Dalla Giornata Nazionale per la Vita dello scorso 5 febbraio sembra che il tema giovanile sia giunto concretamente all’attenzione di stampa e governo
La 34° Giornata Nazionale per la Vita, dal tema “Giovani aperti alla vita”, che la Cei ha festeggiato lo scorso 5 febbraio, è giunta dopo una settimana in cui il premier del governo Mario Monti, ospite dei programmi di Canale 5 Matrix e Tg5, ha affermato: “I giovani devono abituarsi all'idea che non avranno un posto fisso per tutta la vita. E poi, diciamolo, che monotonia". Un commento confermato proprio nelle ultime ore dal ministro dell’interno Anna Maria Cancellieri: “Noi italiani siamo fermi al posto fisso nella stessa città di fianco a mamma e papà”. E ancora sulla medesima scia è il pensiero del ministro del Lavoro Elsa Fornero: “Bisogna spalmare le tutele su tutti, non promettere il posto fisso che non si può dare. Questo vuol dire fare promesse facili, dare illusioni”.
Insomma i giovani italiani hanno avuto dai loro rappresentanti di Stato la certezza (e di questo periodo è difficile trovarne una) di una vita e di un avvenire all’insegna della precarietà. Condizione in cui versano già oggi, con (a volte) un lavoro precario e nessuna garanzia economica per il futuro. La parole dei ministri infatti non sorprendono nei contenuti, ma lasciano interdetto qualsiasi cittadino che comunque proietta nel Governo delle speranze di cambiamento. Certamente i giovani, bamboccioni o autonomi, sono le prime vittime del sistema: i dati ormai conosciuti registrano che oltre 2 milioni di ragazzi non hanno lavoro, ossia un giovane su tre. La causa di una cifra così elevata non può limitarsi soltanto al desiderio di un giovane di ambire ad un posto fisso o ad una situazione di comodo all’interno delle mura di famiglia.
In passato, in realtà, sono state approvate riforme solo apparentemente vantaggiose, di cui ora, nel clima d’urgenza, sono visibili le conseguenze: la riforma universitaria con la formula 3+2 avrebbe dovuto avvicinare lo studente alla propria vocazione professionale, con la possibilità di scegliere durante il percorso accademico se fermarsi o continuare i suoi studi. La realtà si è rivelata tutt’altro: al termine del triennio, molti giovani, per mancanza di lavoro e di relazioni tra università e aziende del territorio, sono stati quasi obbligati a continuare il loro percorso di studi. In poche parole si sono prodigati a adattati al sistema, ben descritto nel messaggio della Giornata per la Vita dai Vescovi: “Sono molte le situazioni e i problemi sociali a causa dei quali questo dono (la vita) è vilipeso, avvilito, caricato di fardelli spesso duri da sopportare … I giovani di oggi sono spesso in balìa di strumenti creati e manovrati da adulti e fonte di lauti guadagni che tendono a soffocare l’impegno nella realtà e la dedizione all’esistenza”. Le aziende e la produzione non hanno creato nuova occupazione nel corso di questi anni, rimanendo immobili e senza mai valorizzare le qualità territoriali. Non hanno mai coltivato una prospettiva di cambiamento e di progresso, attuando un lavoro sincronico con gli atenei.
I giovani studenti non hanno mai avuto il sostegno delle istituzioni nel loro percorso formativo e professionale. Sono vittime del lassismo e dell’inefficienza. Eppure non si stancano di proseguire la loro strada seppure verso l’ignoto: un dato Svimez precisa che quasi 60mila laureati si sono spostati dal Sud a Nord per motivi di lavoro (oltre 18 mila con cambio di residenza) e 1.200 sono "fuggiti" all'estero. Quindi per i giovani non è un problema allontanarsi dalla casa materna. Come non è questione di “monotonia” da posto fisso, perché uno studente, pur intraprendendo un determinato cammino formativo desideroso di realizzare le sue aspettative, è allo stesso tempo consapevole che difficilmente vedrà incarnare a pieno le conoscenze e le capacità acquisite, adeguandosi al contesto convivendo con il dubbio. E’ scritto nel messaggio: “Gli anni recenti, segnati dalla crisi economica, hanno evidenziato come sia illusoria e fragile l’idea di un progresso illimitato e a basso costo, specialmente nei campo in cui entra più in gioco il valore della persona. Ci sono curve della storia che incutono in tutti, ma soprattutto nei più giovani, un senso di inquietudine e di smarrimento”. E non basta: nonostante le incertezze i giovani, che spesso vengono inquadrati come “fissi e monotoni”, mostrano tutta la loro dinamicità anche con il volontariato: i volontari in Italia sono più di ottocentomila e il 22.1% di loro ha meno di 30 anni. Ciò significa formarsi e professionalizzarsi anche gratuitamente…
Numerose sono le polemiche che hanno riscosso le parole del premier e dei suoi ministri sui social network e sui blog. Ciò che maggiormente colpisce è il tono diretto e duro delle dichiarazioni. Ma una cosa è certa: finalmente si parla dei problemi dei giovani, si discute sui nuovi scenari in cui tutti, giovani e adulti, sono coinvolti. E il Governo è chiamato ancora di più a trovare delle soluzioni alla riforma del lavoro e agli ammortizzatori sociali, per permettere di sperare nel futuro, anche se con la precarietà o, per meglio dire, con un “lavoro dinamico”. E’ un bene che se ne parli e che si riempiano le pagine dei giornali con articoli sulla situazione giovanile.
