Dalle lagune di Cajamarca minacciate dal progetto minerario Conga ieri è sgorgata la goccia che ha dato inizio alla Grande Marcia Nazionale per l’Acqua. Simultaneamente da tutti gli angoli del Perù hanno camminato fiumi fatti da uomini e donne che lottano per la difesa dell’ambiente usurpato dalle compagnie minerarie e petrolifere.
E-ilmensile -Dalla Valle del Tambo, da Cusco, dalla Oroya, da Cerro de Pasco, da Loreto e Iquitos nelle regioni amazzoniche, si sono dati il prossimo appuntamento per il 10 di febbraio a Lima, per il Forum Nazionale di Giustizia Idrica. Durante l’evento si analizzerà lo stato del diritto all’acqua sul territorio nazionale, si formuleranno proposte di legge vitali come il divieto dell’uso di cianuro e mercurio durante le lavorazioni minerarie e si presenteranno politiche dalla prospettiva dei popoli indigeni per i quali, come ricorda Magdiel Carrión presidente della Conacami (il coordinamento delle comunità colpite dalle attività minerarie), l’acqua “non è una semplice risorsa, è la nostra vita e garanzia di sopravvivenza per le future generazioni”.
La Marcia nasce in appoggio alle comunità di Cajamarca regione già duramente colpita dalle attività minerarie e recentemente protagoniste di una forte mobilitazione contro il progetto minerario Conga della statunitense Newmont, la cui realizzazione distruggerebbe un intero ecosistema di lagune andine, rifornimento di acqua per il consumo umano e per le attività agro-pastorizie a cui sono dediti i campesinos della zona.
Il caso di Cajamarca è certamente emblematico ma la maggior parte delle regioni peruviane vive la stessa problematica. Quella dell’industria estrattiva è un’attività estesa su tutto il territorio peruviano e incide sul diritto all’accesso all’acqua in due modi: da un lato necessita di un’enorme quantità di acqua in tutte le fasi di lavorazione e produzione e dall’altro è responsabile di un’inevitabile contaminazione delle falde acquifere per l’utilizzo di sostanze altamente tossiche quali il cianuro ed il mercurio. Senza contare i frequenti versamenti di greggio e di resti di lavorazione altamente inquinanti nei fiumi del bacino amazzonico da parte delle compagnie petrolifere che costellano la selva peruviana.
Come dichiara Gregorio Santos, il presidente della regione Cajamarca, il conflitto Conga si trova a un punto di stallo. Il Tavolo indetto nella città di Cajamarca il 19 dicembre scorso volto alla riapertura del dialogo era stato caratterizzato da un’assenza preoccupante, quella dei portavoce dei movimenti sociali in resistenza contro il progetto minerario.
Marco Arana, difensore ambientale della regione Cajamarca e leader del partito Tierra y Libertad, commentava l’accaduto riferendosi alla più elementare teoria della gestione dei conflitti per cui tutti gli attori coinvolti dovrebbero partecipare alle iniziative di negoziazione, dialogo o mediazione. Alla riunione erano infatti presenti solo le autorità locali e una delegazione del governo ovvero coloro che, secondo il primo ministro Oscar Valdés , godono di rappresentatività e legittimità in quanto eletti dal popolo.
Per questo Gregorio Santos si era rifiutato di firmare quel primo accordo siglato senza gli esponenti e i portavoce dei gruppi contadini, ambientalisti e delle riconosciutissime Rondas Campesinas e recentemente ha anche impugnato di fronte alla giustizia quell’atto considerano invalido e non legittimo. L’impugnazione di fatto congela la creazione di quella commissione internazionale il cui compito è di redigere una perizia al contestato e criticato Studio di Impatto Ambientale del progetto Conga. I movimenti non rifiutavano a priori questa misura ma denunciavano la probabile presenza di tecnici della Banca Mondiale, azionista del progetto Conga, che poteva quindi esercitare una grande influenza sull’esito dello studio. Inoltre è ferma la convinzione che la decisione sul via libera al progetto minerario non si possa basare soltanto su un documento di tipo tecnico, tralasciando la questione della licenza sociale e i conflitti che da anni il settore minerario genera in quella martoriata regione.
Il fine ultimo della Marcia è di sensibilizzare lo Stato Peruviano e le corporazioni economiche ai diritti collettivi dei popoli indigeni, al diritto di scegliere il modello di sviluppo basato sul concetto del “buen vivir” e sul rispetto della madre terra o Pachamama. Il diritto alla consultazione previa, libera e informata dei popoli indigeni previsto dal Convegno 169 dell’Ilo e ratificato dal Perù ancora non gode di una regolamentazione interna ed è fortemente voluto da tutte le organizzazioni indigene e contadine del Paese.
È importante ricordare il connotato puramente pacifico della Marcia e come l’acqua troverà diverse strade per diventare un fiume in piena carico di proposte e punti non negoziabili. Speriamo che il Governo ascolti quelle voci e le accolga anch’esso in maniera pacifica senza usare le subdole armi della criminalizzazione della protesta e dell’indifferenza.
