“Journey to the heart of Islam”(viaggio nel cuore delll’Islam): così si intitola l’esposizione speciale di questi mesi al British museum, aperta fino al 15 aprile.
Racconta il pellegrinaggio alla Mecca (Hajj), che è considerato uno dei cinque pilastri di questa grande religione. Pellegrinaggio osservato, assaporato e contemplato con lo sguardo inglese. Ed è una lezione di lettura particolare delle cose, specie se avvolte dal mistero o dalla barriera dell’alterità. Uno sguardo concreto, pragmatico, aderente ai fatti si ispira così ad una regola d’oro: “La comprensione ha sempre bisogno di un minimo di simpatia”.
Lo si ritrova questo atteggiamento anche nella stessa lingua inglese, che usa particolarmente il present continous (presente continuo), modo verbale di toccare il tempo dell’azione attraverso il linguaggio con l’aderenza di un guanto. O alla BBC, dove il presentatore non è mai esterno ad un avvenimento, ma se parla di pesca subacquea si presenta in tuta da subacqueo o se invece tratta di guerra vi porterà direttamente in prima linea. Questo per aiutare l’ascoltatore a non essere mai superficiale o distratto, ma a get involved cioè a immergersi nella realtà come nell’acqua del mare. Ciò, ancora una volta, dice quanto questa gente sia un popolo di mare. Si ritrova, così, il caso di Sir Richard Burton, che sponsorizzato dalla Royal Geographical Society e travestito da medico afgano partecipò all’Hajj, avventura spirituale esclusiva per i musulmani, divenendo poi famoso nel 1853 in tutta l’Inghilterra con la pubblicazione di un libro. Oppure si incontra qui Lady Evelyn Cabbon, prima donna inglese appassionata dell’Islam a fare l’Hajj nel 1930, all’età di sessantacinque anni. Affermava, poi, convinta: “Non so quando l’Islam ha germogliato in me, ma mi sembra di essere stata sempre una musulmana”.
Non a caso l’esposizione comincia subito a immergervi nel tema. Vi informa che in questo momento tre milioni annui di esseri umani nel mondo stanno prendendo la strada per la Mecca, trasportati dall’animus mistico del pellegrino. Altrettanto sospesa e mistica è l’atmosfera di queste sale di esposizione, che si articolano nella semioscurità. È come se i visitatori si mettero in cammino come ombre seguendo i veri pellegrini. Sembra di entrare in una cattedrale, piuttosto che in un museo, e di respirarne lo stesso clima religioso. “Il pellegrinaggio è un viaggio nello spazio - commenta una didascalia - ma lo è anche nel tempo, come un ritorno alla missione di Mohamed, di Gesù o di Mosè”.
Il British museum non è nuovo a queste esposizioni, che indicano interesse, curiosità e rispetto per altre religioni. Ultimamente faceva bella mostra di sè una exhibition sul tipico turbante dei sikhs e il suo significato religioso e sociale, considerato quasi un articolo di fede che rappresenta onore, coraggio, spiritualità e pietà. Dare spazio alla religione dell’altro costituisce senz’altro una nota di civiltà, oltre che un fattore prezioso nella coesione sociale di una popolazione. È, in fondo, conoscere l’altro e la sua anima, la sua ricerca di Dio insieme al suo popolo. Stimolante esperienza, d’altronde, per la nostra società italiana, portata forse più ad accantonare che ad esporre e a spiegare l’altro e la sua fede.
Così, si snodano qui i cinque principali cammini del pellegrinaggio nel mondo fino alla Mecca. Si incontrano le migliaia di pellegrini che si imbarcano in Indonesia per lunghissimi giorni di mare nella cosiddetta indian route, per arrivare al porto di Jeddah. Oppure in lande desertiche partendo da Timbuktu nel Mali, per percorrere una difficile african route. O partendo da Istanbul lungo la ottoman route, o incamminandosi dalle aride distese interne di Bukhara seguendo la arabian route e infine anche la british route con i suoi 23.000 pellegrini dalla Gran Bretagna. Mentre 13.800 provenivano dalla Cina l’anno scorso, 21.000 dalla Francia, 22.000 dalla Russia e 15.000 dagli USA.
Il pellegrinaggio musulmano si presenta come “un test della resistenza fisica e spirituale per un essere umano” viene qui spiegato, vissuto già dai primi tempi in un tormentato cammino di carovane in cui si poteva “viaggiare molto e riposare poco” come scriveva un pellegrino nel 1575, ad immagine quasi del fluire inarrestabile della vita. Dopo aver messo a fuoco i differenti aspetti, oggetti e fasi del pellegrinaggio, un lungo, intenso e commovente filmato propone l’insieme di questa avventura originale dell’Islam, raccomadata almeno una volta nella vita del credente. E così si snoda la tawaf, immensa e impressionante circonvoluzione attorno alla Ka’ba di migliaia di pellegrini in vestino bianco per sette volte, il lungo cammino alla sorgente del Zamzam, la stasi contemplativa nella piana rocciosa di Arafat, il taglio dei capelli, il sacrificio di una pecora o di un montone, il lancio della pietre contro il male, la visita ai luoghi sacri di Muzdalifa e Mina: il tempo di sei giorni accompagna un radicale sradicamento dalla vita normale e un bagno spirituale di folla e di infinito.
Si osserva qui il tutto con empatia, mentre si paragona come i pellegrini per secoli hanno affrontato questa monumentale impresa e come essa continua ad essere oggi sperimentata da gente proveniente da ogni angolo della terra. Profondo senso spirituale e gesti rituali rimangono sorprendentemente inalterati dal settimo secolo, il tempo del Profeta. In ogni senso, è davvero un ritorno al cuore dell’Islam.
