Il presidente siriano Bashar El Assad cerca una via d’uscita alla crisi, che vede sempre più la comunità internazionale contro il regime di Damasco, convocando per il 26 febbraio prossimo un referendum sulla nuova Costituzione, che – a detta del capo dello Stato – aprirà una nuova era per il Paese.
Radio Vaticana - Immediata la reazione degli Stati Uniti, che hanno definito la decisione ”risibile”. Da parte sua, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon ha evocato nuovamente “crimini contro l’umanità” perpetrati dal regime. Intanto nel Paese è ancora tensione, con 11 morti nelle ultime 36 ore. Ed il futuro è incerto anche per i cristiani presenti nel Paese. A lanciare l’allarme è “Aiuto alla Chiesa che Soffre”, che attraverso le dichiarazioni dell’arcivescovo maronita di Damasco, mons. Samir Nassar, disegna uno scenario a tinte fosche. Salvatore Sabatino ha intervistato Marta Petrosillo, portavoce della fondazione :
R. - I cristiani sono molto preoccupati riguardo il loro futuro. Hanno davanti lo spauracchio dei rifugiati iracheni, che dal 2003 - dall’inizio della guerra -, hanno trovato sicurezza in Siria e soprattutto a Damasco. L’arcivescovo maronita di Damasco, l’ha definita “una sindrome irachena”. Questa incertezza del futuro è talmente forte che non si sa cosa aspettarsi. L’arcivescovo ci ha poi detto: “alla fine di ogni Messa i fedeli si dicono addio”, proprio perché non sanno se si potranno nuovamente incontrare.
D. - Una situazione molto difficile anche dal punto di vista sociale e soprattutto economico. Il vostro Paese sta attraversando un momento davvero difficile…
R. - Il Paese attraversa un momento difficile. La lira siriana ha ridotto di oltre il sessanta percento il potere di acquisto dei cittadini, poi c’è l’embargo economico… Quindi la Chiesa si trova a rispondere alle necessità dei cittadini, e il confessionale diviene un po’ il luogo del sostegno psicologico, oltre che del servizio pastorale. Le difficoltà economiche hanno colpito soprattutto la gente comune; c’è un forte aumento della disoccupazione, in più ci troviamo di fronte ad una grande penuria di gas, mancano l’elettricità, il carburante… E il tutto è reso molto più complicato dalla rigidità dell’inverno.
D. - In linea generale, possiamo dire che si sta lentamente scivolando verso una guerra civile, con la comunità internazionale che però continua ad essere divisa sulla crisi siriana..
R. – Come sappiamo, la comunità internazionale è divisa perché la Russia ha dei legami con il regime di Assad, sia di carattere commerciale - sappiamo di un commercio di armi -, sia perché il Porto di Tartus è uno degli sbocchi della Russia, e questa vuole continuare ad utilizzarlo.
D. - La Siria è un Paese diviso, diviso internamente. La Chiesa aveva un ruolo di mediazione tra le due fazioni islamiche, quella sciita e quella sunnita. Potrà nel futuro, secondo Lei, continuare a ricoprire questo ruolo?
R. - La Chiesa continua, nonostante le difficoltà, ad invitare al dialogo, a cercare di mediare. Però il problema della Chiesa ora è l’importanza della sua presenza. La Chiesa si chiede se ci potrà ancora essere un futuro, e su questo ancora non ci possiamo esprimere. Ovviamente, come è giusto che sia, la Chiesa non si schiera. Quello che spera è che finalmente il Paese possa raggiungere una democratizzazione, e soprattutto, che sia garantita la sicurezza per i cristiani. (bi)
Radio Vaticana - Immediata la reazione degli Stati Uniti, che hanno definito la decisione ”risibile”. Da parte sua, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon ha evocato nuovamente “crimini contro l’umanità” perpetrati dal regime. Intanto nel Paese è ancora tensione, con 11 morti nelle ultime 36 ore. Ed il futuro è incerto anche per i cristiani presenti nel Paese. A lanciare l’allarme è “Aiuto alla Chiesa che Soffre”, che attraverso le dichiarazioni dell’arcivescovo maronita di Damasco, mons. Samir Nassar, disegna uno scenario a tinte fosche. Salvatore Sabatino ha intervistato Marta Petrosillo, portavoce della fondazione :
R. - I cristiani sono molto preoccupati riguardo il loro futuro. Hanno davanti lo spauracchio dei rifugiati iracheni, che dal 2003 - dall’inizio della guerra -, hanno trovato sicurezza in Siria e soprattutto a Damasco. L’arcivescovo maronita di Damasco, l’ha definita “una sindrome irachena”. Questa incertezza del futuro è talmente forte che non si sa cosa aspettarsi. L’arcivescovo ci ha poi detto: “alla fine di ogni Messa i fedeli si dicono addio”, proprio perché non sanno se si potranno nuovamente incontrare.
D. - Una situazione molto difficile anche dal punto di vista sociale e soprattutto economico. Il vostro Paese sta attraversando un momento davvero difficile…
R. - Il Paese attraversa un momento difficile. La lira siriana ha ridotto di oltre il sessanta percento il potere di acquisto dei cittadini, poi c’è l’embargo economico… Quindi la Chiesa si trova a rispondere alle necessità dei cittadini, e il confessionale diviene un po’ il luogo del sostegno psicologico, oltre che del servizio pastorale. Le difficoltà economiche hanno colpito soprattutto la gente comune; c’è un forte aumento della disoccupazione, in più ci troviamo di fronte ad una grande penuria di gas, mancano l’elettricità, il carburante… E il tutto è reso molto più complicato dalla rigidità dell’inverno.
D. - In linea generale, possiamo dire che si sta lentamente scivolando verso una guerra civile, con la comunità internazionale che però continua ad essere divisa sulla crisi siriana..
R. – Come sappiamo, la comunità internazionale è divisa perché la Russia ha dei legami con il regime di Assad, sia di carattere commerciale - sappiamo di un commercio di armi -, sia perché il Porto di Tartus è uno degli sbocchi della Russia, e questa vuole continuare ad utilizzarlo.
D. - La Siria è un Paese diviso, diviso internamente. La Chiesa aveva un ruolo di mediazione tra le due fazioni islamiche, quella sciita e quella sunnita. Potrà nel futuro, secondo Lei, continuare a ricoprire questo ruolo?
R. - La Chiesa continua, nonostante le difficoltà, ad invitare al dialogo, a cercare di mediare. Però il problema della Chiesa ora è l’importanza della sua presenza. La Chiesa si chiede se ci potrà ancora essere un futuro, e su questo ancora non ci possiamo esprimere. Ovviamente, come è giusto che sia, la Chiesa non si schiera. Quello che spera è che finalmente il Paese possa raggiungere una democratizzazione, e soprattutto, che sia garantita la sicurezza per i cristiani. (bi)
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