Grande manifestazione di popolo nella piazza diventata il simbolo della transizione araba all’egiziana. I commenti dei partecipanti
Città Nuova - Si è riempita di nuovo, completamente, e in un clima assolutamente pacifico, dietro il Museo Egizio. L’esercito già alla vigilia aveva dato il tono della manifestazione, dichiarando di aver decretato la fine dello stato di emergenza, a partire dal 26 gennaio, e rilasciando circa duemila manifestanti imprigionati in seguito a varie manifestazioni di quest’anno. Esercito che pare ormai deciso a lasciare il governo del Paese ai Fratelli musul-mani, grandi vincitori delle elezioni per la Camera del Parlamento appena insediatosi, e probabili vincitori sia delle prossime elezioni per il Senato che di quelle di giugno per la presidenza.
Certo, dalle parole dei partecipanti alla manifestazione di ieri sembra proprio che il clima sia cambiato rispetto ad un anno fa, e che i timori per una deriva islamica del-la conduzione del Paese siano aumentati. E tuttavia il clima pacifico sembra dare speranza: il Paese ha bisogno di stabilità, anche perché l’economia conosce momenti difficilissimi, e bisogna assolutamente rimettere in moto il turismo e il commercio estero.
Nel frattempo si è tenuta la prima riunione del Parla-mento, con la sorpresa di vedere negli scranni tanti barbuti (i salafiti) e pochissime donne, appena cinque. Pochi anche i cristiani rappresentati, meno di una dozzina, cioè circa il 2 per cento degli eletti, a fronte di una presenza reale nel Paese che sfiora il 10 per cento. Quasi tutti gli eletti sono nuovi nell’ambiente parlamentare, e anche nelle procedure paiono perciò peccare di una certa goffaggine. Ma questi sono dettagli rispetto ad un atto insolito: i parlamentari islamici hanno infatti giurato sulla Costituzione, ma affermando contestualmente che non voteranno mai leggi contrarie alla shari’a, alla legge islamica.
È il tempo del realismo e della normalità, si dice anche a piazza Tahrir. I giovani e tutti i manifestanti rivendicano per gli egiziani, al di là dei timori di islamizzazione della società, un a priori fiducioso nella loro capa-cità di gestire il Paese, con la creatività e le risorse umane, culturali e spirituali loro proprie.
Città Nuova - Si è riempita di nuovo, completamente, e in un clima assolutamente pacifico, dietro il Museo Egizio. L’esercito già alla vigilia aveva dato il tono della manifestazione, dichiarando di aver decretato la fine dello stato di emergenza, a partire dal 26 gennaio, e rilasciando circa duemila manifestanti imprigionati in seguito a varie manifestazioni di quest’anno. Esercito che pare ormai deciso a lasciare il governo del Paese ai Fratelli musul-mani, grandi vincitori delle elezioni per la Camera del Parlamento appena insediatosi, e probabili vincitori sia delle prossime elezioni per il Senato che di quelle di giugno per la presidenza.
Certo, dalle parole dei partecipanti alla manifestazione di ieri sembra proprio che il clima sia cambiato rispetto ad un anno fa, e che i timori per una deriva islamica del-la conduzione del Paese siano aumentati. E tuttavia il clima pacifico sembra dare speranza: il Paese ha bisogno di stabilità, anche perché l’economia conosce momenti difficilissimi, e bisogna assolutamente rimettere in moto il turismo e il commercio estero.
Nel frattempo si è tenuta la prima riunione del Parla-mento, con la sorpresa di vedere negli scranni tanti barbuti (i salafiti) e pochissime donne, appena cinque. Pochi anche i cristiani rappresentati, meno di una dozzina, cioè circa il 2 per cento degli eletti, a fronte di una presenza reale nel Paese che sfiora il 10 per cento. Quasi tutti gli eletti sono nuovi nell’ambiente parlamentare, e anche nelle procedure paiono perciò peccare di una certa goffaggine. Ma questi sono dettagli rispetto ad un atto insolito: i parlamentari islamici hanno infatti giurato sulla Costituzione, ma affermando contestualmente che non voteranno mai leggi contrarie alla shari’a, alla legge islamica.
È il tempo del realismo e della normalità, si dice anche a piazza Tahrir. I giovani e tutti i manifestanti rivendicano per gli egiziani, al di là dei timori di islamizzazione della società, un a priori fiducioso nella loro capa-cità di gestire il Paese, con la creatività e le risorse umane, culturali e spirituali loro proprie.
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