Diecimila secondo il ministero. Poche centinaia secondo Gianni Alioti, il sindacalista sostenitore della possibile riconversione produttiva: «La green economy produce molti più posti di lavoro»
Città Nuova - I vertici militari si dimostrano, di solito, ottimisti in maniera convincente nel presentare le ricadute positive degli investimenti pubblici negli armamenti tecnologicamente avanzati. Soprattutto per quanto riguarda l'aumento dei posti di lavoro. Anche in una recente audizione in Parlamento, il ministro della Difesa, l'ammiraglio Di Paola, ha confermato i numeri circolanti da anni a proposito del progetto industriale legato all'acquisto dei caccia bombardieri JSF35: «quel programma significa crescita operativa, tecnologica e occupazionale notevole: parliamo di 10mila posti di lavoro in 40 aziende», con particolari effetti positivi sulla base militare di Cameri, in provincia di Novara.
Sono cifre che la commissione "Giustizia e pace" e quella della pastorale del lavoro della diocesi piemontese definisce apertamente, ma con poca copertura mediatica, poco verosimili. Cerchiano di verificare questi dati con Gianni Alioti, un punto di riferimento di quella parte del sindacato che, da sempre, non ha timore di indicare altre possibili politiche industriali per far crescere l'occupazione. Tesi che è difficile sostenere quando si opera in fabbrica e non in qualche aula universitaria. La paura di perdere il posto incombe sempre. L'opportunità di agganciare la grande commessa è continuamente compromessa dalla concorrenza di un mercato sempre alla ricerca di nuovi acquirenti. Alioti, da parecchi anni responsabile dell'ufficio internazionale dei metalmeccanici Cisl, fornisce analisi e cifre per una narrazione diversa. Egli stesso è stato coinvolto in un progetto di riconversione produttiva dal militare al civile, negli anni 80 all'Elsag e Piaggio Aeronautica e, negli anni 90, alla Fincantieri e nel territorio spezzino. Alioti afferma che la green economy, a parità investimenti, è in grado di produrre sei volte il numero di occupati di quello del comparto delle armi.
Cosa si sta producendo nella base di Cameri?
«Qui è iniziato l'allestimento sia della linea di assemblaggio finale degli F35 italiani eolandesi per un numero totale di 143 velivoli, sia la linea di produzione delle ali (790).L'ala del F35 e' costituita da due semiali e da due tronconidi fusoliera con parti in metallo e in composito che saranno assemblati insieme all'installazione di sistemi elettrici e idraulici. La ricaduta industriale in Italia, come compensazione all'acquisto dei 131 cacciabombardieri, oltre l'assemblaggio di 143 velivoli, è in pratica solo la costruzione di 790 ali in tutto. Un numero inferiore a quello iniziale di mille e 200, poiché il programma F35 ha già subito un ridimensionamento».
Cosa è già avvenuto nel 2011?
«Alla fine di marzo 2011 una trentina di persone fra tecnici e operai, dell'Alenia Aeronautica di Caselle, ha dato avvio alle prime attività di montaggio di tre ali. La prima consegna è prevista per marzo 2012, le successive entro agosto 2012. Nel 2011 le ore di lavoro complessive per il programma F35 per l'area piemontese (Cameri, Torino e Caselle) sono state 24mila (14 persone media-anno), che, nel 2012, saliranno a 126mila (74 persone media-anno).Queste attività fanno parte della seconda fase del programma (2009-2015), che prevede la produzione a basso ritmo di circa 500 aerei F35 di pre-serie. Per i ritardi accumulati e per i problemi tecnici evidenziati dal documento del Pentagono del 29 novembre del 2011, la fase 2 si trascinerà al 2018».
Queste operazioni cosa comporteranno dunque in termini di occupazione?
«Secondo quanto previsto, il personale addetto a Cameri per gli F35 dovrebbe raggiungere, a fine 2012, le 111 unità produttive (operai) più un certo numero di tecnici e supervisori (attualmente le persone impiegate sono circa 60). Finora, però, i lavori a Cameri, partiti nel giugno 2010, non hanno prodotto alcuna ricaduta occupazionale smentendo le dichiarazioni e rassicurazioni di Finmeccanica e Alenia Aeronautica secondo le quali l'insediamento della base militare, per quanto riguarda gli F35, non sarebbe alternativo alla missione industriale di Caselle. Invece,in pratica il personale occupato sulle linee di Cameri non sarà a "somma", ma a "sottrazione" di quello di Caselle. Alla fine, il numero di persone che lavoreranno nel sito di Cameri, fossero anche i 1816 lavoratori impiegati su tre turni di cui aveva parlato il Ministero della Difesa nel 2010 o i più realistici 600 lavoratori che ci risultano come sindacati, saranno solo in parte nuovi posti di lavoro».
