Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino sono i magistrati che hanno portato in Calabria i metodi investigativi messi a punto da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino contro la mafia siciliana. Con le loro indagini hanno mostrato la faccia torbida delle relazioni tra la ‘ndrangheta e il Paese ufficiale. Ieri, alla libreria Incontro di Roma, hanno presentato un volume, scritto a quattro mani, che rivela come l’organizzazione criminale abbia contagiato trasversalmente tutta la penisola.
È come una pandemia: è il contagio, l’infezione della ‘ndrangheta. La ‘ndrangheta è un problema calabrese, palla al piede di una regione marchiata a fuoco da questo nome. Ma la ‘ndrangheta non riguarda solo la Calabria, è diffusa dappertutto, ha ramificazioni in tutto il mondo, controlla economie, si afferma con violenza dovunque ha interessi. È riuscita a infiltrarsi anche nelle regioni più ricche d’Italia, come la Lombardia, il Piemonte, la Liguria. L’agente patogeno nasce in una Calabria insalubre. Ma poi si trasmette altrove. La risposta immunitaria si rivela bassa anche in regioni che portano altri nomi. Ovunque c’è il buono e il marcio. E c’è anche una Calabria sana. Non solo la regione ombrosa e sotterranea, ma anche una Calabria diversa, che non si rassegna, che non ci sta. E anche una Calabria che per orgoglio vorrebbe chiamarsi fuori. Rischiando però di rasentare l’indifferenza. E il distacco rischia di diventare qualcosa di simile al consenso. Forse anche a questo si riferisce Prestipino quando afferma che «la ‘ndrangheta gode di un consenso sociale che è una delle chiavi di volta della sua forza e pericolosità. È sul consenso che bisogna lavorare per iniziare la battaglia contro le organizzazioni mafiose. E così sconfiggerle».
Ognuno deve partire dalle proprie responsabilità: i politici, la Chiesa, i giovani, gli imprenditori, gli operatori culturali. Al sud, come al nord. Infatti «la ‘ndrangheta – ha dichiarato Pignatone – ha contagiato alcune parti importanti del Nord Italia. È assurdo dire che l’intero settentrione del Paese sia contagiato, ma è sbagliato dire che questo contagio sia un pericolo astratto e non invece un rischio già concreto. È però ancora un processo reversibile e questo deve essere lo sforzo di tutti i magistrati e delle forze sane del Paese».
Attraverso “Il Contagio”, libro firmato da Pignatone e Prestipino e curato dal giornalista Gaetano Savatteri, i due magistrati lanciano una vera e propria battaglia socioculturale per sconfiggere la ‘ndrangheta. Una lotta fatta – lungo tutto lo Stivale – da strette di mani negate ai mafiosi, di consapevolezza, cultura e formazione. Alla presentazione del libro è intervenuto Lirio Abbate, giornalista minacciato dalla mafia, che ha detto come tra le righe de “Il Contagio” si trovi il senso concreto di «questa mala pianta che nasce e cresce in Calabria ma si diffonde in tutto il mondo». Una pianta cattiva che deve essere estirpata. Il regista Mimmo Calopresti ha affermato: «Sentire dalla voce autorevole di due magistrati che la mafia si può battere è molto positivo. La sfida culturale è una sfida altissima». Una sfida che si può, e si deve, vincere.
di Nadia Velardo
È come una pandemia: è il contagio, l’infezione della ‘ndrangheta. La ‘ndrangheta è un problema calabrese, palla al piede di una regione marchiata a fuoco da questo nome. Ma la ‘ndrangheta non riguarda solo la Calabria, è diffusa dappertutto, ha ramificazioni in tutto il mondo, controlla economie, si afferma con violenza dovunque ha interessi. È riuscita a infiltrarsi anche nelle regioni più ricche d’Italia, come la Lombardia, il Piemonte, la Liguria. L’agente patogeno nasce in una Calabria insalubre. Ma poi si trasmette altrove. La risposta immunitaria si rivela bassa anche in regioni che portano altri nomi. Ovunque c’è il buono e il marcio. E c’è anche una Calabria sana. Non solo la regione ombrosa e sotterranea, ma anche una Calabria diversa, che non si rassegna, che non ci sta. E anche una Calabria che per orgoglio vorrebbe chiamarsi fuori. Rischiando però di rasentare l’indifferenza. E il distacco rischia di diventare qualcosa di simile al consenso. Forse anche a questo si riferisce Prestipino quando afferma che «la ‘ndrangheta gode di un consenso sociale che è una delle chiavi di volta della sua forza e pericolosità. È sul consenso che bisogna lavorare per iniziare la battaglia contro le organizzazioni mafiose. E così sconfiggerle».
Ognuno deve partire dalle proprie responsabilità: i politici, la Chiesa, i giovani, gli imprenditori, gli operatori culturali. Al sud, come al nord. Infatti «la ‘ndrangheta – ha dichiarato Pignatone – ha contagiato alcune parti importanti del Nord Italia. È assurdo dire che l’intero settentrione del Paese sia contagiato, ma è sbagliato dire che questo contagio sia un pericolo astratto e non invece un rischio già concreto. È però ancora un processo reversibile e questo deve essere lo sforzo di tutti i magistrati e delle forze sane del Paese».
Attraverso “Il Contagio”, libro firmato da Pignatone e Prestipino e curato dal giornalista Gaetano Savatteri, i due magistrati lanciano una vera e propria battaglia socioculturale per sconfiggere la ‘ndrangheta. Una lotta fatta – lungo tutto lo Stivale – da strette di mani negate ai mafiosi, di consapevolezza, cultura e formazione. Alla presentazione del libro è intervenuto Lirio Abbate, giornalista minacciato dalla mafia, che ha detto come tra le righe de “Il Contagio” si trovi il senso concreto di «questa mala pianta che nasce e cresce in Calabria ma si diffonde in tutto il mondo». Una pianta cattiva che deve essere estirpata. Il regista Mimmo Calopresti ha affermato: «Sentire dalla voce autorevole di due magistrati che la mafia si può battere è molto positivo. La sfida culturale è una sfida altissima». Una sfida che si può, e si deve, vincere.
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