lunedì, febbraio 13, 2012
La rivolta pacifica che ha avuto inizio lo scorso anno si sta rapidamente trasformando in un guerra civile e i fondamentalisti possono sfruttare la situazione...

di Patrizio Ricci

Rapporti d’intelligence statunitensi (pubblicati sul quotidiano britannico Guardian) riferiscono che due attentati suicidi compiuti contro le forze fedeli al presidente Bashar Al Assad siano da attribuire ad Al Qaeda: il primo attentato, avvenuto a Damasco il 23 dicembre, ha causato 44 morti e 160 feriti; il secondo attentato è avvenuto venerdì scorso ad Aleppo ed ha fatto 28 vittime. Ad avvalorare questa notizia è la diffusione sui siti web jihadisti di un videomessaggio del capo di Al Qaeda, l’egiziano al Zawahiri: nel video, della durata di 8 minuti, il ricercato n° 1 dalla CIA (sulla cui testa pende una taglia di 25 milioni di dollari) manifesta il suo sostegno ai ribelli siriani e incita i mussulmani in Iraq, Giordania, Libano e Turchia ad unirsi alla lotta armata.

Thomas Friedman, nel suo libro ‘Da Beirut a Gerusalemme’, racconta che trent’anni fa Hafiz al-Assad (padre di Bashar al Assad) ordinò la repressione di una ribellione islamista nella città di Hama: l’esercito sedò la rivolta e per far questo vennero uccise 38.000 persone; gran parte della città vecchia fu completamente distrutta, inclusi i palazzi, le moschee, i più preziosi siti archeologici. Dopo l'insurrezione di Hama, il movimento fondamentalista fu spezzato e la ‘Fratellanza Mussulmana’ (organizzazione islamica che opera in tutto il mondo arabo) fu costretta a operare in esilio. La repressione governativa in Siria si accrebbe considerevolmente, avendo al-Assad vanificato a Hama ogni gesto di buona volontà prima espresso nei confronti della maggioranza sunnita (70% della popolazione), dimostrando di contare solo sulla forza per rimanere al potere. La ribellione fu spenta con una tale brutalità che Friedman nel libro chiama queste repressioni prive di strategia politica, non senza amarezza, le "regole di Hama". Le stesse regole sembra stiano ispirando oggi il figlio Bashar, questa volta contro la cittadina di Homs, epicentro della rivolta, cinta letteralmente d’assedio e cannoneggiata da diversi giorni dall’artiglieria.

In questo crescendo di ricorso alle “regole di Homs” e di caos, al Qaeda sta sfruttando le stesse reti che usò per infiltrare estremisti stranieri in Iraq e cerca di ricavarsi un proprio spazio di potere, visto il momento favorevole. Il concetto lo esprime bene Chris Doyle, direttore del Consiglio dell’Arab-British Understanding: "Il regime ha cercato di dipingere la sua caduta come la porta a qualcosa di peggio, ed ha prosperato su questa nozione che è parte dei suoi meccanismi di sopravvivenza – dichiara Doyle - dopo 10 mesi di proteste relativamente pacifiche, ora un numero crescente di persone credono che l'unico modo per sbarazzarsi del regime sia attraverso l'uso della forza ".

Come in molti altri in cui si chiede all’esercito di rivolgere le armi contro la popolazione, le defezioni dell’esercito continuano e anche l’alleato russo comincia a mostrare malumore. "Abbiamo la sensazione che stia diventando più forte, che ci sia una sorta di gioco che stanno giocando Assad e il suo governo", dice Konstantin Kosachev, vice-capo della commissione esteri del Parlamento russo degli affari, che chiarisce che "Assad fa promesse, ma poi non le soddisfa mai e quindi non ne siamo felici", ammonendo infine che “la politica del mio governo con la Siria potrebbe cambiare bruscamente”.

In definitiva la repressione, lungi da avere effetti positivi sul terreno, sta solo accelerando la militarizzazione dell’opposizione e aumentando lo spargimento di sangue. Il rischio è che i ribelli pur di vincere possano decidere di accettare l’aiuto di outsider come Al Qaeda, ma ciò in caso di vittoria renderà più difficile l’emergere di una società pluralistica e democratica. La rivolta si svilupperebbe in un modo che nessuno si auspicava…

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