Un decimo delle specie non riusciranno a spostarsi in tempo in altri habitat. Un rifugio sicuro potrebbe essere fuori portata per il 9% delle specie di mammiferi dell'emisfero occidentale, e fino al 40% delle specie in alcune regioni non sarebbero in grado di sfuggire all'avanzata del global warming, perché gli animali non sono in grado di spostarsi con sufficiente prontezza per superare i cambiamenti climatici.
GreenReport - E' quanto emerge da una ricerca dell' università di Washington, Seattle, pubblicata su Proceedings of the National Academy of Sciences. La principale autrice dello studio, Carrie Schloss, una ricercatrice in scienze forestali ed ambientali, sottolinea che «Gli scienziati nell'ultimo decennio hanno delineato nuove aree adatte per i mammiferi che potrebbero spostarsi quando il cambiamento climatico renderà inospitale e quindi invivibile il loro attuale habitat. Per la prima volta un nuovo studio prende in considerazione se i mammiferi saranno effettivamente in grado di muoversi verso queste nuove aree prima che le loro siano invase dai cambiamenti climatici. Abbiamo sottovalutato la vulnerabilità dei mammiferi al cambiamento climatico quando abbiamo guardato aslle proiezioni delle zone con il clima adatto ma non anche alla capacità dei mammiferi di spostarsi, o disperdersi, nelle nuove zone».
Infatti, gli scienziati in passato avevano fatto proiezioni che prevedevano che più della metà delle specie avrebbero potuto espandere il loro areale di fronte al cambiamento climatico che avanza, ma la nuova ricerca evidenzia che anche se questi habitat saranno a disposizione, gli animali non saranno in grado di espandersi nelle nuove aree abbastanza velocemente.
Il team di ricercatori, che comprendeva anche Tristan Nuñez, che ora lavora all'University of California di Berkeley, ha rapidamente collegato il modo in cui una specie riesce a disperdersi sul territorio con la quale gli individui che la compongono lo fanno davvero. In questo caso, gli scienziati hanno valutato gli animali che si disperdono una volta per ogni generazione. «È comprensibile, per esempio, che un topo potrebbe non andare troppo lontano a causa delle sue dimensioni - spiegano - Ma se ci sono molte generazioni c he nascono ogni un anno, poi il topo si sposta regolarmente rispetto a un mammifero che rimane diversi anni con i suoi genitori in un luogo, prima di essere abbastanza vecchio per riprodursi e occupare un nuovo territorio».
E' proprio il caso dei primati dell'emisfero occidentale, «Che hanno bisogno di diversi anni per diventare sessualmente maturi, il che contribuisce alla loro basso tasso di dispersione ed è uno dei motivi che li rende particolarmente vulnerabili ai cambiamenti climatici - spiega la Schloss - Un'altra ragione è che il territorio con il clima adatto dovrebbe ridursi e gli animali per raggiungere nuove aree ai tropici in genere devono andare più lontano rispetto alle regioni montane, dove gli animali possono muoversi più velocemente ad una quota diversa e ad un clima che li soddisfi. Questi fattori fanno sì che i primati di quasi tutto l'emisfero sperimenteranno una drastica riduzione dei loro areali. In media circa il 75%. Allo stesso tempo, specie con elevati tassi di dispersione che possono affrontare ad un ritmo più lento il cambiamento climatico si prevede che amplieranno il loro areale».
Le specie "lente" dell'emisfero occidentale, che non sono in grado di fuggire di fronte al global warming annoverano molte specie di primati come i tamarini, le scimmie ragno, uistitì, e scimmie urlatrici, alcune delle quali già in pericolo di estinzione, anche toporagni e talpe difficilmente riusciranno a superare le minacce dei cambiamenti climatici.
I vincitori della spietata gara del global warming, che rischia di riscrivere la mappa vivente dei mammiferi americani (e non solo), sembrano essere i carnivori opportunisti come i lupi e i coyote, ma anche erbivori come cervi e caribù, mentre in Sudamerica armadilli e formichieri dovrebbero cavarsela egregiamente.
L'analisi ha riguardato 493 mammiferi dell'emisfero occidentale, che vanno dall'enorme e pesante alce al minuscolo toporagno. I ricercatori dell'università di Washington hanno preso in considerazione solo il cambiamento climatico e non altri fattori che causano la dispersione degli animali, come ad esempio la competizione con altre specie. Per determinare quanto velocemente le specie devono spostarsi in nuovi areali per superare i cambiamenti climatici, il team americano ha hanno utilizzato un precedente lavoro di Joshua Lawler, un professore associato di scienze forestali e ambientali dell'università di Washington, che determinava le aree con il clima adatto i per ciascuna specie, insieme a quanto velocemente potrebbe verificarsi il cambiamento climatico, sulla base di 10 modelli climatici globali e allo scenario medio-alto delle emissioni di gas serra dell' Intergovernmental panel on climate change dell'Onu.
«Le nostre cifre sono abbastanza conservatrici, persino ottimistiche sulla visione di ciò che potrebbe accadere perché il nostro approccio presuppone che gli animali vadano sempre nella direzione necessaria per evitare cambiamenti climatici e ad un tasso massimo per loro - ha sottolineato Lawler - I ricercatori sono stati prudenti anche nel tenere conto degli ostacoli costruiti dall'uomo, come le città e le terre coltivate che gli animali incontrano. Per l'analisi complessiva hanno utilizzato la formula precedentemente sviluppato dell'"average human influence" che mette in evidenza le regioni in cui gli animali possano incontrare un intenso sviluppo umano. Questa non tiene conto dei tempi di transito se gli animali devono passare da territori completamente dominati dagli esseri umani. Penso che sia importante sottolineare che in passato, quando i climi sono cambiati, tra i periodi glaciali e interglaciali, quando gli areali delle specie si sono contratti e ampliati, il territorio non era coperto da campi agricoli, da autostrade a quattro corsie e parcheggi, in modo che le specie potevano muoversi molto più liberamente attraverso il territorio».
La Carrie Schloss conclude: «I pianificatori della conservazione potrebbero aiutare alcune specie a tenere il passo con il cambiamento climatico puntando sulla connettività, collegando tra loro le aree che potrebbero servire come percorsi verso nuovi territori, in particolare quando gli animali incontrano un territorio con uno sviluppo umano. Per le specie che non sono in grado di tenere il passo, ridurre i fattori di stress legati al clima potrebbe contribuire a rendere le popolazioni più resilienti, ma alla fine la riduzione delle emissioni, e quindi la riduzione del ritmo dei cambiamenti climatici, potrebbe essere l'unico metodo certo per assicurare che le specie siano in grado di mantenere passo con i cambiamenti climatici».
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