In aula al processo Mori il racconto del pianto del magistrato e dell’agente dei servizi che bussava alle porte dei Pm
Liberainformazione - Nomi “pesanti” quelli usciti fuori dalla testimonianza dinanzi al Tribunale di Palermo dell’ex pm Alessandra Camassa, oggi presidente di sezione al Tribunale di Trapani. Il processo è quello che vede imputati due ufficiali dei carabinieri, uomini di punta del Ros, il reparto operativo speciale dei carabinieri, il generale Mori e il colonnello Obinu. Il dibattimento è parecchio conosciuto, è quello che comincia da una mancata cattura di un super latitante, il capo mafia Bernardo Provenzano, e poi ha aperto squarci su quella che è stata, ma forse non è del tutto esaurita, la trattativa tra mafia e Stato, con i carabinieri, imputati, che secondo l’accusa non sarebbero stati fedeli alle istituzioni.
Il giudice Camassa è stata sentita dapprima nella istruttoria che riguarda la strage di via D’Amelio dove fu ucciso Borsellino, 19 luglio 1992, ma anche la cosidetta “trattativa”, le sue dichiarazioni sono inserite nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dalla Procura di Caltanissetta che ha riaperto l’inchiesta sulla strage di via D’Amelio, ma in quelle dichiarazioni sono contenute anche circostanze che all’epoca potevano sembrare normali, ma lette oggi, quando si ha ormai contezza dell’esistenza di depistaggi e “tradimenti”, presentano incredibili prospettive e fanno vedere uomini dello Stato tenere comportamenti molto ambigui. E uno di questi “tradimenti” Paolo Borsellino lo scoprì e ne parlò proprio con la Camassa che allora pubblico ministero a Marsala, quando Borsellino aveva oramai lasciato la direzione di quell’ufficio ed era arrivato alla Dda di Palermo da Procuratore aggiunto, incontrava ancora il procuratore per raccordarsi sullo svolgimento di alcuni processi.
Fu in una di queste occasioni che di colpo Paolo Borsellino si alzò dalla sedia di lavoro si distese in un divano della stessa stanza e scoppiò a piangere parlando che qualcuno lo aveva tradito. "A fine giugno del 1992 io e il collega Massimo Russo avemmo un incontro con Borsellino. Era un dialogo normale, si parlava di indagini. A un certo punto lui si alzò, si stese sul divano e cominciò a lacrimare e disse: non posso credere che un amico mi abbia tradito'". "Ebbi la sensazione netta - ha proseguito- che avesse ricevuto da pochissimo una notizia e che fosse ancora sconvolto. Tanto da sfogarsi con le prime persone entrate nella sua stanza". Di più dalla bocca di Borsellino non uscì, la Camassa ha descritto l’atmosfera, “c’era una sorta di imbarazzo, ed ero così imbarazzata che quasi cambiai discorso. Pensai a uno sfogo personale e non volli essere invadente".
L’incontro è a poche settimane dalla strage di Capaci e quando oramai quella di via D’Amelio non era distante, ma nessuno dei presenti in quella stanza poteva saperlo, c’era tensione questo si, e però quello sfogo rimase non chiarito: "Quando allora ascoltai le parole di Borsellino e lo vidi scoppiare a piangere - ha detto ancora il giudice Alessandra Camassa - non lo ricollegai ad alcuna attività d'indagine. Pensai a un problema personale, e però – ha aggiunto - se fossi stata chiamata a testimoniare prima probabilmente l'avrei detto". Cosa significa? Significa che per le indagini su via d’Amelio le testimonianze di chi era a stretto contatto con Paolo Borsellino, che lavorava con il procuratore aggiunto della Dda di Palermo, non vennero ritenute necessarie e nessuno pensò a raccoglierle.
