A Cinquefrondi sospeso il processo per ingiurie e minacce a carico dei familiari dei ragazzi denunciati
Liberainformazione - A volte difendere la Calabria è molto difficile ma, forse per questo, più necessario, irrinunciabile. Ciò perché non la violenza, l’omertà, l’ignoranza, la prepotenza abbiano occasione di sopravvento e affermazione ma invece la solidarietà, il desiderio di giustizia e di libertà che anima le scelte coraggiose di molti, moltissimi calabresi. Tra questi vi è la giovane Anna Maria Scarfò, oggi ventiseienne, originaria di San Martino di Taurianova in provincia di Reggio Calabria, prima giovane donna ad essere stata inserita in un programma di protezione dall’entrata in vigore della legge sullo stalking (2009).
Dal 2010 vive in una località protetta dopo avere denunciato nel 2002 dodici stupratori, per sei dei quali nel 2007 la condanna è stata confermata in Cassazione, per altri sei il primo grado ha sancito la condanna nel 2009. La sua storia è stata raccontata da Cristina Zagaria nel volume ‘Malanova’, edito da Sperling & Kupfer nel 2010. Al suo fianco, mentre si celebra a Cinquefrondi (sezione distaccata del Tribunale di Palmi) il processo contro coloro che l’hanno minacciata ed ingiuriata, non solo l’avvocato Rosalba Sciarrone ma anche altre donne calabresi e siciliane in questa che ha travalicato i limiti di una battaglia giudiziaria contro chi l’ha offesa con atti e parole per aver osato denunciare coloro che l’avevano violentata nel 2002, per aver osato non subire, per aver sfidato la condizione di sottomissione cui spesso il contesto ambientale condanna con maggiore fermezza ed ineluttabilità di un tribunale.
Dunque non solo una battaglia giudiziaria ma soprattutto una battaglia di civiltà che adesso, dopo anni di solitudine e di emarginazione nella comunità di appartenenza, non è più solitaria. Accanto ad Anna Maria infatti dalla Calabria e dalla Sicilia i rappresentanti di Fondazione "Giovanni Filianoti", Associazione Antimafie “Rita Atria”, Le autrici di "Non è un paese per donne", Le Siciliane – Casablanca, Libera – Reggio Calabria, Comitato "Se non ora quando?" – Reggio Calabria, Associazione "Jineca" Reggio Calabria, Stopndrangheta.it, Centro antiviolenza sulle donne e sui minori "Margherita".
Il processo è stato sospeso nei giorni scorsi in attesa che la Corte di Cassazione si pronunci sull’istanza di rimessione del processo stesso per presunta pressione mediatica che inficerebbe la serenità del giudice chiamato a dirimere. A chiederlo sono stati quattro imputati sui sedici totali, tutti familiari delle sei persone condannate per la violenza inflittale per tre anni da quando ne aveva solo 13. Questi familiari sono stati coraggiosamente denunciati da Anna Maria, vittima anche di pesanti azioni ritorsive - uccisione del cane, sangue sui panni stesi - di minacce, insulti, molestie. Anna Maria si è ribellata a questo inferno, ha parlato, ha mostrato il volto brutale ma anche quello coraggioso della Calabria, dimostrando di credere nelle Istituzioni e nella Giustizia, lontano dai proclami, con gesti concreti, gli stessi che l’hanno portata, con la sorellina più piccola per la quale temeva lo stesso tremendo destino in balia del branco, lontano da casa e dalla Calabria.
L’inferno comincia quando nel 2002, dopo tre anni di brutali e reiterate violenze, si reca presso la Caserma dei Carabinieri per denunciare. Ottiene giustizia in tribunale. Sei componenti del branco di San Martino – Domenico Cucinotta, Michele Iannello, Domenico Iannello, Domenico Cutrupi, Serafino Trinci e Vincenzo La Torre – sono stati condannati in via definitiva dalla Cassazione il 6 dicembre 2007. Per gli altri – Antonio Cutrupi, Maurizio Hanaman, Giuseppe Chirico, Fabio Piccolo, Antonio Cianci e Vincenzo Minniti – è arrivata il 25 novembre 2009 la condanna in primo grado. Ma tutto ciò non basta perché dopo la violenza nel corpo e nell’anima, si abbattono su di lei le persecuzioni e le minacce dei familiari dei componenti del branco.
La sentenza, questa volta è di questi familiari che la condannano ad umiliazioni continue e ad una vita di paura. Quindi le nuove denunce rompono ancora quel muro di silenzio, indifferenza ed omertà asfissiante, ed a queste seguono i provvedimenti di ammonimento nei confronti di questi stessi familiari, oggi sotto processo per ingiurie, minacce e molestie. La vita di San Martino di Taurianova pare essere stata sconvolta, lo scandalo è rappresentato dalla speranza di cambiamento, dal coraggio di una giovane donna che decide di parlare per proteggere la sorellina, scardinando un sistema di assuefazione e omertà inespugnabile. In realtà, come sempre avviene in queste scelte così sofferte, il gesto ha poi una valenza universale che oggi dà forza alle tante donne anche calabresi, vittime due volte, non di impunità in questo caso, ma di una violenza anche sociale e culturale sempre più difficile da scardinare ed estirpare.
