giovedì, maggio 17, 2012
La tendenza sta prendendo corpo in diverse diocesi, parrocchie e facoltà teologiche: si privilegia il libero esame della Bibbia sganciato dal Magistero e dalla Tradizione. La mentalità protestante è penetrata soprattutto nel Nord Italia: c’è il rischio di deviazioni dalla fede e dalla dottrina?


di Alberto Giannino

La Chiesa guidata da papa Benedetto XVI nel terzo millennio sta attraversando al suo interno un momento non facile, assediata da teologi e vescovi che guardano con sempre maggiore interesse alla teologia protestante, mettendo al centro un Libro, e non già Gesù Cristo Crocifisso e Risorto. Ci sono non pochi presbiteri, teologi e vescovi che contestano apertamente nelle Facoltà Teologiche o nelle loro parrocchie e Diocesi la dottrina e la fede cattolica. Si ribellano al Magistero ecclesiastico, alla Tradizione, e vogliono il “libero esame” della Sacra Scrittura, contrariamente a quanto stabilisce in maniera chiara e inequivocabile la costituzione dogmatica Dei Verbum del Concilio Vaticano II.

Per Benedetto XVI, che viene dalla Germania ed è stato docente a Bonn, Munstenr, Frisinga, Ratisbona e Tubinga, non è una novità la teologia protestante, ma il fenomeno sta crescendo in maniera considerevole aggredendo la dottrina cattolica. Da una parte il libero esame della Scrittura, dall’altra il discorso molto delicato del rifiuto e della negazione dei dogmi cattolici, che non va sottovalutato per niente. Fra questi biblisti è diffusa la critica corrosiva, lo scetticismo desolato, il dubbio sistematico, il sofisma abituale, un malinteso pluralismo: tutti mali che mettono in discussione l’unità della Chiesa e l’autorità del successore di Pietro.

Oggi l’ortodossia, cioè la purezza della dottrina, non sembra essere al primo posto nella psicologia dei cristiani; quante cose, quante verità sono messe in questione; quanta libertà si rivendica nei confronti col patrimonio autentico della dottrina cattolica, non solo per studiarlo nelle sue ricchezze, per approfondirlo e per meglio spiegarlo agli uomini del nostro tempo, ma talora per sottoporlo a quel relativismo (denunciato nel 2005 dall’allora card. Joseph Ratzinger di fronte al Collegio dei cardinali) in cui il pensiero profano sperimenta la sua precarietà e in cui cerca la sua nuova espressione, ovvero per adattarlo e quasi per commisurarlo al gusto moderno e alla capacità recettiva della mentalità corrente. Qualche pericolo va evidenziato, specialmente quello dell’arbitrio, e quello perciò d’una disgregazione dell’unità spirituale della società ecclesiale, della eccellenza della preghiera e della dignità del rito.

Dicevamo che le difficoltà nella Chiesa di Benedetto XVI sorgono soprattutto dagli studi filologici, esegetici, storici, applicati a quella prima fonte della verità rivelata che è la sacra Scrittura: privo del complemento fornito dalla Tradizione e dell’autorevole assistenza del magistero ecclesiastico, anche lo studio della sola Bibbia è pieno di dubbi e di problemi, che sconcertano la fede, più che confortarla. E lasciato all’iniziativa individuale, genera un pluralismo tale di opinioni da scuotere la fede nella sua soggettiva certezza e da toglierle la sua sociale autorevolezza; così che una tale fede produce ostacoli all’unità dei credenti, mentre la fede deve essere la base della ideale e spirituale convergenza: “Una è la fede” (Ef 4, 5) dice san Paolo.

