Italia prima in Europa nel gioco d'azzardo. Miliardi di euro che attirano le mafie. Ma esiste la soluzione per uscire dal degrado
Città Nuova - I numeri servono per capire. L'Italia è il primo Paese in Europa per volume di scommesse gestite legalmente. Una cifra annuale di 76 miliardi di euro vuol dire il doppio della spesa sanitaria delle famiglie e otto volte quella dell'istruzione. Anche se la Lombardia è la regione dove si spende di più, la Capitale detiene il record del più grande edificio del continente dedicato alle sale gioco. Una sorta di tempio, posizionato nel quartiere Appio, con 900 postazioni disponibili. Molte azioni dei comitati nei quartieri cercano di mantenere l'utilità sociale di sale cinematografiche altrimenti destinate a diventare dei centri per le scommesse.
È un panorama contemporaneo quello che vede intere città e periferie senza librerie e punti di ritrovo, mentre crescono i locali, sempre aperti, dove si tenta la fortuna. Sono luoghi che si prestano per avvicinare e far cadere nel giro dell'usura quei giocatori compulsivi, cioè affetti da una patologia che riguarda almeno 800 mila persone a livello nazionale, senza gli altri due milioni che sono a rischio. Per dimostrare la loro responsabilità sociale i grandi concessionari come la Sisal (che gestisce Superenalotto e Win for life per intenderci) esibiscono collaborazioni, tramite un call center, con il reparto psichiatrico dell'Ospedale Fatebenefratelli di Milano.
Del resto basta ascoltare le testimonianze di chi si è liberato, con molta fatica, da questa dipendenza per comprendere come il meccanismo di giocare e sfidare il destino faccia parte della condizione umana. Sperare di vincere giocando qualche euro ogni tanto può essere divertente, ma non è poi così difficile arrivare a forme irrazionali in momenti di fragilità, ad esempio quando i debiti di una vita ordinaria sono tali che non possono essere onorati. Nessuno può considerarsi invulnerabile. Non è necessario aver letto Dostoevskij, anche se fa sempre bene. Sicuramente occorre, invece, partire dall'indagine coordinata da Daniele Poto per Libera per capire quale strada prendere per contrastare un fenomeno che trova abbondante spazio pubblicitario sui media.
Sappiano tutti molto bene che è praticamente inutile quell'avviso che dice «gioca il giusto». Cosa è giusto in un Paese dove stazionano oltre 400 mila slot machine, cioè una ogni 150 abitanti e il gioco d'azzardo si rivela, per fatturato, la terza impresa italiana? Senza aggiungere i 10 miliardi stimati delle scommesse illegali, dove regnano una costellazione di 41 clan mafiosi ben annidati in un settore che ha le sue evidenti porosità con il gioco d'azzardo legalizzato. L'orizzonte culturale di alcuni amministratori, come si sa, è quello che considera l'apertura di un Casinò come un volano per lo sviluppo e la crescita dell'economia.
Conoscere i numeri non serve a deprimersi, ma a saper agire in maniera coerente. Un sano buon senso si trova, per esempio, in un editoriale di Luigino Bruni per Avvenire del 4 gennaio. L'economista chiede di impedire la pubblicità del gioco d'azzardo in televisione, così come avviene per il tabacco, ma si rivolge anche a sportivi e gente dello spettacolo chiedendo di fare obiezione di coscienza, rifiutando di prestarsi per fare questo tipo di pubblicità. E, infine, fa appello alla forza dei cittadini che possono decidere di non restare indifferenti e premiare i locali, magari individuabili con un marchio, che non offrono spazi alle slot machine.
Il dossier di Libera permette di entrare nel dettaglio con 10 proposte molto concrete che iniziano dalla primaria esigenza di ridare allo Stato «il governo e la programmazione politica sulle attività di gioco di azzardo». Potrà sembrare strano ma le procedure di autorizzazione in questo campo sono state, di fatto, azzerate a partire dalla legge finanziaria approvata il 23 dicembre 2000. Nulla vieta, se non interessi consolidati, di rimettere mano all'intera materia a partire da due disegni di legge presentati in Parlamento, nel 2010 e nel 2011, per prevenire e contrastare il fenomeno dell'illegalità come il riciclaggio di denaro sporco.
Analisi e proposte ci sono. Non ci si ferma alla denuncia sterile. Si tratta solo di trovare persone coerenti pronte a trarne le conseguenze.