Una persona che ha sempre parlato e comunicato al mondo intero non solo l’affetto, ma anche un’attenzione reale per i giovani, è stato Giovanni Paolo II (e non serve ricordare tutto quello che per loro ha realizzato, anche solo per svegliare la loro fede e le loro capacità di cambiamento). E’ giunta l’ora che qualcun altro si occupi concretamente delle nuove generazioni e responsabilmente le accompagni nel cammino della vita, come del resto i vescovi concludono: “Chi ama la vita non nega le difficoltà: si impegna, piuttosto, a educare i giovani a scoprire che cosa rende più aperti al manifestarsi del suo senso, a quella trascendenza a cui tutti anelano, magari a tentoni. Nasce così un atteggiamento di servizio e di dedizione alla vita degli altri che non può non commuovere e stimolare anche gli adulti”.
Allora ben vengano le parole dei ministri: finalmente si è compreso che quello del precariato giovanile è una battaglia che bisogna pur iniziare a combattere, al di là di un posto fisso monotono o di un posto vacillante. Si parli dei giovani e delle politiche a loro favore. Per troppo tempo la parola “giovane” è stata utilizzata solo come slogan e per questo, seppur nella loro durezza, le parole di Monti sono preferibili alle solite questioni teoriche, perché certamente richiamano ad una presa di coscienza della realtà che in qualche modo deve cambiare. A suo modo il premier ha aperto i giovani alla vita!
La 34° Giornata Nazionale per la Vita, dal tema “Giovani aperti alla vita”, che la Cei ha festeggiato lo scorso 5 febbraio, è giunta dopo una settimana in cui il premier del governo Mario Monti, ospite dei programmi di Canale 5 Matrix e Tg5, ha affermato: “I giovani devono abituarsi all'idea che non avranno un posto fisso per tutta la vita. E poi, diciamolo, che monotonia". Un commento confermato proprio nelle ultime ore dal ministro dell’interno Anna Maria Cancellieri: “Noi italiani siamo fermi al posto fisso nella stessa città di fianco a mamma e papà”. E ancora sulla medesima scia è il pensiero del ministro del Lavoro Elsa Fornero: “Bisogna spalmare le tutele su tutti, non promettere il posto fisso che non si può dare. Questo vuol dire fare promesse facili, dare illusioni”.
Insomma i giovani italiani hanno avuto dai loro rappresentanti di Stato la certezza (e di questo periodo è difficile trovarne una) di una vita e di un avvenire all’insegna della precarietà. Condizione in cui versano già oggi, con (a volte) un lavoro precario e nessuna garanzia economica per il futuro. La parole dei ministri infatti non sorprendono nei contenuti, ma lasciano interdetto qualsiasi cittadino che comunque proietta nel Governo delle speranze di cambiamento. Certamente i giovani, bamboccioni o autonomi, sono le prime vittime del sistema: i dati ormai conosciuti registrano che oltre 2 milioni di ragazzi non hanno lavoro, ossia un giovane su tre. La causa di una cifra così elevata non può limitarsi soltanto al desiderio di un giovane di ambire ad un posto fisso o ad una situazione di comodo all’interno delle mura di famiglia.