«Anna Maria – si legge nel documento diffuso dalla rete di associazioni che la sta sostenendo – ha iniziato la sua battaglia per riappropriarsi della sua vita. E l’ha iniziata da sola e contro tutti: contro i suoi stupratori, ma anche contro il suo paese, che l’ha emarginata e giudicata e condannata, anziché riconoscerne il coraggio e starle vicina. Come fosse lei la colpevole. Come fosse una “malanova” da tenere lontana... Quella vicinanza ora vorremmo regalargliela noi. Partendo da una presenza fisica in aula lunedì mattina e stringendoci attorno a lei, per non farla sentire sola di fronte al branco e di fronte a quei concittadini che l’hanno maltrattata. Sarebbe un bel gesto di civiltà della parte pulita della nostra società e, insieme, un segnale forte proprio nei confronti della parte marcia, l'unica che andrebbe veramente e definitivamente emarginata e allontanata(…). Vi chiediamo quindi di aderire al nostro appello. Di venire assieme a noi a Cinquefrondi, perchè la solidarietà non sia solo a parole, non sia solo il solito messaggio vuoto e sterile.
Stare in aula accanto ad Anna Maria significa dare la forza ad altre donne, che hanno subito e subiscono violenze, di denunciare e ribellarsi. Significa ribellarci noi stessi di fronte a chi, con la sopraffazione e una mentalità mafiosa, si è impadronito della nostra terra. Significa riappropriarsi di questa terra e contrastare quel destino di migrazione a cui sembra "condannato" chi non vuol rimanere inerte di fronte alle ingiustizie e vuole vivere la sua vita onestamente senza dover "scappare"».
La comunità di San Martino di Taurianova, quella sana, quella libera, quella coraggiosa, sia fiera di di Anna Maria e la sostenga, ogni angolo della Calabria sussulti perchè ogni rivoluzione muove i passi da piccoli gesti di grande coraggio. Ha cominciato sola contro tutti, Anna Maria, ma adesso la sua battaglia è sempre meno solitaria.
Liberainformazione - A volte difendere la Calabria è molto difficile ma, forse per questo, più necessario, irrinunciabile. Ciò perché non la violenza, l’omertà, l’ignoranza, la prepotenza abbiano occasione di sopravvento e affermazione ma invece la solidarietà, il desiderio di giustizia e di libertà che anima le scelte coraggiose di molti, moltissimi calabresi. Tra questi vi è la giovane Anna Maria Scarfò, oggi ventiseienne, originaria di San Martino di Taurianova in provincia di Reggio Calabria, prima giovane donna ad essere stata inserita in un programma di protezione dall’entrata in vigore della legge sullo stalking (2009).
Dal 2010 vive in una località protetta dopo avere denunciato nel 2002 dodici stupratori, per sei dei quali nel 2007 la condanna è stata confermata in Cassazione, per altri sei il primo grado ha sancito la condanna nel 2009. La sua storia è stata raccontata da Cristina Zagaria nel volume ‘Malanova’, edito da Sperling & Kupfer nel 2010. Al suo fianco, mentre si celebra a Cinquefrondi (sezione distaccata del Tribunale di Palmi) il processo contro coloro che l’hanno minacciata ed ingiuriata, non solo l’avvocato Rosalba Sciarrone ma anche altre donne calabresi e siciliane in questa che ha travalicato i limiti di una battaglia giudiziaria contro chi l’ha offesa con atti e parole per aver osato denunciare coloro che l’avevano violentata nel 2002, per aver osato non subire, per aver sfidato la condizione di sottomissione cui spesso il contesto ambientale condanna con maggiore fermezza ed ineluttabilità di un tribunale.
Dunque non solo una battaglia giudiziaria ma soprattutto una battaglia di civiltà che adesso, dopo anni di solitudine e di emarginazione nella comunità di appartenenza, non è più solitaria. Accanto ad Anna Maria infatti dalla Calabria e dalla Sicilia i rappresentanti di Fondazione "Giovanni Filianoti", Associazione Antimafie “Rita Atria”, Le autrici di "Non è un paese per donne", Le Siciliane – Casablanca, Libera – Reggio Calabria, Comitato "Se non ora quando?" – Reggio Calabria, Associazione "Jineca" Reggio Calabria, Stopndrangheta.it, Centro antiviolenza sulle donne e sui minori "Margherita".
