venerdì, marzo 09, 2012
Man mano che si disperdono i clamori suscitati dalla recente Conferenza di Londra sulla Somalia, fortemente voluta dal primo ministro britannico David Cameron, sulla stampa africana ed europea affiorano legittimi interrogativi circa il repentino interesse dei paesi occidentali sul Corno d’Africa.

Somalia (Misna) - Stando a quanto riportato nei giorni scorsi dal quotidiano ‘The Guardian’, la Gran Bretagna starebbe cercando di assicurarsi un posto in prima fila nel promettente mercato energetico somalo in vista delle estrazioni di petrolio che la canadese ‘Africa Oil’ potrebbe cominciare a pompare già a partire dal prossimo mese dai giacimenti del Puntland. “Ad attirare gli appetiti britannici (ma Cina e Stati Uniti osservano poco distante) – osserva il giornale londinese – in un momento in cui le riserve energetiche appaiono compromesse da un crescente braccio di ferro con l’Iran, non sono solo le prospezioni relative alla regione semiautonoma del nord-est della Somalia.

Se confermate, le aspettative dei giacimenti custoditi nel profondo dell’Oceano Indiano risulterebbero paragonabili a quelle del Kuwait, un ‘tesoro’ per oltre 100 miliardi di barili capace di eclissare quello della Nigeria trasformando la Somalia nel settimo paese più ricco al mondo per riserve di greggio”.

Tanto basta – se non ad accusare il governo britannico di ‘cinismo e ‘aiuti in cambio di petrolio’ come avanzato dalla ong ‘World Development Movement’ – a rendere la tempistica della Conferenza nella capitale inglese quantomeno sospetta.

Come sottolinea l’editorialista Rasna Warah in un’analisi pubblicata dal keniano ‘Daily Nation’, “trovandosi a contrastare in casa propria gli effetti della crisi economica e della disoccupazione, i governi occidentali potrebbero guardare alla Somalia come a un immenso mercato inesplorato, la cui popolazione resa vergine da 20 anni di conflitto è in una situazione di virtuale necessità di ogni cosa”.

È la politica del ‘capitalismo del disastro’ teorizzata dall’autore canadese Naomi Klein nel suo ‘The Shock doctrine’ secondo cui “i governi capitalistici spesso utilizzano aiuti umanitari e ricostruzione come ‘grimaldello’ per convincere i paesi in difficoltà ad adottare modelli economici neoliberali che in definitiva favoriscono gli interessi delle multinazionali”. Ad insospettire gli osservatori più critici nei confronti del consesso londinese, i continui richiami al mantenimento della scadenza di agosto 2012, per il dissolvimento delle Istituzioni federali di transizione (Ift) di Mogadiscio e la nomina di un’Assemblea costituente.

Incaricata di gestire gli aspetti ‘politici’ dell’ennesima nuova ‘fase di transizione’ del paese, quali la stesura di una Costituzione e il processo elettorale, l’Assemblea non coordinerà né i fondi allocati dai donatori, né sarà incaricata di riscuotere tasse e proventi dai commerci e traffici portuali. Come stabilito dal comunicato finale della Conferenza, infatti, tale compito sarà reso dal ‘Joint Financial Management Board’, organismo congiunto composto da rappresentanti di Francia, Gran Bretagna, Unione Europea, Banca Mondiale e rappresentanti somali “incaricato di aumentare la trasparenza e […] rafforzare le istituzioni pubbliche nella gestione finanziaria”. Quello che Abdirazak Mohammed del sito ‘Hiraan Online’ definisce “l’ultimo chiodo sulla bara della sovranità somala”.

“Se la presenza della Banca mondiale nel board accresce i dubbi sulle ‘disinteressate intenzioni’ di tale organismo congiunto – sottolinea Warah – l’assenza vistosa di attori non-tradizionali, ma che ultimamente hanno contribuito significativamente alla ricostruzione di Mogadiscio e avviato programmi di sviluppo nelle regioni ancora sotto il controllo di Al Shabaab, come la Turchia, lasciano intravedere i contrasti e le forze che si agitano dietro le quinte”.

Il ‘disastro’ somalo, in definitiva, potrebbe trasformarsi in un vero e proprio ‘Eldorado’ per i paesi che riusciranno ad assicurarsi un posto in prima fila nella ricostruzione post-bellica. Uno scenario tratteggiato a Londra dallo stesso primo ministro somalo Abdiweli Mohammed Ali: “Quando la Somalia tornerà a reggersi sulle sue gambe e sarà pronta e bisognosa di investimenti, ci sarà spazio per tutti”.

[AdL]

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