giovedì, aprile 26, 2012
Al di là di mondi e di valori differenti, una coppia mista è un inedito cammino di creatività

del nostro corrispondente a Londra Renato Zilio

“Un uomo è come un iceberg.” Irene mi guarda in silenzio assorta, annuisce con la testa, con accanto Mohammed, pensieroso ma tranquillo. Forse accetteranno questo challenge: vivere insieme, costruire insieme la loro vita. Sui bordi delle loro due culture agli estremi del Mediterraneo con due religioni differenti: una vera sfida. Ho appena loro spiegato che una persona non è solo quello che si vede, con i suoi luminosi occhi neri, la bella altezza, il tocco e tutto il suo charme esotico. Ma è anche un mondo invisibile, nascosto dietro: la sua cultura, la sua religione, il lunghissino cammino di civiltà fatto dalla sua gente, la sua famiglia e le attese, i suoi valori e disvalori. È quel mondo nascosto da cui uno emerge, come un iceberg, ma la parte sommersa è ben più grande. Lo si comprende spesso dopo tanti passi fatti insieme e, forse, tanti in opposte direzioni. Così, non si sposa solo un uomo, ma si sposa, senza saperlo, tutto il mondo dell’altro.

Mi trovo a spiegare loro, per esempio, il senso straordinariamente importante della tradizione che si ritrova nella mentalità araba. Un’importanza singolare è data all’origine (per esempio all’origine dell’uomo), tanto grande da diventare un vero centro di gravità, come se tutto pendesse in quella direzione. Allontanarsi dall’origine viene concepito come un perdere l’ideale, la purezza originale, come un dissiparsi. Così, quasi adorandola, si pone un fortissimo accento sulla tradizione, cioè su tutto ciò che ci lega all’origine, la consolida, la tramanda di mano in mano. Il cammino vero dell’uomo è un ritorno all’origine.

Nella visione del cristianesimo si è invece sensibili allo scorrere della storia, ai segni dei tempi che essa presenta, ai volti misteriosi di un Dio che ci accompagna. Come al percorso di un popolo nel quale Dio appare come una forza nascosta, trascendente, inspiratrice. Ma è soprattutto l’avvenire, non il passato, che viene sottolineato. La tradizione non assume tutta questa importanza, data piuttosto a quel mondo in cui si vivrà, un giorno, di giustizia, di pace e di fratellanza e che gli uomini di buona volontà faticosamente ora costruiscono. Ciò mobilita tutta la nostra attenzione e la nostra tensione: il regno di Dio. Non l’origine. Ma, come la prospettiva in un paesaggio, è il finale stupendo dell’umanità.

Un altro aspetto che mi piace sottolineare davanti a loro è il forte senso del simile che permea la cultura araba. Qualcuno la chiama omofilia, cioè l’amore per il simile, per chi è della medesima pasta. Così sentivo affermare alcuni amici che avevano preso dimora in un paese musulmano: “Se vieni qui di passaggio sei un ospite, sei accolto a braccia aperte, con entusiasmo e apertura di cuore. Ma se ti installi come noi e resti... allora non sei più dei loro, diventi un estraneo, ti senti marginale”.

Nel messaggio cristiano, invece, la differenza crea la comunione, ad immagine e somiglianza di Dio, che già nel suo intimo è differente e comunionale. La differenza dell’altro è benvenuta, esaltata e composta nell’insieme, manifestando in questo modo una forza di comunione nuova. È il respiro di universalità del vangelo. Già nei primi secoli lo schiavo e il suo padrone, entrambi cristiani, si ritrovavano a pregare insieme gomito a gomito, uguali figli di Dio, in una fratellanza originale.

Così, mi piace osservare, a volte, il senso dell’artigianato nei paesi musulmani: le stoffe, la filatura, il vasellame, il ricamo... coltivato da secoli è qui apprezzatissimo. È l’amore dell’uomo per la materia, la maestria del contatto, il profondo senso estetico. Ma la tradizione impera: l’occhio e la mano trovano una complicità sorprendente fin dall’infanzia e il savoir-faire di un’antica tradizione si incarna negli uomini d’oggi. E’ una creatività però che tale non è, perchè non vi è che un unico creatore, raccomanda il Corano. È un ripetere, invece, minuzioso ed estenuante di ciò che generazioni hanno simbolizzato e definito. Una grande raffinatezza e un’enorme pazienza fanno uscire dalle mani dell’artigiano dei capolavori domestici. In nome della tradizione.

O quasi. Perchè se si guarda bene, soprattutto nel ricamo delle donne, ci si imbatte presto in qualche imperfezione. Il difetto è benvenuto - e non è corretto - perche salva dal malocchio. Altrimenti un lavoro perfetto chissà quale gelosia misteriosa potrebbe suscitare... “Dell’uomo l’imperfezione è compagna!” la tradizione ancora insegna. Invece per la nostra cultura la perfezione è sempre ansiosamente ricercata, attesa e affinata. È come il punto di fuga verso cui un disegno o un’opera d’arte silenziosamente dirigono lo sguardo.

In tutto questo, i mondi si oppongono, ma gli uomini si incontrano. Oggi si rivela necessaria quell’arte del “saper negoziare,” dell’adattarsi al mondo dell’altro nella reciprocità. Arte difficile, quotidiana, soprattutto in una coppia, ma che può produrre dei capolavori di autentica creatività. Sì, degli esseri umani aperti, tolleranti, veri. Così, i due giovani, Irene e Mohammed mi nascondono, alla fine, un mezzo sorriso. Chissà! Anche questo assomiglia alla punta di un iceberg...

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