provvisorio è Federated General Assembly, Assemblea Generale Federata). Infine Planetary – un’associazione che si propone di rendere human-friendly i sistemi sociali – è intervenuta nel dibattito proponendo che Global Square sia gestito come una assemblea, più che come un social network.
Come possa funzionare l’utopia concreta di una assemblea globale che discuta, e magari prenda decisioni votate a maggioranza, ancora non è chiaro. Certamente però è iniziato un nuovo viaggio e si apre una nuova dimensione, mi viene da dire : una nuova frontiera, in vista di un movimento realmente globale, dalla Cina agli Usa, dall’Africa all’Europa, dalla Russia al Medio Oriente, dall’Atlantico al Pacifico al Mediterraneo.
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