Racconta il pellegrinaggio alla Mecca (Hajj), che è considerato uno dei cinque pilastri di questa grande religione. Pellegrinaggio osservato, assaporato e contemplato con lo sguardo inglese. Ed è una lezione di lettura particolare delle cose, specie se avvolte dal mistero o dalla barriera dell’alterità. Uno sguardo concreto, pragmatico, aderente ai fatti si ispira così ad una regola d’oro: “La comprensione ha sempre bisogno di un minimo di simpatia”.
Lo si ritrova questo atteggiamento anche nella stessa lingua inglese, che usa particolarmente il present continous (presente continuo), modo verbale di toccare il tempo dell’azione attraverso il linguaggio con l’aderenza di un guanto. O alla BBC, dove il presentatore non è mai esterno ad un avvenimento, ma se parla di pesca subacquea si presenta in tuta da subacqueo o se invece tratta di guerra vi porterà direttamente in prima linea. Questo per aiutare l’ascoltatore a non essere mai superficiale o distratto, ma a get involved cioè a immergersi nella realtà come nell’acqua del mare. Ciò, ancora una volta, dice quanto questa gente sia un popolo di mare. Si ritrova, così, il caso di Sir Richard Burton, che sponsorizzato dalla Royal Geographical Society e travestito da medico afgano partecipò all’Hajj, avventura spirituale esclusiva per i musulmani, divenendo poi famoso nel 1853 in tutta l’Inghilterra con la pubblicazione di un libro. Oppure si incontra qui Lady Evelyn Cabbon, prima donna inglese appassionata dell’Islam a fare l’Hajj nel 1930, all’età di sessantacinque anni. Affermava, poi, convinta: “Non so quando l’Islam ha germogliato in me, ma mi sembra di essere stata sempre una musulmana”.
Non a caso l’esposizione comincia subito a immergervi nel tema. Vi informa che in questo momento tre milioni annui di esseri umani nel mondo stanno prendendo la strada per la Mecca, trasportati dall’animus mistico del pellegrino. Altrettanto sospesa e mistica è l’atmosfera di queste sale di esposizione, che si articolano nella semioscurità. È come se i visitatori si mettero in cammino come ombre seguendo i veri pellegrini. Sembra di entrare in una cattedrale, piuttosto che in un museo, e di respirarne lo stesso clima religioso. “Il pellegrinaggio è un viaggio nello spazio - commenta una didascalia - ma lo è anche nel tempo, come un ritorno alla missione di Mohamed, di Gesù o di Mosè”.
Il British museum non è nuovo a queste esposizioni, che indicano interesse, curiosità e rispetto per altre religioni. Ultimamente faceva bella mostra di sè una exhibition sul tipico turbante dei sikhs e il suo significato religioso e sociale, considerato quasi un articolo di fede che rappresenta onore, coraggio, spiritualità e pietà. Dare spazio alla religione dell’altro costituisce senz’altro una nota di civiltà, oltre che un fattore prezioso nella coesione sociale di una popolazione. È, in fondo, conoscere l’altro e la sua anima, la sua ricerca di Dio insieme al suo popolo. Stimolante esperienza, d’altronde, per la nostra società italiana, portata forse più ad accantonare che ad esporre e a spiegare l’altro e la sua fede.
Così, si snodano qui i cinque principali cammini del pellegrinaggio nel mondo fino alla Mecca. Si incontrano le migliaia di pellegrini che si imbarcano in Indonesia per lunghissimi giorni di mare nella cosiddetta indian route, per arrivare al porto di Jeddah. Oppure in lande desertiche partendo da Timbuktu nel Mali, per percorrere una difficile african route. O partendo da Istanbul lungo la ottoman route, o incamminandosi dalle aride distese interne di Bukhara seguendo la arabian route e infine anche la british route con i suoi 23.000 pellegrini dalla Gran Bretagna. Mentre 13.800 provenivano dalla Cina l’anno scorso, 21.000 dalla Francia, 22.000 dalla Russia e 15.000 dagli USA.
Il pellegrinaggio musulmano si presenta come “un test della resistenza fisica e spirituale per un essere umano” viene qui spiegato, vissuto già dai primi tempi in un tormentato cammino di carovane in cui si poteva “viaggiare molto e riposare poco” come scriveva un pellegrino nel 1575, ad immagine quasi del fluire inarrestabile della vita. Dopo aver messo a fuoco i differenti aspetti, oggetti e fasi del pellegrinaggio, un lungo, intenso e commovente filmato propone l’insieme di questa avventura originale dell’Islam, raccomadata almeno una volta nella vita del credente. E così si snoda la tawaf, immensa e impressionante circonvoluzione attorno alla Ka’ba di migliaia di pellegrini in vestino bianco per sette volte, il lungo cammino alla sorgente del Zamzam, la stasi contemplativa nella piana rocciosa di Arafat, il taglio dei capelli, il sacrificio di una pecora o di un montone, il lancio della pietre contro il male, la visita ai luoghi sacri di Muzdalifa e Mina: il tempo di sei giorni accompagna un radicale sradicamento dalla vita normale e un bagno spirituale di folla e di infinito.
Si osserva qui il tutto con empatia, mentre si paragona come i pellegrini per secoli hanno affrontato questa monumentale impresa e come essa continua ad essere oggi sperimentata da gente proveniente da ogni angolo della terra. Profondo senso spirituale e gesti rituali rimangono sorprendentemente inalterati dal settimo secolo, il tempo del Profeta. In ogni senso, è davvero un ritorno al cuore dell’Islam.
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