giovedì, maggio 03, 2012
Questi ultimi decenni hanno segnato per la cultura del nostro paese il repentino evolversi dell'istituzione familiare: in poco tempo si è passati dalla famiglia patriarcale a quella “nucleare" (di un solo nucleo) alla “quasi” famiglia dei nostri giorni, dove tutto è relativo, temporaneo ed effimero

di don Mario Bandera*

Questo passaggio non è stato né semplice né indolore: la ferita aperta da questo cambiamento dell'istituzione familiare è tutt'ora sanguinante e la cicatrice creatasi è ben lontana dall'essersi rimarginata. Tale situazione di fatto crea diversi interrogativi in quanto come credenti, o più semplicemente uomini e donne di buona volontà, non ci rassegniamo a stare muti e attoniti di fronte alle sfide che la storia ci lancia, ma vogliamo essere protagonisti proprio per non rimanere insensibili ai segni dei tempi. Prendendo atto quindi che, oggi come oggi, a causa della globalizzazione c'è una profonda interdipendenza (economica, culturale, politica ecc.) fra tutti gli abitanti e fra tutte le nazioni della terra: non possiamo distogliere lo sguardo dal vasto orizzonte del Mondo sul quale si svolge la complessa vicenda della grande famiglia umana.

La famiglia d'oggi, quindi, se nel mettere al mondo i figli e nell'educarli non tenesse davanti agli occhi il reale momento storico che viviamo, lascerebbe i giovani impreparati ad affrontare la complessità dei problemi che si presentano loro e renderebbe con ciò stesso più remota la speranza di un mondo più unito, più giusto e più libero. La famiglia é quindi chiamata ad "aprirsi" se vuole rinnovarsi, é chiamata a svolgere un compito completamente nuovo, é chiamata ad essere aperta ai problemi del mondo, e a scoprire quei valori nuovi in grado di fermentare la società attuale.

Dunque, famiglia "aperta" ai problemi del mondo, alle sollecitazioni della Storia, ai segni dei Tempi. Ma con un'apertura che passa da una precisa presa di posizione, quella cioè di rifiutare un modello di vita che ha portato la maggior parte delle famiglie attuali a rinchiudersi su se stesse, ad adottare come la cosa più naturale del mondo uno stile di vita consumistico. La prima condizione perciò, che si richiede alle famiglie che vogliono "essere aperte e solidali" é la capacità di sottrarsi a quella moderna piovra che è il consumismo. In quanto il consumismo non è solo una logica conseguenza del nostro costume sociale legato al mercato (come affermano alcune anime semplici)… ne è l'anima! Ciò che si rifiuta del consumismo è la schiavitù che esso esercita sugli uomini. Lo star meglio, il possedere di più, il raggiungere un livello di vita che sia sempre alla pari con quello che una pubblicità incessante propone.

Questa logica presuppone il primato dell'economia sulla persona per cui chi non produce viene automaticamente emarginato; la persona stessa (e quindi la famiglia) è in funzione del meccanismo del guadagno e del consumo. Questo meccanismo per autoalimentarsi postula lo sfruttamento sistematico del Terzo Mondo, in quanto nonostante le belle parole che vengono spese nei vari incontri internazionali non si fa assolutamente nulla per aiutare i popoli in via di sviluppo ad uscire dalla loro situazione. Il consumismo quindi è per sua natura intrinseca contro la libertà, contro la giustizia e quindi contro la pace. E da questa spirale si esce solamente ripudiandone ciò che forma la struttura stessa del sistema: la filosofia consumistica della vita.

Nel sistema consumistico la famiglia ha un ruolo fondamentale, é un anello indispensabile. Per due motivi: primo, perché é nella famiglia che si decidono e si fanno la maggior parte delle spese. La società moderna che ha tolto alla famiglia molte prerogative e funzioni le ha lasciato questa, trasformandola in agenzia di consumi.

Secondo motivo: è la famiglia che inculca nei bambini la moltiplicazione dei desideri e la necessità di soddisfarli. In tal modo la famiglia sopporta il peso del sistema e ne diventa la principale cinghia di trasmissione. Occorre rompere questa cinghia, spezzare questo meccanismo; presa da questa logica la famiglia alla fine non trova più spazio per se stessa in quanto impegnata a lavorare per guadagnare di più, salvo poi chiedersi come mai il mondo vada così male e perché i figli non riconoscono ai genitori il merito del lavoro, dei sacrifici e dell'abnegazione.

La famiglia che vuole essere aperta al mondo deve perciò scegliere un diverso modello di vita, deve rifiutarsi di fare un gioco che alla fine si rileva deleterio per se stessa, per i propri figli e per la maggior parte dell'umanità, creando ricchezze e privilegi da una parte, oppressioni e miserie dall'altra. Si tratta quindi di vivere la povertà evangelica non come mancanza di decoro, o rinuncia al necessario, ma come libertà dal denaro, dalle cose, dalle offerte spudorate della pubblicità. Parlare oggi di povertà può far sorridere, visti i pressanti inviti a spendere e a consumare che ci vengono propinati dall’alto, ma solo vivendo autenticamente lo spirito evangelico di povertà si può attuare l'unica rivoluzione possibile ai nostri giorni.

Un programma di sobrietà di vita dunque, come sollecitato da autorevoli interventi del Magistero, fatto proprio da tutti coloro che vogliono vivere fuori dalle schiavitù del consumismo, attraverso una radicale eliminazione del superfluo, e una schietta e serena compartecipazione dei doni ricevuti, il tutto vissuto in un clima di festa, proprio da coloro che liberati dalle cose, si scoprono più liberi e più disponibili per "donarsi". reciprocamente. Una famiglia che decide di vivere con questo spirito, automaticamente oltre che ad aprirsi, si ritroverà ad essere anche "accogliente", capace di accettare e di accettarsi, di scoprire le necessità più impellenti del territorio e del mondo e di inserirsi con coraggio, scoprendosi perciò stessa missionaria ed aperta agli altri, specialmente coloro, che più hanno bisogno di tenerezza ed amicizia. Ed é su questa famiglia aperta al mondo che si gioca il futuro dell'Umanità e della Chiesa: credere che ciò sia possibile può diventare una speranza viva e concreta per l’intera famiglia umana.

* Direttore dell’Ufficio per i Problemi Sociali e del Lavoro Diocesi di Novara

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