Comunque i 10 mila posti di lavoro, ipotizzati come effetto della commessa dei caccia bombardieri, sono da considerarsi a livello nazionale. Quale è invece la sua previsione?
«Se consideriamo, oltre alla base di Cameri, anche tutti gli altri lavoratori che saranno impegnati in Italia (le 40 aziende di cui si parla) nel programma F35 non si supereranno le mille e 500 unità. Se togliamo alcune centinaia di nuove assunzioni a Cameri, il resto sono lavoratori già occupati in queste 40 aziende che saranno spostate sul programma F35. Per cui motivare nuovamente per ragioni occupazionali e di sviluppo industriale - come ha fatto il nuovo ministro della Difesa, Di Paola - l'ingente spesa necessaria per l'acquisto degli F35 (fossero anche 100 invece di 131) e della loro manutenzione futura, non mi pare una tesi sostenibile e di buon senso».
Il discorso non nasce certo con il governo Monti o con il precedente esecutivo di centro destra, mi pare. Non è una questione di schieramento…
«Infatti, avevo già sostenuto, nel 2007, un'analoga polemica con l'ex sottosegretario Forcieri, l'ex ministro Parisi e il generale Tricarico, dimostrando il ridottissimo saldo positivo sul piano occupazionale (oltre le modeste ricadute tecnologiche per un sub-fornitore di secondo livello) che il programma F35 avrebbe rappresentato per l'industria aerospaziale e della difesa italiana. A distanza di anni le "migliaia di nuovi posti di lavoro" dichiarati dal Ministero della Difesa e dall'Aeronautica militare (2 mila nuovi posti di lavoro subito, 10mila a regime) si sono rilevati uno specchietto per le allodole. Nonostante la partecipazione al programma F35, costato finora - ai contribuenti italiani - intorno ai 2,5 Miliardi di euro per la fase di sviluppo e industrializzazione e per gli investimenti a Cameri, l'occupazione nel settore aeronautico in Italia (senza contare le perdite consistenti nell'elettronica per la difesa) avrà nel 2012 un saldo negativo di mille e 280 unità rispetto al 2011».
Città Nuova - I vertici militari si dimostrano, di solito, ottimisti in maniera convincente nel presentare le ricadute positive degli investimenti pubblici negli armamenti tecnologicamente avanzati. Soprattutto per quanto riguarda l'aumento dei posti di lavoro. Anche in una recente audizione in Parlamento, il ministro della Difesa, l'ammiraglio Di Paola, ha confermato i numeri circolanti da anni a proposito del progetto industriale legato all'acquisto dei caccia bombardieri JSF35: «quel programma significa crescita operativa, tecnologica e occupazionale notevole: parliamo di 10mila posti di lavoro in 40 aziende», con particolari effetti positivi sulla base militare di Cameri, in provincia di Novara.
Sono cifre che la commissione "Giustizia e pace" e quella della pastorale del lavoro della diocesi piemontese definisce apertamente, ma con poca copertura mediatica, poco verosimili. Cerchiano di verificare questi dati con Gianni Alioti, un punto di riferimento di quella parte del sindacato che, da sempre, non ha timore di indicare altre possibili politiche industriali per far crescere l'occupazione. Tesi che è difficile sostenere quando si opera in fabbrica e non in qualche aula universitaria. La paura di perdere il posto incombe sempre. L'opportunità di agganciare la grande commessa è continuamente compromessa dalla concorrenza di un mercato sempre alla ricerca di nuovi acquirenti. Alioti, da parecchi anni responsabile dell'ufficio internazionale dei metalmeccanici Cisl, fornisce analisi e cifre per una narrazione diversa. Egli stesso è stato coinvolto in un progetto di riconversione produttiva dal militare al civile, negli anni 80 all'Elsag e Piaggio Aeronautica e, negli anni 90, alla Fincantieri e nel territorio spezzino. Alioti afferma che la green economy, a parità investimenti, è in grado di produrre sei volte il numero di occupati di quello del comparto delle armi.
Cosa si sta producendo nella base di Cameri?
«Qui è iniziato l'allestimento sia della linea di assemblaggio finale degli F35 italiani eolandesi per un numero totale di 143 velivoli, sia la linea di produzione delle ali (790).L'ala del F35 e' costituita da due semiali e da due tronconidi fusoliera con parti in metallo e in composito che saranno assemblati insieme all'installazione di sistemi elettrici e idraulici. La ricaduta industriale in Italia, come compensazione all'acquisto dei 131 cacciabombardieri, oltre l'assemblaggio di 143 velivoli, è in pratica solo la costruzione di 790 ali in tutto. Un numero inferiore a quello iniziale di mille e 200, poiché il programma F35 ha già subito un ridimensionamento».
Cosa è già avvenuto nel 2011?
