Sempre più giovanissimi si attaccano alla bottiglia, nonostante le direttive dello Stato che vieterebbe (l’uso del condizionale è d’obbligo), la vendita e il consumo di bevande alcoliche ai minori di 16 anni. Sembra inutile la campagna “bevi responsabilmente” che è quasi solo uno slogan bello.
E-ilmensile - I numeri diffusi dal Servizio di Alcologia dell’Asl di Brescia sono davvero forti. Secondo “le indagini svolte in Lombardia il 4,4 per cento degli undicenni, il 7,3 percento dei tredicenni e il 15,8 percento dei quindicenni ha dichiarato di essersi ubriacato almeno una volta nella vita. Dati che segnalano un abbassamento drastico dell’età in cui si inizia con l’abuso di alcool. Il dato però sembra essere ancora più impressionante se paragonato ai dati nazionali. Come ci spiega il dott. Scafato direttore dell’Osservatorio Alcool dell’Istituto Superiore di Sanità.
“Il discorso dell’età nella quale i ragazzi hanno accesso all’alcool è favorita da una serie di fattori. Per prima cosa la famiglia. E’ chiaro che i ragazzi consumano alcolici in casa per la prima volta. Se guardiamo le caratteristiche dei consumatori in famiglia ci rendiamo conto che ovviamente i genitori di oggi non sono quelli di 40 anni fa. Sono persone che, a differenza delle generazioni precedenti, hanno conformato le propensioni al bere attraverso la logica della spinta al consumo sollecitata dal marketing, inesistente ai tempi dei loro genitori abituati ad una gamma di proposte molto meno variegata. Di conseguenza, con l’ampliamento della disponibilità delle bevande alcoliche e dei nuovi modelli legati alle promozioni tipo “happy hours” i consumatori adulti attuali hanno loro stessi già sperimentato le modalità di consumo di alcool, che non sono proprio quelle ‘mediterranee’, quindi bere fuori pasto, in eccesso rispetto alle linee guida nutrizionali e hanno anche sperimentato le intossicazioni alcoliche, cioè il binge drinking, ossia superare i sei bicchieri di bevande alcoliche. Possiamo dire dalla nostra esperienza che il 12 percento della popolazione italiana si ubriaca almeno una volta all’anno. Questo è un dato reale e importante. Ovviamente, se consideriamo che questo è il dato che riguarda la popolazione adulta, poi abbiamo anche il corrispettivo nei giovani” dice Scafato.
Quindi, il ‘modello famiglia’ è importante per educare i più giovani rispetto al tema alcool. “Se un giovane non riceve un’educazione informale sul bere, può rischiare grosso. Soprattutto è importante sapere che un giovane, minore di 16 anni, non riesce a metabolizzare l’alcool. Poi, c’è il fatto che io definisco ambientale. I bambini e i ragazzi guardano la televisione. Sul piccolo schermo passano le pubblicità. Gli spot propongono sempre in maniera positiva una bevanda che nessuno considera illegale, perché l’alcool lo si trova nei negozi, è di libera distribuzione. Non esiste il senso di percezione dell’impatto negativo e del rischio che una interpretazione errata del bere può portare a persone che non possono e non dovrebbero mai consumare alcool” continua il medico.
Il fattore pubblicità non è assolutamente da sottovalutare. “Gli investimenti pubblicitari per le tv delle aziende produttrici di bevande alcooliche sono passati dai 167 milioni di euro di tre anni fa ai 309 milioni dell’ultimo anno. Il dato impressionante è quello che riguarda internet dove gli investimenti pubblicitari hanno raggiunto quota 65 milioni di euro. Sappiamo bene che controllare la rete è difficile. Pop up che esistono in quasi tutti i siti sono messaggi subliminali che ognuno di noi raccoglie anche in modo non consapevole. La cosa più importante è che questo contesto non fa altro che trovare un campo fertile in un individuo, il giovanissimo, che non ha la capacità critica che ha un adulto e quindi non valuta bene se la bevanda che sta bevendo gli ‘mette le ali’ oppure no. Allo stesso tempo sa , dopo averlo provato, quale è l’effetto che ha sul suo fisico. Quindi l’euforia, la facilitazione dei rapporti dovuti all’abbandono dei freni inibitori. Quindi una sorta di lasciapassare ad una dimensione più fluida, che però ha un fortissimo rischio”.
