giovedì, gennaio 12, 2012
La reazione di Antonio Di Pietro: "È una scempio di democrazia, così si rischia il regime”

di Patrizio Ricci

La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le due richieste di referendum abrogativo riguardanti la legge 21 dicembre 2005. Vediamo in concreto cosa si voleva abolire: l'attuale legge elettorale è la legge che ha modificato il sistema elettorale italiano, delineando la disciplina attualmente in vigore. È stata ideata principalmente dall’on. Roberto Calderoli (e da lui stesso definita in un’intervista "una porcata", per cui il politologo Giovani Sartori l'ha chiamata "Porcellum") e sostituì le leggi 276 e 277 del 1993, il cosiddetto ‘Mattarellum’. Essa risale al 2005 e fu approvata immediatamente prima delle elezioni del 2006; in sintesi, tale legge elettorale prevede un sistema proporzionale corretto (ossia con uno sbarramento, cioè una percentuale di voti da raggiungere per poter concorrere alla ripartizione del seggi in Parlamento). Questo sistema ha determinato una riduzione drastica del numero dei partiti presenti nelle due Camere del Parlamento (sono rimasti solo sei partiti: tutti i partiti di estrema sinistra e di estrema destra sono spariti e i loro candidati hanno dovuto presentarsi in partiti più grandi). Inoltre le liste sono bloccate (non si possono esprimere cioè preferenze ma viene deciso tutto dal partito stesso) e le coalizioni si devono formare prima del voto, determinando in tal modo una pre-scelta del candidato alla Presidenza del Consiglio (mentre una volta le coalizioni si formavano dopo il voto, tenendo conto delle indicazioni dell'elettorato).

Detto questo, era da prevedere che la Corte avrebbe giudicato inammissibile un referendum di natura abrogativa, soprattutto perché proponeva, implicitamente, un quesito di natura prettamente politica, né si può trascurare il fatto che avrebbe avuto l’effetto di lasciare formalmente sprovvisto l'ordinamento di una legge elettorale. Bisognerà attendere di conoscere le motivazioni del diniego; tuttavia sembra, secondo indiscrezioni, che nel corpo del pronunciamento della Consulta dovrebbe esserci anche la sollecitazione al Parlamento di cambiare l’attuale normativa, che si giudica inadeguata e che ha elementi controversi e di dubbia costituzionalità. Ad uno stesso invito di uguale tenore, rivolto al Parlamento già nel 2008, non seguì nessun provvedimento di modifica. Conosceremo esattamente le motivazioni del rifiuto tra 20 giorni, come stabilito dalla legge.

Tempi che non ha atteso l’on. Di Pietro, che usa parole durissime “L’Italia si sta avviando, lentamente, ma inesorabilmente, verso una pericolosa deriva antidemocratica, ormai manca solo l’olio di ricino”. Ed ha aggiunto: "Si è arrivati addirittura al punto di impedire al popolo italiano di scegliere quale legge elettorale vuole”, e poi, rivolto a Napolitano: “Quella della Corte non è una scelta giuridica ma politica per fare un piacere al Capo dello Stato, alle forze politiche e alla maggioranza trasversale e inciucista che appoggia Monti, una volgarità che rischia di farci diventare un regime". Immediata la replica del Quirinale, che ha definito l’esternazione di Di Pietro "un'insinuazione volgare e del tutto gratuita che denota solo scorrettezza istituzionale".

Di tutt’altro tono il commento dell’on Maurizio Lupi: “Le sentenze della Corte si possono commentare, possono piacere o non piacere, ma si rispettano”. Ed ha però aggiunto: “P enso sia comunque indispensabile dopo questa sentenza della Corte che il Parlamento proceda autonomamente alla riforma della Legge elettorale. Il referendum e la raccolta di firme avevano segnato una evidente volontà della gente di chiedere un cambiamento” per “la partecipazione più diretta dei cittadini”. Lupi ha infine aggiunto che una simile scelta rispetta l’urgenza e l’esigenza di “essere riavvicinati e di riavvicinare i cittadini alla politica”, ed ha così concluso: “N oi crediamo che tolta l’iniziativa referendaria, che evidentemente aveva dei problemi di costituzionalità, rimanga la grande iniziativa del parlamento e della politica a cambiare una legge che deve essere cambiata”. Di pari avviso è il segretario del PD, Bersani, che ha reputato estremamente indilazionabile una riforma in sede parlamentare: ''Chi come noi ha dato un aiuto decisivo alla raccolta delle firme per il referendum elettorale non può certo gioire per la sentenza della Corte Costituzionale, ma tuttavia la rispettiamo pienamente''. Ed ha aggiunto che “ ora tocca al Parlamento agire. Noi abbiamo depositato una proposta di legge e naturalmente siamo aperti a una discussione con tutte le forze in Parlamento e in dialogo con la società. Bersani ha sottolineato che è un problema urgente, perché altrimenti “finiremo per vedere accresciuto il distacco tra i cittadini e le istituzioni”.

Tutti sembrano concordi sulla necessità di riformare la legge elettorale in senso più partecipativo per gli elettori, perché la gente possa riprendere fiducia nei partiti, cosa importantissima, specialmente nel clima attuale. Che il governo Monti riesca a creare un ambiente di maggiore serenità e fare le riforme è un chiaro sintomo che un mutamento delle procedure elettorali (e forse del sistema parlamentare) sia quantomeno necessario. Cosa debba contenere una possibile riforma lo decidano gli esperti, secondo però questo promemoria: una eventuale riforma dovrà tener conto dell’esigenza di una maggiore governabilità (abbiamo visto tutti abbondantemente che cosa vuol dire "bipolare" in Italia: la crescita esponenziale di gruppi parlamentari, la confusione istituzionale, l’antagonismo) e in secondo luogo di una maggiore rappresentatività dell'elettorato (in proposito consideriamo che se la legge elettorale fosse stata abrogata, comunque non avrebbe risolto il problema delle preferenze che i cittadini non possono dare, in quando sarebbe tornata in vigore la legge precedente che già non aveva più le preferenze). In definitiva, trovare la ricetta per una legge “più digeribile” del “Porcellum” si deve e si può.

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