giovedì, marzo 29, 2012
Il project financing applicato al sistema carcerario italiano. Un passaggio quasi marginale del Decreto Legge del 24 gennaio 2012, ‘Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività’, nello specifico, l’articolo 43.  

 E-ilmensile - In sostanza, grazie a queste poche righe contenute nel decretone, il privato potrà entrare nella costruzione delle infrastrutture carcerarie, un primo passo verso la privatizzazione. Il pretesto è quello del sovraffollamento: c’è bisogno di nuove prigioni e il Pubblico non è in grado di agire con velocità. Ecco allora che i ‘tecnici’ hanno deciso di far intervenire i privati, almeno in parte. L’idea è di costituire una sorta di consorzio di imprese che si accorpano in un unico soggetto, misto, che dovrebbe garantire la costruzione di nuovi penitenziari per poi gestirne i vari servizi, dalle mense alle lavanderie, dal parcheggio alla manutenzione dei vari impianti, oltre al personale interno. Non le guardie, però, soltanto gli amministrativi, gli educatori, gli psicologi e gli operatori sanitari. Gli addetti alla custodia no, quelli vengono assegnati esclusivamente alla polizia penitenziaria e ai Gruppi Operativi Mobili. Lo Stato, dal canto suo, si limiterebbe ad erogare soltanto un canone basato sul numero di ‘ospiti’ nel penitenziario, in modo da coprire, nel tempo i costi di costruzione e gestione degli impianti. Certo, l’immagine di una privatizzazione totale del sistema carcerario appare ancora lontana, ma, altrettanto certamente, non può non inquietare la prospettiva di vedere un privato qualsiasi che si mette a gestire servizi importanti all’interno di una delle istituzioni più delicate di qualsiasi paese, il carcere, appunto. Senza contare l’aspetto inquietante del considerare i detenuti come merce da valorizzare, niente di più di una voce in bilancio di un’impresa carceraria. Alcuni, tra l’altro, fanno notare che nel Decreto non è menzionato, quindi non escluso, il lavoro coatto, già in uso, ad esempio, negli istituti di pena americani e inglesi. Insomma, il rischio è quello di trasformare le prigioni in delle fabbriche con manodopera inclusa, e a bassissimo costo, per giunta. La speranza, a questo punto, è soltanto che non passi l’equazione pericolosa del “maggior tempo in galera=maggior profitto”, con il rischio di andare poi a inquinare le sentenze o, peggio, farne una questione di carattere sindacale. Dal punto di vista strettamente politico, infine, non rimane che sottolineare che, tra tante proposte, idee e sparate, l’unico provvedimento preso fin’ora sulle disastrose condizioni delle carceri italiane, riguarda la loro privatizzazione.

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