Si divertivano a obbligare i clandestini a tuffarsi nelle acque gelide del fiume Frassine
La morte del magrebino ventiquattrenne Abderrahman Salhi, nel fiume Frassino, ha destato scalpore e sgomento. L’indignazione suscitata dal brutto fatto di cronaca non appartiene solo alla popolazione di Montagnana, piccolo centro vicino a Padova, ma a tutti gli italiani che ritengono lo straniero un uomo degno di rispetto e dignità. Non la pensavano allo stesso modo i quattro carabinieri accusati di omicidio del giovane clandestino. Il maresciallo Claudio Segata, infatti, sembra si divertisse ad arrestare gli extracomunitari in evidente stato di ebbrezza e, una volta ammanettati, li conduceva insieme al carabiniere Giovanni Viola sul ponte di via Sperona, dove venivano insultati e con un calcio fatti cadere nelle acque gelide del fiume. Sahli, la sera del 15 maggio dello scorso anno, non è riuscito ad aggrapparsi alla riva ed è morto annegato. A dare l’allarme è stato un contadino di Borgo Frassine che , il 23 maggio, ha notato il cadavere. L’autopsia ha accertato che il corpo è rimasto in acqua almeno una settimana e il volto tumefatto riportava una ferita alla testa provocata da una caduta.
Il bagno gelido era diventata una sorta di punizione nei confronti degli immigrati, che dopo la tragica fine di Salhi hanno però deciso di parlare. C’è Jawad Lakhuil, detto “fragolino” per la nota passione verso il vino, che riporta i segni sul corpo procurati mentre cercava di salvarsi fra i cespugli vicini alle sponde del fiume: silenzioso e triste, racconta di essere stato buttato quattro volte in acqua. Ha 46 anni ed è il teste chiave della vicenda. Poi c’è Abele, il più adirato: la sua storia è simile a quella dei compagni di questa triste avventura. Bevono per sprofondare nell’amara consapevolezza di essere diversi e di sentirsi inferiori.
Le indagini sono state compiute dal procuratore aggiunto di Padova Matteo Stuccilli con la collaborazione del pubblico ministero Roberto D’Angelo, e hanno confermato l’abuso di potere da parte dei due agenti, colpevoli insieme all’appuntato scelto Angelo Camazza e Daniele Berton che, entrambi a conoscenza dei reati che hanno avuto inizio nell’estate del 2010, hanno omesso per tutto il tempo i fatti alle autorità giudiziarie.
Dopo la morte di Sahli, hanno protestato le intere comunità marocchine di Montagnana e di Padova, che insieme ai partecipanti dell’associazione “Razzismo stop” hanno organizzato un corteo che ha raggiunto la prefettura della città, dove le autorità hanno garantito l’apertura di un’inchiesta. Il 6 febbraio del 2012 è stata quindi confermata la colpevolezza dei carabinieri, che pagheranno per quello che hanno fatto, ma ciò non sarà mai sufficiente a restituire rispetto e giustizia per la morte di una persona con l’unica “colpa” di essere un immigrato clandestino.
La morte del magrebino ventiquattrenne Abderrahman Salhi, nel fiume Frassino, ha destato scalpore e sgomento. L’indignazione suscitata dal brutto fatto di cronaca non appartiene solo alla popolazione di Montagnana, piccolo centro vicino a Padova, ma a tutti gli italiani che ritengono lo straniero un uomo degno di rispetto e dignità. Non la pensavano allo stesso modo i quattro carabinieri accusati di omicidio del giovane clandestino. Il maresciallo Claudio Segata, infatti, sembra si divertisse ad arrestare gli extracomunitari in evidente stato di ebbrezza e, una volta ammanettati, li conduceva insieme al carabiniere Giovanni Viola sul ponte di via Sperona, dove venivano insultati e con un calcio fatti cadere nelle acque gelide del fiume. Sahli, la sera del 15 maggio dello scorso anno, non è riuscito ad aggrapparsi alla riva ed è morto annegato. A dare l’allarme è stato un contadino di Borgo Frassine che , il 23 maggio, ha notato il cadavere. L’autopsia ha accertato che il corpo è rimasto in acqua almeno una settimana e il volto tumefatto riportava una ferita alla testa provocata da una caduta.
Il bagno gelido era diventata una sorta di punizione nei confronti degli immigrati, che dopo la tragica fine di Salhi hanno però deciso di parlare. C’è Jawad Lakhuil, detto “fragolino” per la nota passione verso il vino, che riporta i segni sul corpo procurati mentre cercava di salvarsi fra i cespugli vicini alle sponde del fiume: silenzioso e triste, racconta di essere stato buttato quattro volte in acqua. Ha 46 anni ed è il teste chiave della vicenda. Poi c’è Abele, il più adirato: la sua storia è simile a quella dei compagni di questa triste avventura. Bevono per sprofondare nell’amara consapevolezza di essere diversi e di sentirsi inferiori.
Le indagini sono state compiute dal procuratore aggiunto di Padova Matteo Stuccilli con la collaborazione del pubblico ministero Roberto D’Angelo, e hanno confermato l’abuso di potere da parte dei due agenti, colpevoli insieme all’appuntato scelto Angelo Camazza e Daniele Berton che, entrambi a conoscenza dei reati che hanno avuto inizio nell’estate del 2010, hanno omesso per tutto il tempo i fatti alle autorità giudiziarie.
Dopo la morte di Sahli, hanno protestato le intere comunità marocchine di Montagnana e di Padova, che insieme ai partecipanti dell’associazione “Razzismo stop” hanno organizzato un corteo che ha raggiunto la prefettura della città, dove le autorità hanno garantito l’apertura di un’inchiesta. Il 6 febbraio del 2012 è stata quindi confermata la colpevolezza dei carabinieri, che pagheranno per quello che hanno fatto, ma ciò non sarà mai sufficiente a restituire rispetto e giustizia per la morte di una persona con l’unica “colpa” di essere un immigrato clandestino.
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È presente 1 commento
Meglio che io non commenti. Mi censurereste le frasi.Potete solo immaginare il mio pensiero e tanto basta.
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