Il processo è stato sospeso nei giorni scorsi in attesa che la Corte di Cassazione si pronunci sull’istanza di rimessione del processo stesso per presunta pressione mediatica che inficerebbe la serenità del giudice chiamato a dirimere. A chiederlo sono stati quattro imputati sui sedici totali, tutti familiari delle sei persone condannate per la violenza inflittale per tre anni da quando ne aveva solo 13. Questi familiari sono stati coraggiosamente denunciati da Anna Maria, vittima anche di pesanti azioni ritorsive - uccisione del cane, sangue sui panni stesi - di minacce, insulti, molestie. Anna Maria si è ribellata a questo inferno, ha parlato, ha mostrato il volto brutale ma anche quello coraggioso della Calabria, dimostrando di credere nelle Istituzioni e nella Giustizia, lontano dai proclami, con gesti concreti, gli stessi che l’hanno portata, con la sorellina più piccola per la quale temeva lo stesso tremendo destino in balia del branco, lontano da casa e dalla Calabria.
L’inferno comincia quando nel 2002, dopo tre anni di brutali e reiterate violenze, si reca presso la Caserma dei Carabinieri per denunciare. Ottiene giustizia in tribunale. Sei componenti del branco di San Martino – Domenico Cucinotta, Michele Iannello, Domenico Iannello, Domenico Cutrupi, Serafino Trinci e Vincenzo La Torre – sono stati condannati in via definitiva dalla Cassazione il 6 dicembre 2007. Per gli altri – Antonio Cutrupi, Maurizio Hanaman, Giuseppe Chirico, Fabio Piccolo, Antonio Cianci e Vincenzo Minniti – è arrivata il 25 novembre 2009 la condanna in primo grado. Ma tutto ciò non basta perché dopo la violenza nel corpo e nell’anima, si abbattono su di lei le persecuzioni e le minacce dei familiari dei componenti del branco.
La sentenza, questa volta è di questi familiari che la condannano ad umiliazioni continue e ad una vita di paura. Quindi le nuove denunce rompono ancora quel muro di silenzio, indifferenza ed omertà asfissiante, ed a queste seguono i provvedimenti di ammonimento nei confronti di questi stessi familiari, oggi sotto processo per ingiurie, minacce e molestie. La vita di San Martino di Taurianova pare essere stata sconvolta, lo scandalo è rappresentato dalla speranza di cambiamento, dal coraggio di una giovane donna che decide di parlare per proteggere la sorellina, scardinando un sistema di assuefazione e omertà inespugnabile. In realtà, come sempre avviene in queste scelte così sofferte, il gesto ha poi una valenza universale che oggi dà forza alle tante donne anche calabresi, vittime due volte, non di impunità in questo caso, ma di una violenza anche sociale e culturale sempre più difficile da scardinare ed estirpare.
«Anna Maria – si legge nel documento diffuso dalla rete di associazioni che la sta sostenendo – ha iniziato la sua battaglia per riappropriarsi della sua vita. E l’ha iniziata da sola e contro tutti: contro i suoi stupratori, ma anche contro il suo paese, che l’ha emarginata e giudicata e condannata, anziché riconoscerne il coraggio e starle vicina. Come fosse lei la colpevole. Come fosse una “malanova” da tenere lontana... Quella vicinanza ora vorremmo regalargliela noi. Partendo da una presenza fisica in aula lunedì mattina e stringendoci attorno a lei, per non farla sentire sola di fronte al branco e di fronte a quei concittadini che l’hanno maltrattata. Sarebbe un bel gesto di civiltà della parte pulita della nostra società e, insieme, un segnale forte proprio nei confronti della parte marcia, l'unica che andrebbe veramente e definitivamente emarginata e allontanata(…). Vi chiediamo quindi di aderire al nostro appello. Di venire assieme a noi a Cinquefrondi, perchè la solidarietà non sia solo a parole, non sia solo il solito messaggio vuoto e sterile.
Stare in aula accanto ad Anna Maria significa dare la forza ad altre donne, che hanno subito e subiscono violenze, di denunciare e ribellarsi. Significa ribellarci noi stessi di fronte a chi, con la sopraffazione e una mentalità mafiosa, si è impadronito della nostra terra. Significa riappropriarsi di questa terra e contrastare quel destino di migrazione a cui sembra "condannato" chi non vuol rimanere inerte di fronte alle ingiustizie e vuole vivere la sua vita onestamente senza dover "scappare"».
La comunità di San Martino di Taurianova, quella sana, quella libera, quella coraggiosa, sia fiera di di Anna Maria e la sostenga, ogni angolo della Calabria sussulti perchè ogni rivoluzione muove i passi da piccoli gesti di grande coraggio. Ha cominciato sola contro tutti, Anna Maria, ma adesso la sua battaglia è sempre meno solitaria.
di Anna Foti
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