La situazione non sembra essere fuori controllo ma nemmeno delle più rosee. I ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) lavorano per mettere le basi per un’educazione al bere che sempre più deve passare dalla famiglia. “Noi come Iss cerchiamo di diffondere quanto più possibile strumenti che educhino. Per esempio abbiamo pubblicato un decalogo con le avvertenze per i più piccoli, con una serie di consigli per i più giovani, in particolare adolescenti e pre adolescenti, per capire come si possono destreggiare in questo ‘mondo liquido’. Ne abbiamo fatto uno per i genitori, che sarebbe utile far leggere insieme ai figli. Insomma, è importante iniziare a parlare dell’alcool non quando stanno nell’età critica quando si consolidano già dei comportamenti, ma prima” conclude Scafato.
E-ilmensile - I numeri diffusi dal Servizio di Alcologia dell’Asl di Brescia sono davvero forti. Secondo “le indagini svolte in Lombardia il 4,4 per cento degli undicenni, il 7,3 percento dei tredicenni e il 15,8 percento dei quindicenni ha dichiarato di essersi ubriacato almeno una volta nella vita. Dati che segnalano un abbassamento drastico dell’età in cui si inizia con l’abuso di alcool. Il dato però sembra essere ancora più impressionante se paragonato ai dati nazionali. Come ci spiega il dott. Scafato direttore dell’Osservatorio Alcool dell’Istituto Superiore di Sanità.
“Il discorso dell’età nella quale i ragazzi hanno accesso all’alcool è favorita da una serie di fattori. Per prima cosa la famiglia. E’ chiaro che i ragazzi consumano alcolici in casa per la prima volta. Se guardiamo le caratteristiche dei consumatori in famiglia ci rendiamo conto che ovviamente i genitori di oggi non sono quelli di 40 anni fa. Sono persone che, a differenza delle generazioni precedenti, hanno conformato le propensioni al bere attraverso la logica della spinta al consumo sollecitata dal marketing, inesistente ai tempi dei loro genitori abituati ad una gamma di proposte molto meno variegata. Di conseguenza, con l’ampliamento della disponibilità delle bevande alcoliche e dei nuovi modelli legati alle promozioni tipo “happy hours” i consumatori adulti attuali hanno loro stessi già sperimentato le modalità di consumo di alcool, che non sono proprio quelle ‘mediterranee’, quindi bere fuori pasto, in eccesso rispetto alle linee guida nutrizionali e hanno anche sperimentato le intossicazioni alcoliche, cioè il binge drinking, ossia superare i sei bicchieri di bevande alcoliche. Possiamo dire dalla nostra esperienza che il 12 percento della popolazione italiana si ubriaca almeno una volta all’anno. Questo è un dato reale e importante. Ovviamente, se consideriamo che questo è il dato che riguarda la popolazione adulta, poi abbiamo anche il corrispettivo nei giovani” dice Scafato.
Quindi, il ‘modello famiglia’ è importante per educare i più giovani rispetto al tema alcool. “Se un giovane non riceve un’educazione informale sul bere, può rischiare grosso. Soprattutto è importante sapere che un giovane, minore di 16 anni, non riesce a metabolizzare l’alcool. Poi, c’è il fatto che io definisco ambientale. I bambini e i ragazzi guardano la televisione. Sul piccolo schermo passano le pubblicità. Gli spot propongono sempre in maniera positiva una bevanda che nessuno considera illegale, perché l’alcool lo si trova nei negozi, è di libera distribuzione. Non esiste il senso di percezione dell’impatto negativo e del rischio che una interpretazione errata del bere può portare a persone che non possono e non dovrebbero mai consumare alcool” continua il medico.