In passato, in realtà, sono state approvate riforme solo apparentemente vantaggiose, di cui ora, nel clima d’urgenza, sono visibili le conseguenze: la riforma universitaria con la formula 3+2 avrebbe dovuto avvicinare lo studente alla propria vocazione professionale, con la possibilità di scegliere durante il percorso accademico se fermarsi o continuare i suoi studi. La realtà si è rivelata tutt’altro: al termine del triennio, molti giovani, per mancanza di lavoro e di relazioni tra università e aziende del territorio, sono stati quasi obbligati a continuare il loro percorso di studi. In poche parole si sono prodigati a adattati al sistema, ben descritto nel messaggio della Giornata per la Vita dai Vescovi: “Sono molte le situazioni e i problemi sociali a causa dei quali questo dono (la vita) è vilipeso, avvilito, caricato di fardelli spesso duri da sopportare … I giovani di oggi sono spesso in balìa di strumenti creati e manovrati da adulti e fonte di lauti guadagni che tendono a soffocare l’impegno nella realtà e la dedizione all’esistenza”. Le aziende e la produzione non hanno creato nuova occupazione nel corso di questi anni, rimanendo immobili e senza mai valorizzare le qualità territoriali. Non hanno mai coltivato una prospettiva di cambiamento e di progresso, attuando un lavoro sincronico con gli atenei.
I giovani studenti non hanno mai avuto il sostegno delle istituzioni nel loro percorso formativo e professionale. Sono vittime del lassismo e dell’inefficienza. Eppure non si stancano di proseguire la loro strada seppure verso l’ignoto: un dato Svimez precisa che quasi 60mila laureati si sono spostati dal Sud a Nord per motivi di lavoro (oltre 18 mila con cambio di residenza) e 1.200 sono "fuggiti" all'estero. Quindi per i giovani non è un problema allontanarsi dalla casa materna. Come non è questione di “monotonia” da posto fisso, perché uno studente, pur intraprendendo un determinato cammino formativo desideroso di realizzare le sue aspettative, è allo stesso tempo consapevole che difficilmente vedrà incarnare a pieno le conoscenze e le capacità acquisite, adeguandosi al contesto convivendo con il dubbio. E’ scritto nel messaggio: “Gli anni recenti, segnati dalla crisi economica, hanno evidenziato come sia illusoria e fragile l’idea di un progresso illimitato e a basso costo, specialmente nei campo in cui entra più in gioco il valore della persona. Ci sono curve della storia che incutono in tutti, ma soprattutto nei più giovani, un senso di inquietudine e di smarrimento”. E non basta: nonostante le incertezze i giovani, che spesso vengono inquadrati come “fissi e monotoni”, mostrano tutta la loro dinamicità anche con il volontariato: i volontari in Italia sono più di ottocentomila e il 22.1% di loro ha meno di 30 anni. Ciò significa formarsi e professionalizzarsi anche gratuitamente…
Numerose sono le polemiche che hanno riscosso le parole del premier e dei suoi ministri sui social network e sui blog. Ciò che maggiormente colpisce è il tono diretto e duro delle dichiarazioni. Ma una cosa è certa: finalmente si parla dei problemi dei giovani, si discute sui nuovi scenari in cui tutti, giovani e adulti, sono coinvolti. E il Governo è chiamato ancora di più a trovare delle soluzioni alla riforma del lavoro e agli ammortizzatori sociali, per permettere di sperare nel futuro, anche se con la precarietà o, per meglio dire, con un “lavoro dinamico”. E’ un bene che se ne parli e che si riempiano le pagine dei giornali con articoli sulla situazione giovanile.
Una persona che ha sempre parlato e comunicato al mondo intero non solo l’affetto, ma anche un’attenzione reale per i giovani, è stato Giovanni Paolo II (e non serve ricordare tutto quello che per loro ha realizzato, anche solo per svegliare la loro fede e le loro capacità di cambiamento). E’ giunta l’ora che qualcun altro si occupi concretamente delle nuove generazioni e responsabilmente le accompagni nel cammino della vita, come del resto i vescovi concludono: “Chi ama la vita non nega le difficoltà: si impegna, piuttosto, a educare i giovani a scoprire che cosa rende più aperti al manifestarsi del suo senso, a quella trascendenza a cui tutti anelano, magari a tentoni. Nasce così un atteggiamento di servizio e di dedizione alla vita degli altri che non può non commuovere e stimolare anche gli adulti”.
Allora ben vengano le parole dei ministri: finalmente si è compreso che quello del precariato giovanile è una battaglia che bisogna pur iniziare a combattere, al di là di un posto fisso monotono o di un posto vacillante. Si parli dei giovani e delle politiche a loro favore. Per troppo tempo la parola “giovane” è stata utilizzata solo come slogan e per questo, seppur nella loro durezza, le parole di Monti sono preferibili alle solite questioni teoriche, perché certamente richiamano ad una presa di coscienza della realtà che in qualche modo deve cambiare. A suo modo il premier ha aperto i giovani alla vita!
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