Spesa pubblica sempre meno adeguata ai bisogni sanitari dei cittadini, spesa privata sempre più alta.
Volontariatoggi - È stimato in 17 miliardi di euro nel 2015 il gap cumulato totale tra le risorse di cui ci sarebbe bisogno per coprire i bisogni sanitari dei cittadini e i soldi pubblici che presumibilmente il Servizio sanitario nazionale avrà a disposizione. Poche risorse pubbliche rispetto ai bisogni reali, con tagli inevitabili ai servizi. È questo lo scenario della sanità in Italia, se i trend attuali troveranno conferma. I risultati emergono da una ricerca realizzata dal Censis nell’ambito delle attività del Forum per la Ricerca Biomedica, presentata oggi a Roma da Carla Collicelli, Vicedirettore del Censis, e discussa da Giuseppe De Rita, Presidente del Censis, Rosy Bindi, Vicepresidente della Camera dei Deputati, Giuliano Cazzola, Vicepresidente della XI Commissione (Lavoro pubblico e privato) della Camera dei Deputati, Giuseppe Zuccatelli, Presidente f.f. dell’Agenas, Luca Pani, Direttore dell’Aifa, Massimo Scaccabarozzi, Presidente di Farmindustria, e Renato Balduzzi, Ministro della Salute.
Intanto, già oggi i cittadini spendono molto di tasca propria per la salute: 30,6 miliardi di euro, +8% nel periodo di crisi 2007-2010. Emblematico è il caso della spesa per i farmaci, con un taglio del 3,5% della spesa pubblica e un incremento della spesa privata del 10,7% nel triennio 2007-2010. Per le famiglie aumenta il peso dei ticket sui farmaci (a fine anno si supererà di molto il miliardo di euro) e, se non verranno aboliti, arriverà presto la stangata dai ticket su diagnostica, specialistica e pronto soccorso, che unita a quella sui farmaci sarà un nuovo salasso stimabile in 4 miliardi di euro.
Peggiora la qualità della sanità, soprattutto nelle Regioni dove i tagli sono maggiori. Per il 31,7% degli italiani il Servizio sanitario della propria Regione è peggiorato negli ultimi due anni (lo pensava il 21,7% nel 2009), per il 55,3% tutto è rimasto uguale a prima, e solo per il 13% c’è stato invece un miglioramento (ne era convinto il 20,3% nel 2009). I cittadini che parlano di un peggioramento sono il 18,7% in più di quelli che avvertono un miglioramento. Nel Mezzogiorno (38,5%) e al Centro (34,2%) sono più alte le percentuali di persone che lamentano un peggioramento della sanità. Nelle Regioni con Piano di rientro, più del 38% degli intervistati afferma che la sanità è peggiorata nei due anni precedenti e solo meno dell’8% dichiara che è migliorata (con un saldo tra miglioramento e peggioramento molto negativo, pari a -31%). Nelle Regioni senza Piani di rientro i cittadini che parlano di un peggioramento sono il 23,3%, mentre per il 19,4% c’è stato un miglioramento. La sanità peggiora dunque nelle Regioni in cui i Piani di rientro hanno imposto controlli rigidi della spesa e tagli a servizi e prestazioni: in queste Regioni si spende meno rispetto al passato, ma per ora non si spende meglio.