«Alla fine di marzo 2011 una trentina di persone fra tecnici e operai, dell'Alenia Aeronautica di Caselle, ha dato avvio alle prime attività di montaggio di tre ali. La prima consegna è prevista per marzo 2012, le successive entro agosto 2012. Nel 2011 le ore di lavoro complessive per il programma F35 per l'area piemontese (Cameri, Torino e Caselle) sono state 24mila (14 persone media-anno), che, nel 2012, saliranno a 126mila (74 persone media-anno).Queste attività fanno parte della seconda fase del programma (2009-2015), che prevede la produzione a basso ritmo di circa 500 aerei F35 di pre-serie. Per i ritardi accumulati e per i problemi tecnici evidenziati dal documento del Pentagono del 29 novembre del 2011, la fase 2 si trascinerà al 2018».
Queste operazioni cosa comporteranno dunque in termini di occupazione?
«Secondo quanto previsto, il personale addetto a Cameri per gli F35 dovrebbe raggiungere, a fine 2012, le 111 unità produttive (operai) più un certo numero di tecnici e supervisori (attualmente le persone impiegate sono circa 60). Finora, però, i lavori a Cameri, partiti nel giugno 2010, non hanno prodotto alcuna ricaduta occupazionale smentendo le dichiarazioni e rassicurazioni di Finmeccanica e Alenia Aeronautica secondo le quali l'insediamento della base militare, per quanto riguarda gli F35, non sarebbe alternativo alla missione industriale di Caselle. Invece,in pratica il personale occupato sulle linee di Cameri non sarà a "somma", ma a "sottrazione" di quello di Caselle. Alla fine, il numero di persone che lavoreranno nel sito di Cameri, fossero anche i 1816 lavoratori impiegati su tre turni di cui aveva parlato il Ministero della Difesa nel 2010 o i più realistici 600 lavoratori che ci risultano come sindacati, saranno solo in parte nuovi posti di lavoro».
Comunque i 10 mila posti di lavoro, ipotizzati come effetto della commessa dei caccia bombardieri, sono da considerarsi a livello nazionale. Quale è invece la sua previsione?
«Se consideriamo, oltre alla base di Cameri, anche tutti gli altri lavoratori che saranno impegnati in Italia (le 40 aziende di cui si parla) nel programma F35 non si supereranno le mille e 500 unità. Se togliamo alcune centinaia di nuove assunzioni a Cameri, il resto sono lavoratori già occupati in queste 40 aziende che saranno spostate sul programma F35. Per cui motivare nuovamente per ragioni occupazionali e di sviluppo industriale - come ha fatto il nuovo ministro della Difesa, Di Paola - l'ingente spesa necessaria per l'acquisto degli F35 (fossero anche 100 invece di 131) e della loro manutenzione futura, non mi pare una tesi sostenibile e di buon senso».
Il discorso non nasce certo con il governo Monti o con il precedente esecutivo di centro destra, mi pare. Non è una questione di schieramento…
«Infatti, avevo già sostenuto, nel 2007, un'analoga polemica con l'ex sottosegretario Forcieri, l'ex ministro Parisi e il generale Tricarico, dimostrando il ridottissimo saldo positivo sul piano occupazionale (oltre le modeste ricadute tecnologiche per un sub-fornitore di secondo livello) che il programma F35 avrebbe rappresentato per l'industria aerospaziale e della difesa italiana. A distanza di anni le "migliaia di nuovi posti di lavoro" dichiarati dal Ministero della Difesa e dall'Aeronautica militare (2 mila nuovi posti di lavoro subito, 10mila a regime) si sono rilevati uno specchietto per le allodole. Nonostante la partecipazione al programma F35, costato finora - ai contribuenti italiani - intorno ai 2,5 Miliardi di euro per la fase di sviluppo e industrializzazione e per gli investimenti a Cameri, l'occupazione nel settore aeronautico in Italia (senza contare le perdite consistenti nell'elettronica per la difesa) avrà nel 2012 un saldo negativo di mille e 280 unità rispetto al 2011».
Carlo Cefaloni
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Sono presenti 3 commenti
meglio spendere per le olimpiadi a roma
Ottima opportunita' la produzione a Cameri degli F35, acquisiremo tecnologe d'avanguardia con ricadute fortissime sul settore civile e nache militare.
Sono armi e allora ?? Perche noi non possiamo avere un esercito bene armato e chi l'ha detto, se a qualche stronzo cattocomunista la cosa non garba lasci il paese .Viva gli F35 viva la Nato, viva l'Italia e l'occidente, abbasso quegli ipocriti finti pacifisti cazzuti della sinistra (italiana ovviamente).
Certo che costano ma sono soldi ben investiti in tecnologie che ci daranno vantaggi strategici in termini di prestigio economico e militare.
Gestisci una trattoria a Cameri?
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