venerdì, febbraio 03, 2012
Si sta facendo strada tra osservatori e giornalisti l’idea che dalla piazza dell’Obelisco alla porte di Dakar – già ribattezzata ‘Tahrir Square’, il simbolo della rivolta egiziana – possa partire un vento di “primavera africana” simile a quello che l’anno scorso ha spazzato diversi regimi del mondo arabo.

Misna - Dopo aver esaurito le vie legali, il fronte di opposizione raccolto nel Movimento del 23 giugno (M23) che da mesi contesta la candidatura “anticostituzionale” di Abdoulaye Wade fa affidamento sulla pressione della piazza per spingere l’ottantacinquenne presidente a lasciare il potere. Una pressione che ha portato i suoi frutti: il 23 giugno scorso imponenti proteste hanno bloccato il voto in parlamento di un controverso progetto di legge che avrebbe spianato la strada a Wade autorizzando la sua rielezione al primo turno con appena il 25% dei consensi.

Da questa vittoria è nato il Movimento del 23 giugno, che raggruppa partiti di opposizione, sindacati, difensori dei diritti umani, esponenti della società civile e artisti: insieme dicono ‘Basta Wade’ e chiedono un cambiamento. Quello promesso nel 2000 dallo stesso Wade, dopo una vittoria che mise fine a 40 anni di dominio del Partito socialista (Pss).

“Non possiamo negare che ha fatto cose buone nel settore della sanità, dell’istruzione e delle infrastrutture - dice alla MISNA Naphy Samba, presidente di Amnesty Senegal - ma dopo 12 anni il bilancio è in rosso. Il popolo senegalese soffre per l’arroganza di chi sta al potere, per le ingiustizie sociali sempre più evidenti e diffuse in un paese a due velocità. Non crede più nelle istituzioni e teme una successione familiare a favore del figlio, Karim”. Secondo l’attivista, la mobilitazione popolare in difesa della Costituzione ha motivazioni profonde. “In un paese dove buona parte della popolazione è analfabeta e dunque non in grado di seguire la controversia costituzionale – dice la Samba, chiedendo verità e giustizia per le persone morte nelle recenti proteste – la gente è spinta a protestare dalle difficoltà patite quotidianamente nell’acquisto del cibo, per l’elettricità che non c’è, per la disoccupazione. Prima ancora dei diritti politici, a essere calpestati sono i diritti sociali ed economici dei senegalesi”

La presidente di Amnesty Senegal invita tutte le parti coinvolte nello scontro alla moderazione, per difendere i beni più preziosi di un paese considerato ancora un modello in Africa: la pace e la democrazia. Ai manifestanti chiede di protestare pacificamente, senza distruggere i beni pubblici, mentre da chi sta al potere si aspetta responsabilità e rispetto della Costituzione. Secondo la Samba, “ è molto grave il silenzio dell’Unione Africana durante l’ultimo vertice di Addis Abeba su quanto sta accadendo” nell’ex colonia francese. All’Unione Africana e alle democrazie consolidate la Samba rivolge un appello a “intervenire il prima possibile per evitare un nuovo scenario all’ivoriana” poiché “prevenire è sempre meglio che curare… con le armi”. Agli osservatori elettorali, in particolare quelli dell’Unione Europea, la direttrice di Amnesty Senegal chiede invece di essere “molto vigili” visto il ruolo cruciale che li aspetta il 26 febbraio.

Secondo un esperto di Africa occidentale, David Kode, intervistato dal sito d’informazione sudafricano ‘News 24’, “il Senegal è il paese d’Africa occidentale dove più degli altri ci sono gli ingredienti alla base delle rivolte arabe dello scorso anno: black-out, carovita, disoccupazione e un vecchio presidente che si aggrappa al potere”.



[VV]

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