Perché gli italiani spendono di più per la salute. La spesa sanitaria privata è cresciuta del 25,5% in dieci anni. L’aumento non dipende solo dalle recenti manovre di bilancio. Ci sono settori dalla copertura pubblica da sempre giudicata inadeguata, come l’odontoiatria, con il 95% della spesa a carico dei privati, quasi 12 miliardi di euro l’anno. Al moltiplicarsi dei piccoli disturbi, le persone cercano risposte rapide, molto spesso a spese proprie, per continuare a svolgere le funzioni quotidiane in famiglia e al lavoro. Sono milioni gli italiani afflitti da piccole patologie: 19,3 milioni soffrono di ricorrenti dolori muscolari, articolari o di altro tipo (1,4 milioni di giovani, con meno di 30 anni, e 7,6 milioni di anziani), 18,7 milioni hanno problemi alla vista (dalla miopia alla presbiopia, all’astigmatismo: 2,4 milioni sono giovani), 10,7 milioni di persone soffrono di allergie (2,3 milioni sono giovani), 10,6 milioni tendono a ingrassare troppo, 9,1 milioni hanno emicranie frequenti, 9 milioni hanno difficoltà a prendere sonno o soffrono di insonnia. Di fronte ai tanti piccoli disturbi e a sintomi non gravi, il 39% degli italiani consulta subito il medico di base, il 31% tenta di curarsi stando a casa (con riposo, alimentazione corretta, ecc.) e il 15% assume qualche farmaco che in altre occasioni si è rivelato efficace. Un altro esempio di spesa privata è quella per i medicinali non convenzionali, pari a 1,7 miliardi di euro l’anno.
Decolla il «low cost» sanitario, con qualche preoccupazione. Anche nella sanità è partita la caccia alle offerte. Si cercano prestazioni a prezzi più bassi, di qualità accettabile, con buoni tempi di accesso. È stimato in 10 miliardi di euro il valore della sanità «low cost». Questo segmento di mercato crescerà del 25% l’anno. I tagli dei prezzi delle prestazioni sono di solito non inferiori al 30%, ma possono arrivare al 60% e sul web si moltiplicano le offerte (dall’odontoiatria ai servizi di prevenzione) con sconti fino all’85% rispetto ai comuni prezzi di mercato. Nella componente privata del mercato sanitario cresce dunque l’appeal del low cost, destando però qualche preoccupazione a causa della mancanza di controlli di qualità e per la possibile induzione di una domanda impropria con risposte inappropriate. Un esempio è la medicina e la chirurgia estetica, con un milione di italiani (di cui 800mila donne) che vi hanno fatto ricorso nel corso della loro vita, settore nel quale si registrano molte offerte promozionali low cost.
Volontariatoggi - È stimato in 17 miliardi di euro nel 2015 il gap cumulato totale tra le risorse di cui ci sarebbe bisogno per coprire i bisogni sanitari dei cittadini e i soldi pubblici che presumibilmente il Servizio sanitario nazionale avrà a disposizione. Poche risorse pubbliche rispetto ai bisogni reali, con tagli inevitabili ai servizi. È questo lo scenario della sanità in Italia, se i trend attuali troveranno conferma. I risultati emergono da una ricerca realizzata dal Censis nell’ambito delle attività del Forum per la Ricerca Biomedica, presentata oggi a Roma da Carla Collicelli, Vicedirettore del Censis, e discussa da Giuseppe De Rita, Presidente del Censis, Rosy Bindi, Vicepresidente della Camera dei Deputati, Giuliano Cazzola, Vicepresidente della XI Commissione (Lavoro pubblico e privato) della Camera dei Deputati, Giuseppe Zuccatelli, Presidente f.f. dell’Agenas, Luca Pani, Direttore dell’Aifa, Massimo Scaccabarozzi, Presidente di Farmindustria, e Renato Balduzzi, Ministro della Salute.
Intanto, già oggi i cittadini spendono molto di tasca propria per la salute: 30,6 miliardi di euro, +8% nel periodo di crisi 2007-2010. Emblematico è il caso della spesa per i farmaci, con un taglio del 3,5% della spesa pubblica e un incremento della spesa privata del 10,7% nel triennio 2007-2010. Per le famiglie aumenta il peso dei ticket sui farmaci (a fine anno si supererà di molto il miliardo di euro) e, se non verranno aboliti, arriverà presto la stangata dai ticket su diagnostica, specialistica e pronto soccorso, che unita a quella sui farmaci sarà un nuovo salasso stimabile in 4 miliardi di euro.