Carlo Cefaloni
Città Nuova - I numeri servono per capire. L'Italia è il primo Paese in Europa per volume di scommesse gestite legalmente. Una cifra annuale di 76 miliardi di euro vuol dire il doppio della spesa sanitaria delle famiglie e otto volte quella dell'istruzione. Anche se la Lombardia è la regione dove si spende di più, la Capitale detiene il record del più grande edificio del continente dedicato alle sale gioco. Una sorta di tempio, posizionato nel quartiere Appio, con 900 postazioni disponibili. Molte azioni dei comitati nei quartieri cercano di mantenere l'utilità sociale di sale cinematografiche altrimenti destinate a diventare dei centri per le scommesse.
È un panorama contemporaneo quello che vede intere città e periferie senza librerie e punti di ritrovo, mentre crescono i locali, sempre aperti, dove si tenta la fortuna. Sono luoghi che si prestano per avvicinare e far cadere nel giro dell'usura quei giocatori compulsivi, cioè affetti da una patologia che riguarda almeno 800 mila persone a livello nazionale, senza gli altri due milioni che sono a rischio. Per dimostrare la loro responsabilità sociale i grandi concessionari come la Sisal (che gestisce Superenalotto e Win for life per intenderci) esibiscono collaborazioni, tramite un call center, con il reparto psichiatrico dell'Ospedale Fatebenefratelli di Milano.
Del resto basta ascoltare le testimonianze di chi si è liberato, con molta fatica, da questa dipendenza per comprendere come il meccanismo di giocare e sfidare il destino faccia parte della condizione umana. Sperare di vincere giocando qualche euro ogni tanto può essere divertente, ma non è poi così difficile arrivare a forme irrazionali in momenti di fragilità, ad esempio quando i debiti di una vita ordinaria sono tali che non possono essere onorati. Nessuno può considerarsi invulnerabile. Non è necessario aver letto Dostoevskij, anche se fa sempre bene. Sicuramente occorre, invece, partire dall'indagine coordinata da Daniele Poto per Libera per capire quale strada prendere per contrastare un fenomeno che trova abbondante spazio pubblicitario sui media.
Sappiano tutti molto bene che è praticamente inutile quell'avviso che dice «gioca il giusto». Cosa è giusto in un Paese dove stazionano oltre 400 mila slot machine, cioè una ogni 150 abitanti e il gioco d'azzardo si rivela, per fatturato, la terza impresa italiana? Senza aggiungere i 10 miliardi stimati delle scommesse illegali, dove regnano una costellazione di 41 clan mafiosi ben annidati in un settore che ha le sue evidenti porosità con il gioco d'azzardo legalizzato. L'orizzonte culturale di alcuni amministratori, come si sa, è quello che considera l'apertura di un Casinò come un volano per lo sviluppo e la crescita dell'economia.
Conoscere i numeri non serve a deprimersi, ma a saper agire in maniera coerente. Un sano buon senso si trova, per esempio, in un editoriale di Luigino Bruni per Avvenire del 4 gennaio. L'economista chiede di impedire la pubblicità del gioco d'azzardo in televisione, così come avviene per il tabacco, ma si rivolge anche a sportivi e gente dello spettacolo chiedendo di fare obiezione di coscienza, rifiutando di prestarsi per fare questo tipo di pubblicità. E, infine, fa appello alla forza dei cittadini che possono decidere di non restare indifferenti e premiare i locali, magari individuabili con un marchio, che non offrono spazi alle slot machine.
Il dossier di Libera permette di entrare nel dettaglio con 10 proposte molto concrete che iniziano dalla primaria esigenza di ridare allo Stato «il governo e la programmazione politica sulle attività di gioco di azzardo». Potrà sembrare strano ma le procedure di autorizzazione in questo campo sono state, di fatto, azzerate a partire dalla legge finanziaria approvata il 23 dicembre 2000. Nulla vieta, se non interessi consolidati, di rimettere mano all'intera materia a partire da due disegni di legge presentati in Parlamento, nel 2010 e nel 2011, per prevenire e contrastare il fenomeno dell'illegalità come il riciclaggio di denaro sporco.
Analisi e proposte ci sono. Non ci si ferma alla denuncia sterile. Si tratta solo di trovare persone coerenti pronte a trarne le conseguenze.
Carlo Cefaloni
Tweet |
Sono presenti 0 commenti
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.