L’economista svela cosa accade quando si sottrae il denaro dai poveri dei paesi ricchi per infilarli nelle tasche dei ricchi dei paesi poveri
“Dead aid - La carità che uccide” oltre ad essere il titolo del best seller di Dambisa Moyo, la celebre economista africana, è anche e soprattutto un nuovo modo di concepire lo sviluppo dell’Africa. Nel libro, infatti, l’autrice si rivolge in particolar modo a coloro che hanno speculato con il denaro che avrebbe dovuto migliorare le condizioni di vita di popoli che invece non riescono a trarre beneficio dall’inestimabile ricchezza delle loro terre. Dambisa Moyo presenta fra le pagine del volume che è stato pubblicato nel 2009 una serie di proposte in grado di consentire ai paesi in via di sviluppo di diventare autonomi, poiché sostiene che gli aiuti stranieri perpetuano il ciclo della povertà e ostacolano la crescita economica.
Dambisa Moyo è nata a Lusaka, in Zambia, è figlia di un ex minatore sudafricano, vive a Londra e collabora con il Financial Times, il The Economist, il Wall Street Journal, ha frequentato alcuni corsi di specializzazione presso l’università di Oxford, Harvard e Washington. Ha tenuto un importante discorso sul ruolo della donna nella società come agente del cambiamento dinanzi a David Cameron, il primo ministro del Regno Unito, e la regina Elisabetta II. Le sue idee l’hanno resa famosa in tutto il mondo ed è per questo che è considerata una delle 150 donne più influenti del pianeta. Il suo secondo libro, “West lost – Cinquant’anni di follia economia”, stampato lo scorso anno, offre un resoconto del declino della supremazia economica dell’occidente nel corso degli ultimi 50 anni.
L’economista coglie nel fenomeno della crisi globale l’unica possibilità per l’Africa di riuscire a prendere in mano la sua situazione economica, perché le elemosine del mondo industrializzato hanno avuto la sola conseguenza di renderla più povera di quanto già lo era. Se invece si iniziano a tagliare i fondi verso il Continente Nero (come ha fatto l’Italia), l’Africa potrà paradossalmente crescere con le sue gambe. Tra il 1970 e il 1998 infatti il trasferimento dei capitali verso i paesi del terzo mondo ha raggiunto l’apice, e come conseguenza il tasso di indigenza era salito al 66%. Questo è accaduto perché i 1000 miliardi stanziati negli ultimi 60 anni sono stati usati dai dittatori come Mobutu Sese Seko, ex presidente dello Zaire, che ha rubato 5 miliardi di dollari al suo paese; Bakili Muluzi, presidente del Malawi, accusato di aver intascato 12 milioni di dollari; Frederick Chiluba, ex presidente dello Zambia, che ha sottratto milioni di dollari alle strutture sanitarie ed educative, così come Robert Mugabe, presidente dello Zimbabwe.
Le accuse di Dambisa Moyo sono rivolte ai governi che hanno creato un fiorente business in grado di arricchire le fondazioni americane, le multinazionali alimentari e persino le Ong (i cui ricavati infatti sono destinati solo per il 20% alla popolazione africana). Gli aiuti sono una sorta di droga e secondo l’economista gli occidentali sono degli spacciatori. I governi africani, consapevoli delle ingenti somme di finanziamento propinate loro, preferiscono investire tale denaro nelle armi. La povertà, ci ricorda l’economista, si può debellare con delle soluzioni concrete come la liberalizzazione del mercato dei prodotti agricoli in loco (favorendo così il lavoro della classe imprenditoriale autoctona) e la microfinanza, tipo quella sostenuta in Bangladesh dalla “Graameen Bank”, che ha favorito la crescita economica e sociale di chi aveva meno garanzie economiche, su un’idea del professor Muhammad Yunus. Se lo stesso fosse proposto nel continente nero, non ci sarebbe la corruzione che genera forti tensioni e colpi di stato come in Guinea, Mauritania e Madagascar.
L’Africa non rincorre l’eldorado della new economy come fa il resto del mondo: l’Africa è l’eldorado poiché la sua ricchezza risiede nella terra. Ma secondo Dambisa Moyo, finché ci si ostina a presentare la nazione come un paese di guerre, di carestie, di malattie tutti proveranno pietà senza comprendere che la solidarietà economica non è la soluzione al problema.
“Dead aid - La carità che uccide” oltre ad essere il titolo del best seller di Dambisa Moyo, la celebre economista africana, è anche e soprattutto un nuovo modo di concepire lo sviluppo dell’Africa. Nel libro, infatti, l’autrice si rivolge in particolar modo a coloro che hanno speculato con il denaro che avrebbe dovuto migliorare le condizioni di vita di popoli che invece non riescono a trarre beneficio dall’inestimabile ricchezza delle loro terre. Dambisa Moyo presenta fra le pagine del volume che è stato pubblicato nel 2009 una serie di proposte in grado di consentire ai paesi in via di sviluppo di diventare autonomi, poiché sostiene che gli aiuti stranieri perpetuano il ciclo della povertà e ostacolano la crescita economica.
