Storia dell’esercito che rispetta la legalità dei principi immorali
L’esercito israeliano si è autoproclamato il più morale al mondo, suscitando così disaccordo fra chi, invece, lo ritiene responsabile dei più gravi crimini di guerra. L’Idf (Israeli Defence Forces) si vanta di un riconoscimento che non gli appartiene e a dimostrarlo sono le vicende storiche che hanno visto i soldati dello stato ebraico colpevoli di reati contro l’umanità, come nel 2006, durante la guerra in Libano, nel 2009, nell’operazione "Piombo fuso” e ancora nel 2010 nell'incidente con la nave turca Mavi Marmara. In questi scenari bellici i militari hanno compiuto delle azioni illegali pianificate ma sostengono di aver rispettato i principi del Diritto Internazionale Umanitario. Per giustificare la gravità delle loro azioni sono ricorsi alla legittimazione del “lawfare”, una sorta di guerra legale, provocando una netta differenza fra l’idea che le forze armate hanno di sé e quella che l’opinione pubblica ha verso di loro. Le missioni israeliane consistono in attacchi terroristici, nell’utilizzo dei droni, nell’occupazione dei territori stranieri, nell’impiego degli agenti batteriologici, come avvenne nel 1948 quando furono avvelenati i palestinesi di Akka che bevvero l’acqua potabile. L’esercito israeliano è la seconda potenza militare al mondo, possiede 200 testate nucleari, esporta armi in tutte le nazioni, ha l’apparato industriale militare più avanzato del pianeta, ha piazzato nel territorio del nemico degli strumenti ad alta tecnologia dotati di un sistema di autodistruzione. Nella “Sdot Micha”, la sede dell’arsenale missilistico, sono state create delle armi biochimiche di distruzione di massa, i sottomarini “Dolphin” controllano l’oceano Indiano e il drone “Theron” è il più grande che sia mai stato costruito.
La differenza fra le numerose indagini e le poche condanne ai colpevoli dei crimini fa sorgere delle perplessità riguardo il malfunzionamento del sistema di inchiesta della politica israeliana. Richard J. Goldstone, magistrato sudafricano di origini ebraiche, in seguito all’”operazione piombo fuso” presentò nel 2009 un rapporto, che prende il suo nome, in cui dichiarò che l’intera regione possiede una cultura dell’impunità a causa della mancanza di una giustizia reale. E l’assenza di un processo di pace mette a repentaglio ogni speranza di riuscire ad ottenerla.
L’operazione militare denominata “Piombo fuso” era nata con l’intento di stabilire la sicurezza sulla Striscia di Gaza, ma i bombardamenti, i sequestri, le torture e le uccisioni sono state le uniche azioni della missione, che tra dicembre 2008 e gennaio 2009 ha provocato la morte di 1440 palestinesi tra cui 318 bambini, 115 donne e più di 5000 vittime. L’utilizzo delle armi al fosforo bianco e l’impiego dei bambini come scudi umani ha destato scalpore e ha suscitato indignazione. Tuttavia con il “principio di proporzionalità” i civili possono essere uccisi se la loro morte è proporzionale al vantaggio militare atteso da un’operazione. Tale criterio del tutto immorale risulta essere legale per l’esercito israeliano, e implica inoltre la violazione del “principio di distinzione”: il soldato può confondersi fra i civili rendendo così impossibile all’avversario la possibilità di riconoscerlo.
In seguito all’operazione un gruppo di attivisti pro-Palestina salparono il 31 maggio del 2010 sulla nave “Freedom Flotilla”. L’impresa denominata “Brezza marina” contestava il blocco di Gaza e intendeva superarlo, consegnando un carico di cibo, medicine e 10.000 tonnellate di calcestruzzo, ritenuto indispensabile per la ricostruzione delle città colpite dai bombardamenti. Il comando israeliano, tuttavia, non solo vietò lo scarico del cemento nella città di Hamas per non permettere agli abitanti di costruire tunnel e bunker, ma addirittura attaccò la nave e uccise 9 attivisti. All’impresa umanitaria aderirono gli americani, i greci, i turchi, gli svedesi, 44 parlamentari, Mairead Corrigan, il premio Nobel per la pace, Henning Mankell, lo scrittore svedese, e molti altri che testimoniarono l’attacco dell’Idf: i soldati scesero dagli elicotteri e stordirono gli attivisti con dei fumogeni, li picchiarono e poi rubarono le videocamere, i computer e i cellulari.
Con la stessa inaccettabile violenza l’esercito israeliano combatté nel 2006 la guerra in Libano. Nell’arco di 34 giorni 2500 missili bombardarono i palestinesi. Furono distrutti molti edifici, i porti, le scuole, gli ospedali, le stazioni di benzina, l’aeroporto di Beirut, la principale autostrada che collega la città a Damasco e la centrale elettrica a sud di Beirut, che riversò nel mar Mediterraneo una grande quantità di petrolio. La guerra è terminata grazie all’intervento delle Nazioni Unite che con la “Risoluzione 1701” ordinò il cessate il fuoco
Le armi, tuttavia, non sono state ancora deposte. Le guerre si perpetuano inesorabilmente e l’aggravante è la giustificazione della violenza di soldati che non intendono solo difendere ma facilmente puntano le armi, mirano al bersaglio e spesso uccidono senza scrupoli degli innocenti.
