venerdì, aprile 13, 2012
Non passa un giorno nella Siria di Bashar Al Assad senza l’annuncio di nuove vittime cadute in diverse città siriane e di sfollati che fuggono la repressione del regime per trovare rifugio nella vicina Turchia.

di Salah Methnani

Rainews24 (Diario Arabo) - I dati ufficiali del governo di Ankara parlano di 25 mila profughi arrivati ad Antakya dall’inizio della rivolta. Ma non c’è nessun dato attendibile finora sul numero dei feriti che sono stati ricoverati nelle strutture ospedalieri turche. A chi chiediamo perché non si riesce ad ottenere informazioni di questo tipo risponde che la questione dei feriti è un argomento delicato. Il numero che ci forniscono alcune organizzazioni internazionali che operano in territorio turco ci lascia perplessi. Ci sarebbero circa 300 feriti in totale a fronte di oltre 9000 morti censiti dagli attivisti finora.

L’odissea dei feriti siriani, vittime dei bombardamenti e dei raid aeri dell’esercito regolare inizia entro i confini del paese mediorientale. Riportare ferite da arma da fuoco o da scheggi di missili è considerato un crimini per il regime. Significa, per chi dice di combattere contro dei gruppi terroristi essere un rivoltoso oppure un simpatizzante dell’esercito libero siriano. Le persone colpite durante l’offensiva dell’esercito di Bashar Al Assad non vengono quindi trasportate negli ospedali governativi ma curati in strutture clandestine prive di attrezzature adeguate. Dispensari fai da te gestiti da medici e infermieri volontari che fanno del loro meglio per tenere in vita i loro pazienti. Chi riesce a sopravvivere alle sue ferite viene poi trasportato da un villaggio all’altro lungo percorsi molto tortuosi finché non raggiunge il territorio turco. E qui inizia un altro viaggio non meno drammatico di quello intrapreso durante la fuga dalla Siria.

Le strutture ospedaliere pubbliche messe a disposizione dal governo turco ad Antakya per ospitare i feriti siriani sono due: l’ospedale nazionale, e quello universitario. Due strutture il cui staff medico cerca di fare del suo meglio per far fronte a questa emergenza umanitario ma che si ritrova spesso costretto ad abdicare. I motivi sono due: la mancanza di mezzi da una parte e la scarsa preparazione medica dall’altra dello staff turco che lavora in queste strutture e questo a detta di tanti feriti con cui abbiamo parlato. Spesso i pazienti ricoverati negli ospedali pubblici turchi vengono trasferiti dopo aver subito diversi interventi chirurgici non riusciti in cliniche private. Chi lo dice di solito sono medici siriani volontari giunti qui per cercare di soccorrere i loro connazionali. Se le spese delle strutture pubbliche sono a carico del governo Turco le fatture delle cliniche private invece devono essere saldate dai pazienti stessi.

Ad Antakya sono due le cliniche private dove vengono ricoverati i feriti della guerra civili in Siria dopo il loro passaggio nelle strutture ospedalieri pubbliche: La clinica di Dafne, e una altra che non ha nome ma che è gestita direttamente da medici volontari siriani. A dafne commercianti facoltosi siriani saldano le fatture dei ricoveri e degli interventi chirurgici. Mentre l’edificio adibito ad una clinica dove ci sono circa 25 feriti vive grazie ai contributi della comunità siriana che vive sia in Turchia che all’estero. Il Consiglio Nazionale Siriano stando ad alcune testimonianze di operatori sanitari che seguono i feriti manda dei soldi che nessuno sa però come vengono gestiti. In alcuni casi in effetti gli stessi profughi ricoverati nell’edifico privato composto di tre piani e trasformato in una casa di cura lamentano le pessime condizioni in cui versano, e dicono che hanno vissuti per parecchio tempo con un solo pasto al giorno. Ma quello che fa infuriare di più i feriti in questa casa è la decisione da parte di alcuni responsabili della struttura di trasferirli nei campi profughi per lasciare posto a nuovi arrivati. Ma loro non ne vogliono sapere niente perché non sono ancora autosufficienti e un loro trasferimento peggiorerebbe le loro condizioni di salute. . “Nessuno di noi vuole rimanere in Turchia” dice uno di loro che abbiamo incontrato in questa casa di cura , un soldato che ha disertato l’esercito regolare per unirsi ai combattenti., “appena guariti intendiamo tornare in Siria per combattere contro la tirannia nel loro paese”.

Dall’inizio della crisi in Siria la Turchia si è detta pronta a dare rifugio ai perseguitati siriani che sono arrivati sul suo territorio rifiutando qualsiasi aiuto internazionale. Ma a causa del perdurare della crisi il governo di Ankara non sembra in grado di far fronte all’emergenza umanitaria che lo ha investito. No negare l’ospitalità ai profughi siriani è un conto, saperli accogliere bene e curare è un altro. Richiede esperienza che la Turchia non sembra avere. Sarà per questo che il Ministro Degli Affari Esteri Turco Ahmed Dawood oglu ha fatto un accenno in un suo recente discorso all’eventuale necessità del coinvolgimento delle Nazioni Unite per gestire la crisi umanitaria dei siriani in Turchia.

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