Il fattore pubblicità non è assolutamente da sottovalutare. “Gli investimenti pubblicitari per le tv delle aziende produttrici di bevande alcooliche sono passati dai 167 milioni di euro di tre anni fa ai 309 milioni dell’ultimo anno. Il dato impressionante è quello che riguarda internet dove gli investimenti pubblicitari hanno raggiunto quota 65 milioni di euro. Sappiamo bene che controllare la rete è difficile. Pop up che esistono in quasi tutti i siti sono messaggi subliminali che ognuno di noi raccoglie anche in modo non consapevole. La cosa più importante è che questo contesto non fa altro che trovare un campo fertile in un individuo, il giovanissimo, che non ha la capacità critica che ha un adulto e quindi non valuta bene se la bevanda che sta bevendo gli ‘mette le ali’ oppure no. Allo stesso tempo sa , dopo averlo provato, quale è l’effetto che ha sul suo fisico. Quindi l’euforia, la facilitazione dei rapporti dovuti all’abbandono dei freni inibitori. Quindi una sorta di lasciapassare ad una dimensione più fluida, che però ha un fortissimo rischio”.
La situazione non sembra essere fuori controllo ma nemmeno delle più rosee. I ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) lavorano per mettere le basi per un’educazione al bere che sempre più deve passare dalla famiglia. “Noi come Iss cerchiamo di diffondere quanto più possibile strumenti che educhino. Per esempio abbiamo pubblicato un decalogo con le avvertenze per i più piccoli, con una serie di consigli per i più giovani, in particolare adolescenti e pre adolescenti, per capire come si possono destreggiare in questo ‘mondo liquido’. Ne abbiamo fatto uno per i genitori, che sarebbe utile far leggere insieme ai figli. Insomma, è importante iniziare a parlare dell’alcool non quando stanno nell’età critica quando si consolidano già dei comportamenti, ma prima” conclude Scafato.
di Alessandro Grandi
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Sono presenti 4 commenti
La colpa é dei genitori che ormai sono una razza senza polso. Basta vederli questi pisquanelli come si abbigliano: pantaloni con cavallo alle ginocchia, Ipod in mano, capelli a cresta di gallo ma sopratutto cervello sotto le suole e pensieri demenziali. Bevono per dimenticare quello che sono! Italia del domani? Italia del mai!
Ci vuole la naja!
Cari amici non è questione di genitori. Nella mia famiglia nè noi genitori nè i nonni si sono mai ubriacati. Il massimo del consumo a casa nostra è un bicchiere scarso di vino a pasto e i figli in casa non bevono.
I problemi sono i soliti: voglia di emulazione, sfida alla società ed alle regole, senso di potersi gestire da soli anche in situazioni estreme e, diciamolo una buona volta, gestori degli esercizi commerciali spregiudicati che continuano a vendere ai minori, ai già mezzi ubriachi ed agli ubriachi nell'indifferenza generale.
Chi ha detto ci vuole la naja forse non sbaglia. La nostra Costituzione ci chiama a servire la patria. Perchè allora non pensare, specialmente in questo periodo di crisi ad un anno dedicato alla collettività con inquadramento giuridico da militare ma con servizi non armati, gratuiti e per entrambi i sessi: protezione civile; vigili del fuoco; sorveglianza edifici scolastici; ausiliari del traffico; guardie forestali ...
Buongiorno, condivido nella sua totalità il commento precedente. Un servizio utile per la collettività ha senza dubbio una funzione educativa, oltre ad essere utile, appunto per tutti. Il servizio di leva non andava abolito, piuttosto andava riformato in questo senso.
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