Questo sforzo di adattamento della Parola di Dio rivelata alla comprensione dei Fedeli è esposto al pericolo di andare oltre l’intenzione che lo rende lodevole, e oltre la misura che lo mantiene fedele al messaggio divino; c’è il pericolo di ambiguità, di reticenza o di alterazione dell’integrità di tale messaggio, quando non sia addirittura indotto nella tentazione di scegliere nel tesoro delle verità rivelate quelle che piacciono, tralasciando le altre, ovvero nella tentazione di modellare queste verità secondo concezioni arbitrarie e particolari, non più conformi al senso genuino di quelle verità. Pericolo e tentazione che sono di tutti, perché tutti, venendo a contatto con la Parola di Dio, cercano di adattarla alla propria mentalità, alla propria cultura; di sottoporla cioè a quel libero esame che toglie alla medesima Parola di Dio il suo univoco significato e la sua obbiettiva autorità, e finisce per privare la comunità dei credenti dell’adesione ad una identica verità, ad una medesima fede: la "una fides" si disintegra, e con essa quella stessa comunità che si chiama la Chiesa unica e vera. Basterebbe questa osservazione per convincersi della bontà del disegno divino che vuole protetta la Parola rivelata, contenuta nella Scrittura e nella tradizione apostolica, da un canale trasmittente, cioè da un magistero visibile e permanente, autorizzato a custodire, a interpretare, a insegnare quella Parola.

La Tradizione in particolare si pone sia come costitutiva, insieme con la Sacra Scrittura, della rivelazione, sia come trasmissione autentica e impegnativa, con l’assistenza dello Spirito Santo mediante il magistero della Chiesa, della rivelazione stessa. La tradizione, quella vera, è una radice, non un vincolo; è un patrimonio insostituibile, un alimento, una risorsa, una coerenza vitale. Quale sia questo tesoro, dal quale il cristiano sapiente estrae le cose antiche e le cose nuove, come ci insegna il Signore, non è cosa facile e breve a dirsi; occorre un carisma speciale, il magistero ecclesiastico, al quale è assicurata, specialmente nei momenti decisivi, l’assistenza dello “Spirito di verità” (Gv 14, 17; 16, 13); esso avrà la missione d’insegnare, di custodire, d’interpretare la dottrina della fede e di precisarne le applicazioni alla vita vissuta.

Le deviazioni possibili in questo campo sono quindi principalmente due, com’è noto: la prima è quella che restringe alla sola Sacra Scrittura l’ambito della fede, quando si sa che la Sacra Scrittura stessa è nata dall’insegnamento orale, dalla Tradizione della Chiesa primitiva; la seconda poi è quella di pretendere di dare alla fede cristiana un’interpretazione propria, originale, arbitraria, un “libero esame” incurante dell’insegnamento di chi ha l’obbligo di “custodire il deposito” (1 Tim. 6, 20), e di “evitare, come raccomanda S. Paolo, le novità profane di espressioni e le contraddizioni di quella che falsamente si chiama scienza”. La conclusione è che di fronte alla tendenza del libero esame della Sacra Scrittura (depurato dalla Tradizione e dal Magistero) che sta prendendo piede nella Chiesa Cattolica, occorre vivere nella cognizione di Dio ricordandoci, come diceva il filosofo napoletano Giambattista Vico alla fine del 1600, che “Dio è l’architetto della storia, e fabbro è l’uomo.”

Sono presenti 2 commenti

Anonimo ha detto...

questo articolo così accorato e ancorato alla teologia perenne non tiene in conto l'arbitrarietà e la cinematografia delle traduzioni 'ufficiali' della bibbia in italiano... l'autore si provi a contarle e poi per curiosità legga l'articolo due della costituzione della repubblica greca e forse noterà qualcosa che non funziona all'interno del magistero stesso cui tutti se vogliamo restare 'cattolici' dobbiamo sottostare con pieno assenso

Alberto Giannino ha detto...

L'unità non significa dissenso dottrinale, magistero parallelo, negazione dei dogmi per favorire un malinteso pluralismo religioso.Occorre attingere contemporaneamente alla s. Tradizione, al Magistero ecclesiastico, e alla S. Scrittura come stabilisce la costituzione dogmatica Dei Verbum evitando il libero esame...

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