“Se fosse stato fatto – ha proseguito il giudice Camassa – quell’episodio l’avrei certamente rievocato”. In quel tempo c’erano altri che semmai chiedevano notizie sul lavoro che Paolo Borsellino stava facendo nei giorni in cui “una regia raffinata” – così sicuramente sarebbe giusto chiamarla – metteva a punto la strage per ucciderlo. E il giudice Alessandra Camassa ha così ricordato degli incontri con uno dei responsabili dell’Alto Commissariato antimafia, oggi prefetto, Angelo “Ninni” Sinesio che spesso sarebbe andato a bussare alla sua porta. "Dopo la strage di via D’Amelio mi chiamò per chiedermi di incontrarci e nel corso di un incontro mi fece un sacco di domande sulle ultime indagini di Borsellino. Era insistente, voleva sapere se erano venuti fuori elementi sull'imprenditore agrigentino Salamone e sul ministro Mannino. Io non diedi troppo peso alla cosa ma mio marito (l’ex procuratore di Sciacca e consigliere del Csm, Dino Petralia ndr) si meravigliò di tutte quelle domande". Sinesio non era sconosciuto alla Camassa, “talvolta lo vedevamo assieme a Paolo Borsellino”. Con “Ninni” Sinesio la Camassa andò anche a pranzo, in quella occasione avrebbe spinto la Camassa a riferire delle rivelazioni fatte a Borsellino dal pentito Gaspare Mutolo sull'ex numero due del Sisde Bruno Contrada, quando all’epoca l’indagine che avrebbe portato all’arresto e poi alla condanna di Contrada era stata già aperta . "Quando finii di parlare - ha detto il giudice Camassa - Sinesio si alzò come se fosse in preda a un attacco di tosse e andò in bagno. Mio marito mi disse: guarda che è andato a telefonaré. Poi seppi che Contrada era stato avvertito delle indagini a suo carico".
Una circostanza che è già entrata nel processo su Contrada, Sinesio fu sentito in quel processo e fornì altra versione, informò i superiori del Sisde di quelle indagini quasi che dovessero stare attenti a Contrada. Nel processo poi si è parlato dell’ex maresciallo Carmelo Canale, braccio destro di Borsellino. "Più volte – ha riferito il giudice Camassa - l'ultima il 4 luglio del 1992, in occasione della cerimonia di saluto a Marsala - il maresciallo Canale mi disse che Borsellino a suo avviso si fidava troppo dei vertici del Ros". Canale – ha spiegato il giudice - mi aveva detto altre volte che secondo lui Borsellino si fidava troppo del Ros, ma io non ho mai parlato di questo con Paolo perché non gli ho mai dato troppo peso. Il maresciallo mi fece capire - ha concluso - che lui aveva provato, invano, a metterlo in guardia". Ma chi era il famoso traditore? Che ruolo può avere avuto l’allora colonnello Mori? E cosa accadeva in quei giorni d’estate del 1992 alla Procura di Palermo? Il giudice Camassa non ha saputo aggiungere altri elementi: "Borsellino mi ha sempre parlato bene del generale Subranni e dell'allora colonnello Mori facendomi capire che di loro si fidava". E però quel pianto a dirotto, quel riferimento al fatto di essere stato tradito, Borsellino lo fece l’indomani di una cena avuta con i vertici del Ros, come ha ricordato l’altro teste, l’ex pm oggi assessore regionale alla Sanità Massimo Russo: “Mi parlò di una cena con ufficiali dei carabinieri a Roma, poi all'improvviso disse qualcuno mi ha tradito. Quasi per sdrammatizzare io gli chiesi come andava in Procura. E lui rispose qui è un nido di vipere. Borsellino - ha aggiunto Russo - dopo la strage di Capaci era un uomo piegato. In quell'occasione parlò di un incontro a Roma con ufficiali dell'Arma, poi si alzò e disse un amico mi ha tradito. Si accasciò sul divano e pianse".
“Fu una scena che lasciò sia me che la collega Camassa senza parole, tante volte mi rimprovero di non avere chiesto a Paolo chi lo avesse tradito”. E quel nome oggi in aula si è cercato di individuarlo, ma nessuno dei testi ha potuto essere d’aiuto.