L’esercito israeliano si è autoproclamato il più morale al mondo, suscitando così disaccordo fra chi, invece, lo ritiene responsabile dei più gravi crimini di guerra. L’Idf (Israeli Defence Forces) si vanta di un riconoscimento che non gli appartiene e a dimostrarlo sono le vicende storiche che hanno visto i soldati dello stato ebraico colpevoli di reati contro l’umanità, come nel 2006, durante la guerra in Libano, nel 2009, nell’operazione "Piombo fuso” e ancora nel 2010 nell'incidente con la nave turca Mavi Marmara. In questi scenari bellici i militari hanno compiuto delle azioni illegali pianificate ma sostengono di aver rispettato i principi del Diritto Internazionale Umanitario. Per giustificare la gravità delle loro azioni sono ricorsi alla legittimazione del “lawfare”, una sorta di guerra legale, provocando una netta differenza fra l’idea che le forze armate hanno di sé e quella che l’opinione pubblica ha verso di loro. Le missioni israeliane consistono in attacchi terroristici, nell’utilizzo dei droni, nell’occupazione dei territori stranieri, nell’impiego degli agenti batteriologici, come avvenne nel 1948 quando furono avvelenati i palestinesi di Akka che bevvero l’acqua potabile. L’esercito israeliano è la seconda potenza militare al mondo, possiede 200 testate nucleari, esporta armi in tutte le nazioni, ha l’apparato industriale militare più avanzato del pianeta, ha piazzato nel territorio del nemico degli strumenti ad alta tecnologia dotati di un sistema di autodistruzione. Nella “Sdot Micha”, la sede dell’arsenale missilistico, sono state create delle armi biochimiche di distruzione di massa, i sottomarini “Dolphin” controllano l’oceano Indiano e il drone “Theron” è il più grande che sia mai stato costruito.
La differenza fra le numerose indagini e le poche condanne ai colpevoli dei crimini fa sorgere delle perplessità riguardo il malfunzionamento del sistema di inchiesta della politica israeliana. Richard J. Goldstone, magistrato sudafricano di origini ebraiche, in seguito all’”operazione piombo fuso” presentò nel 2009 un rapporto, che prende il suo nome, in cui dichiarò che l’intera regione possiede una cultura dell’impunità a causa della mancanza di una giustizia reale. E l’assenza di un processo di pace mette a repentaglio ogni speranza di riuscire ad ottenerla.
L’operazione militare denominata “Piombo fuso” era nata con l’intento di stabilire la sicurezza sulla Striscia di Gaza, ma i bombardamenti, i sequestri, le torture e le uccisioni sono state le uniche azioni della missione, che tra dicembre 2008 e gennaio 2009 ha provocato la morte di 1440 palestinesi tra cui 318 bambini, 115 donne e più di 5000 vittime. L’utilizzo delle armi al fosforo bianco e l’impiego dei bambini come scudi umani ha destato scalpore e ha suscitato indignazione. Tuttavia con il “principio di proporzionalità” i civili possono essere uccisi se la loro morte è proporzionale al vantaggio militare atteso da un’operazione. Tale criterio del tutto immorale risulta essere legale per l’esercito israeliano, e implica inoltre la violazione del “principio di distinzione”: il soldato può confondersi fra i civili rendendo così impossibile all’avversario la possibilità di riconoscerlo.
In seguito all’operazione un gruppo di attivisti pro-Palestina salparono il 31 maggio del 2010 sulla nave “Freedom Flotilla”. L’impresa denominata “Brezza marina” contestava il blocco di Gaza e intendeva superarlo, consegnando un carico di cibo, medicine e 10.000 tonnellate di calcestruzzo, ritenuto indispensabile per la ricostruzione delle città colpite dai bombardamenti. Il comando israeliano, tuttavia, non solo vietò lo scarico del cemento nella città di Hamas per non permettere agli abitanti di costruire tunnel e bunker, ma addirittura attaccò la nave e uccise 9 attivisti. All’impresa umanitaria aderirono gli americani, i greci, i turchi, gli svedesi, 44 parlamentari, Mairead Corrigan, il premio Nobel per la pace, Henning Mankell, lo scrittore svedese, e molti altri che testimoniarono l’attacco dell’Idf: i soldati scesero dagli elicotteri e stordirono gli attivisti con dei fumogeni, li picchiarono e poi rubarono le videocamere, i computer e i cellulari.
Con la stessa inaccettabile violenza l’esercito israeliano combatté nel 2006 la guerra in Libano. Nell’arco di 34 giorni 2500 missili bombardarono i palestinesi. Furono distrutti molti edifici, i porti, le scuole, gli ospedali, le stazioni di benzina, l’aeroporto di Beirut, la principale autostrada che collega la città a Damasco e la centrale elettrica a sud di Beirut, che riversò nel mar Mediterraneo una grande quantità di petrolio. La guerra è terminata grazie all’intervento delle Nazioni Unite che con la “Risoluzione 1701” ordinò il cessate il fuoco
Le armi, tuttavia, non sono state ancora deposte. Le guerre si perpetuano inesorabilmente e l’aggravante è la giustificazione della violenza di soldati che non intendono solo difendere ma facilmente puntano le armi, mirano al bersaglio e spesso uccidono senza scrupoli degli innocenti.
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