(Alessia Marucci)
E-ilmensile -Dalla Valle del Tambo, da Cusco, dalla Oroya, da Cerro de Pasco, da Loreto e Iquitos nelle regioni amazzoniche, si sono dati il prossimo appuntamento per il 10 di febbraio a Lima, per il Forum Nazionale di Giustizia Idrica. Durante l’evento si analizzerà lo stato del diritto all’acqua sul territorio nazionale, si formuleranno proposte di legge vitali come il divieto dell’uso di cianuro e mercurio durante le lavorazioni minerarie e si presenteranno politiche dalla prospettiva dei popoli indigeni per i quali, come ricorda Magdiel Carrión presidente della Conacami (il coordinamento delle comunità colpite dalle attività minerarie), l’acqua “non è una semplice risorsa, è la nostra vita e garanzia di sopravvivenza per le future generazioni”.
La Marcia nasce in appoggio alle comunità di Cajamarca regione già duramente colpita dalle attività minerarie e recentemente protagoniste di una forte mobilitazione contro il progetto minerario Conga della statunitense Newmont, la cui realizzazione distruggerebbe un intero ecosistema di lagune andine, rifornimento di acqua per il consumo umano e per le attività agro-pastorizie a cui sono dediti i campesinos della zona.
Il caso di Cajamarca è certamente emblematico ma la maggior parte delle regioni peruviane vive la stessa problematica. Quella dell’industria estrattiva è un’attività estesa su tutto il territorio peruviano e incide sul diritto all’accesso all’acqua in due modi: da un lato necessita di un’enorme quantità di acqua in tutte le fasi di lavorazione e produzione e dall’altro è responsabile di un’inevitabile contaminazione delle falde acquifere per l’utilizzo di sostanze altamente tossiche quali il cianuro ed il mercurio. Senza contare i frequenti versamenti di greggio e di resti di lavorazione altamente inquinanti nei fiumi del bacino amazzonico da parte delle compagnie petrolifere che costellano la selva peruviana.
Come dichiara Gregorio Santos, il presidente della regione Cajamarca, il conflitto Conga si trova a un punto di stallo. Il Tavolo indetto nella città di Cajamarca il 19 dicembre scorso volto alla riapertura del dialogo era stato caratterizzato da un’assenza preoccupante, quella dei portavoce dei movimenti sociali in resistenza contro il progetto minerario.
Marco Arana, difensore ambientale della regione Cajamarca e leader del partito Tierra y Libertad, commentava l’accaduto riferendosi alla più elementare teoria della gestione dei conflitti per cui tutti gli attori coinvolti dovrebbero partecipare alle iniziative di negoziazione, dialogo o mediazione. Alla riunione erano infatti presenti solo le autorità locali e una delegazione del governo ovvero coloro che, secondo il primo ministro Oscar Valdés , godono di rappresentatività e legittimità in quanto eletti dal popolo.
Per questo Gregorio Santos si era rifiutato di firmare quel primo accordo siglato senza gli esponenti e i portavoce dei gruppi contadini, ambientalisti e delle riconosciutissime Rondas Campesinas e recentemente ha anche impugnato di fronte alla giustizia quell’atto considerano invalido e non legittimo. L’impugnazione di fatto congela la creazione di quella commissione internazionale il cui compito è di redigere una perizia al contestato e criticato Studio di Impatto Ambientale del progetto Conga. I movimenti non rifiutavano a priori questa misura ma denunciavano la probabile presenza di tecnici della Banca Mondiale, azionista del progetto Conga, che poteva quindi esercitare una grande influenza sull’esito dello studio. Inoltre è ferma la convinzione che la decisione sul via libera al progetto minerario non si possa basare soltanto su un documento di tipo tecnico, tralasciando la questione della licenza sociale e i conflitti che da anni il settore minerario genera in quella martoriata regione.
Il fine ultimo della Marcia è di sensibilizzare lo Stato Peruviano e le corporazioni economiche ai diritti collettivi dei popoli indigeni, al diritto di scegliere il modello di sviluppo basato sul concetto del “buen vivir” e sul rispetto della madre terra o Pachamama. Il diritto alla consultazione previa, libera e informata dei popoli indigeni previsto dal Convegno 169 dell’Ilo e ratificato dal Perù ancora non gode di una regolamentazione interna ed è fortemente voluto da tutte le organizzazioni indigene e contadine del Paese.
È importante ricordare il connotato puramente pacifico della Marcia e come l’acqua troverà diverse strade per diventare un fiume in piena carico di proposte e punti non negoziabili. Speriamo che il Governo ascolti quelle voci e le accolga anch’esso in maniera pacifica senza usare le subdole armi della criminalizzazione della protesta e dell’indifferenza.
(Alessia Marucci)
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