Peggiora la qualità della sanità, soprattutto nelle Regioni dove i tagli sono maggiori. Per il 31,7% degli italiani il Servizio sanitario della propria Regione è peggiorato negli ultimi due anni (lo pensava il 21,7% nel 2009), per il 55,3% tutto è rimasto uguale a prima, e solo per il 13% c’è stato invece un miglioramento (ne era convinto il 20,3% nel 2009). I cittadini che parlano di un peggioramento sono il 18,7% in più di quelli che avvertono un miglioramento. Nel Mezzogiorno (38,5%) e al Centro (34,2%) sono più alte le percentuali di persone che lamentano un peggioramento della sanità. Nelle Regioni con Piano di rientro, più del 38% degli intervistati afferma che la sanità è peggiorata nei due anni precedenti e solo meno dell’8% dichiara che è migliorata (con un saldo tra miglioramento e peggioramento molto negativo, pari a -31%). Nelle Regioni senza Piani di rientro i cittadini che parlano di un peggioramento sono il 23,3%, mentre per il 19,4% c’è stato un miglioramento. La sanità peggiora dunque nelle Regioni in cui i Piani di rientro hanno imposto controlli rigidi della spesa e tagli a servizi e prestazioni: in queste Regioni si spende meno rispetto al passato, ma per ora non si spende meglio.
Perché gli italiani spendono di più per la salute. La spesa sanitaria privata è cresciuta del 25,5% in dieci anni. L’aumento non dipende solo dalle recenti manovre di bilancio. Ci sono settori dalla copertura pubblica da sempre giudicata inadeguata, come l’odontoiatria, con il 95% della spesa a carico dei privati, quasi 12 miliardi di euro l’anno. Al moltiplicarsi dei piccoli disturbi, le persone cercano risposte rapide, molto spesso a spese proprie, per continuare a svolgere le funzioni quotidiane in famiglia e al lavoro. Sono milioni gli italiani afflitti da piccole patologie: 19,3 milioni soffrono di ricorrenti dolori muscolari, articolari o di altro tipo (1,4 milioni di giovani, con meno di 30 anni, e 7,6 milioni di anziani), 18,7 milioni hanno problemi alla vista (dalla miopia alla presbiopia, all’astigmatismo: 2,4 milioni sono giovani), 10,7 milioni di persone soffrono di allergie (2,3 milioni sono giovani), 10,6 milioni tendono a ingrassare troppo, 9,1 milioni hanno emicranie frequenti, 9 milioni hanno difficoltà a prendere sonno o soffrono di insonnia. Di fronte ai tanti piccoli disturbi e a sintomi non gravi, il 39% degli italiani consulta subito il medico di base, il 31% tenta di curarsi stando a casa (con riposo, alimentazione corretta, ecc.) e il 15% assume qualche farmaco che in altre occasioni si è rivelato efficace. Un altro esempio di spesa privata è quella per i medicinali non convenzionali, pari a 1,7 miliardi di euro l’anno.
Decolla il «low cost» sanitario, con qualche preoccupazione. Anche nella sanità è partita la caccia alle offerte. Si cercano prestazioni a prezzi più bassi, di qualità accettabile, con buoni tempi di accesso. È stimato in 10 miliardi di euro il valore della sanità «low cost». Questo segmento di mercato crescerà del 25% l’anno. I tagli dei prezzi delle prestazioni sono di solito non inferiori al 30%, ma possono arrivare al 60% e sul web si moltiplicano le offerte (dall’odontoiatria ai servizi di prevenzione) con sconti fino all’85% rispetto ai comuni prezzi di mercato. Nella componente privata del mercato sanitario cresce dunque l’appeal del low cost, destando però qualche preoccupazione a causa della mancanza di controlli di qualità e per la possibile induzione di una domanda impropria con risposte inappropriate. Un esempio è la medicina e la chirurgia estetica, con un milione di italiani (di cui 800mila donne) che vi hanno fatto ricorso nel corso della loro vita, settore nel quale si registrano molte offerte promozionali low cost.
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