Liberainformazione - Nomi “pesanti” quelli usciti fuori dalla testimonianza dinanzi al Tribunale di Palermo dell’ex pm Alessandra Camassa, oggi presidente di sezione al Tribunale di Trapani. Il processo è quello che vede imputati due ufficiali dei carabinieri, uomini di punta del Ros, il reparto operativo speciale dei carabinieri, il generale Mori e il colonnello Obinu. Il dibattimento è parecchio conosciuto, è quello che comincia da una mancata cattura di un super latitante, il capo mafia Bernardo Provenzano, e poi ha aperto squarci su quella che è stata, ma forse non è del tutto esaurita, la trattativa tra mafia e Stato, con i carabinieri, imputati, che secondo l’accusa non sarebbero stati fedeli alle istituzioni.
Il giudice Camassa è stata sentita dapprima nella istruttoria che riguarda la strage di via D’Amelio dove fu ucciso Borsellino, 19 luglio 1992, ma anche la cosidetta “trattativa”, le sue dichiarazioni sono inserite nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dalla Procura di Caltanissetta che ha riaperto l’inchiesta sulla strage di via D’Amelio, ma in quelle dichiarazioni sono contenute anche circostanze che all’epoca potevano sembrare normali, ma lette oggi, quando si ha ormai contezza dell’esistenza di depistaggi e “tradimenti”, presentano incredibili prospettive e fanno vedere uomini dello Stato tenere comportamenti molto ambigui. E uno di questi “tradimenti” Paolo Borsellino lo scoprì e ne parlò proprio con la Camassa che allora pubblico ministero a Marsala, quando Borsellino aveva oramai lasciato la direzione di quell’ufficio ed era arrivato alla Dda di Palermo da Procuratore aggiunto, incontrava ancora il procuratore per raccordarsi sullo svolgimento di alcuni processi.
Fu in una di queste occasioni che di colpo Paolo Borsellino si alzò dalla sedia di lavoro si distese in un divano della stessa stanza e scoppiò a piangere parlando che qualcuno lo aveva tradito. "A fine giugno del 1992 io e il collega Massimo Russo avemmo un incontro con Borsellino. Era un dialogo normale, si parlava di indagini. A un certo punto lui si alzò, si stese sul divano e cominciò a lacrimare e disse: non posso credere che un amico mi abbia tradito'". "Ebbi la sensazione netta - ha proseguito- che avesse ricevuto da pochissimo una notizia e che fosse ancora sconvolto. Tanto da sfogarsi con le prime persone entrate nella sua stanza". Di più dalla bocca di Borsellino non uscì, la Camassa ha descritto l’atmosfera, “c’era una sorta di imbarazzo, ed ero così imbarazzata che quasi cambiai discorso. Pensai a uno sfogo personale e non volli essere invadente".
L’incontro è a poche settimane dalla strage di Capaci e quando oramai quella di via D’Amelio non era distante, ma nessuno dei presenti in quella stanza poteva saperlo, c’era tensione questo si, e però quello sfogo rimase non chiarito: "Quando allora ascoltai le parole di Borsellino e lo vidi scoppiare a piangere - ha detto ancora il giudice Alessandra Camassa - non lo ricollegai ad alcuna attività d'indagine. Pensai a un problema personale, e però – ha aggiunto - se fossi stata chiamata a testimoniare prima probabilmente l'avrei detto". Cosa significa? Significa che per le indagini su via d’Amelio le testimonianze di chi era a stretto contatto con Paolo Borsellino, che lavorava con il procuratore aggiunto della Dda di Palermo, non vennero ritenute necessarie e nessuno pensò a raccoglierle.