Dambisa Moyo è nata a Lusaka, in Zambia, è figlia di un ex minatore sudafricano, vive a Londra e collabora con il Financial Times, il The Economist, il Wall Street Journal, ha frequentato alcuni corsi di specializzazione presso l’università di Oxford, Harvard e Washington. Ha tenuto un importante discorso sul ruolo della donna nella società come agente del cambiamento dinanzi a David Cameron, il primo ministro del Regno Unito, e la regina Elisabetta II. Le sue idee l’hanno resa famosa in tutto il mondo ed è per questo che è considerata una delle 150 donne più influenti del pianeta. Il suo secondo libro, “West lost – Cinquant’anni di follia economia”, stampato lo scorso anno, offre un resoconto del declino della supremazia economica dell’occidente nel corso degli ultimi 50 anni.
L’economista coglie nel fenomeno della crisi globale l’unica possibilità per l’Africa di riuscire a prendere in mano la sua situazione economica, perché le elemosine del mondo industrializzato hanno avuto la sola conseguenza di renderla più povera di quanto già lo era. Se invece si iniziano a tagliare i fondi verso il Continente Nero (come ha fatto l’Italia), l’Africa potrà paradossalmente crescere con le sue gambe. Tra il 1970 e il 1998 infatti il trasferimento dei capitali verso i paesi del terzo mondo ha raggiunto l’apice, e come conseguenza il tasso di indigenza era salito al 66%. Questo è accaduto perché i 1000 miliardi stanziati negli ultimi 60 anni sono stati usati dai dittatori come Mobutu Sese Seko, ex presidente dello Zaire, che ha rubato 5 miliardi di dollari al suo paese; Bakili Muluzi, presidente del Malawi, accusato di aver intascato 12 milioni di dollari; Frederick Chiluba, ex presidente dello Zambia, che ha sottratto milioni di dollari alle strutture sanitarie ed educative, così come Robert Mugabe, presidente dello Zimbabwe.
Le accuse di Dambisa Moyo sono rivolte ai governi che hanno creato un fiorente business in grado di arricchire le fondazioni americane, le multinazionali alimentari e persino le Ong (i cui ricavati infatti sono destinati solo per il 20% alla popolazione africana). Gli aiuti sono una sorta di droga e secondo l’economista gli occidentali sono degli spacciatori. I governi africani, consapevoli delle ingenti somme di finanziamento propinate loro, preferiscono investire tale denaro nelle armi. La povertà, ci ricorda l’economista, si può debellare con delle soluzioni concrete come la liberalizzazione del mercato dei prodotti agricoli in loco (favorendo così il lavoro della classe imprenditoriale autoctona) e la microfinanza, tipo quella sostenuta in Bangladesh dalla “Graameen Bank”, che ha favorito la crescita economica e sociale di chi aveva meno garanzie economiche, su un’idea del professor Muhammad Yunus. Se lo stesso fosse proposto nel continente nero, non ci sarebbe la corruzione che genera forti tensioni e colpi di stato come in Guinea, Mauritania e Madagascar.
L’Africa non rincorre l’eldorado della new economy come fa il resto del mondo: l’Africa è l’eldorado poiché la sua ricchezza risiede nella terra. Ma secondo Dambisa Moyo, finché ci si ostina a presentare la nazione come un paese di guerre, di carestie, di malattie tutti proveranno pietà senza comprendere che la solidarietà economica non è la soluzione al problema.
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Sono presenti 2 commenti
Dubito che le riforme proposte da Dambisa Moyo (valorizzare la piccola impresa agricola e la microfinanza) possano da sole avviare uno sviluppo economico tale da portare il continente africano al livello delle più evolute economie industriali. Dubito inoltre che queste riforme possano essere favorite da quegli stessi governi che affamano il popolo, impedendo che gli aiuti economici provenienti dall'Occidente possano essere utilizzati per migliorare le sorti della povera gente. Perché questo in definitiva mi sembra il problema più grave e non già la solidarietà degli occidentali.
dubito anche che se gli aiuti continueranno ad essere gestiti da coloro che hanno il potere ignorando gli interessi del popolo non cambierà davvero nulla...provarci sarebbe una possibilità per l'africa, se l'india c'è l'ha fatta perchè nn potrebbe farcela anche l'africa! è chiaro che gli aiuti non sono un problema la proposta di dambisa è solo una forte provocazione ad essere onesti!
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