“Se fosse stato fatto – ha proseguito il giudice Camassa – quell’episodio l’avrei certamente rievocato”. In quel tempo c’erano altri che semmai chiedevano notizie sul lavoro che Paolo Borsellino stava facendo nei giorni in cui “una regia raffinata” – così sicuramente sarebbe giusto chiamarla – metteva a punto la strage per ucciderlo. E il giudice Alessandra Camassa ha così ricordato degli incontri con uno dei responsabili dell’Alto Commissariato antimafia, oggi prefetto, Angelo “Ninni” Sinesio che spesso sarebbe andato a bussare alla sua porta. "Dopo la strage di via D’Amelio mi chiamò per chiedermi di incontrarci e nel corso di un incontro mi fece un sacco di domande sulle ultime indagini di Borsellino. Era insistente, voleva sapere se erano venuti fuori elementi sull'imprenditore agrigentino Salamone e sul ministro Mannino. Io non diedi troppo peso alla cosa ma mio marito (l’ex procuratore di Sciacca e consigliere del Csm, Dino Petralia ndr) si meravigliò di tutte quelle domande". Sinesio non era sconosciuto alla Camassa, “talvolta lo vedevamo assieme a Paolo Borsellino”. Con “Ninni” Sinesio la Camassa andò anche a pranzo, in quella occasione avrebbe spinto la Camassa a riferire delle rivelazioni fatte a Borsellino dal pentito Gaspare Mutolo sull'ex numero due del Sisde Bruno Contrada, quando all’epoca l’indagine che avrebbe portato all’arresto e poi alla condanna di Contrada era stata già aperta . "Quando finii di parlare - ha detto il giudice Camassa - Sinesio si alzò come se fosse in preda a un attacco di tosse e andò in bagno. Mio marito mi disse: guarda che è andato a telefonaré. Poi seppi che Contrada era stato avvertito delle indagini a suo carico".
Una circostanza che è già entrata nel processo su Contrada, Sinesio fu sentito in quel processo e fornì altra versione, informò i superiori del Sisde di quelle indagini quasi che dovessero stare attenti a Contrada. Nel processo poi si è parlato dell’ex maresciallo Carmelo Canale, braccio destro di Borsellino. "Più volte – ha riferito il giudice Camassa - l'ultima il 4 luglio del 1992, in occasione della cerimonia di saluto a Marsala - il maresciallo Canale mi disse che Borsellino a suo avviso si fidava troppo dei vertici del Ros". Canale – ha spiegato il giudice - mi aveva detto altre volte che secondo lui Borsellino si fidava troppo del Ros, ma io non ho mai parlato di questo con Paolo perché non gli ho mai dato troppo peso. Il maresciallo mi fece capire - ha concluso - che lui aveva provato, invano, a metterlo in guardia". Ma chi era il famoso traditore? Che ruolo può avere avuto l’allora colonnello Mori? E cosa accadeva in quei giorni d’estate del 1992 alla Procura di Palermo? Il giudice Camassa non ha saputo aggiungere altri elementi: "Borsellino mi ha sempre parlato bene del generale Subranni e dell'allora colonnello Mori facendomi capire che di loro si fidava". E però quel pianto a dirotto, quel riferimento al fatto di essere stato tradito, Borsellino lo fece l’indomani di una cena avuta con i vertici del Ros, come ha ricordato l’altro teste, l’ex pm oggi assessore regionale alla Sanità Massimo Russo: “Mi parlò di una cena con ufficiali dei carabinieri a Roma, poi all'improvviso disse qualcuno mi ha tradito. Quasi per sdrammatizzare io gli chiesi come andava in Procura. E lui rispose qui è un nido di vipere. Borsellino - ha aggiunto Russo - dopo la strage di Capaci era un uomo piegato. In quell'occasione parlò di un incontro a Roma con ufficiali dell'Arma, poi si alzò e disse un amico mi ha tradito. Si accasciò sul divano e pianse".
“Fu una scena che lasciò sia me che la collega Camassa senza parole, tante volte mi rimprovero di non avere chiesto a Paolo chi lo avesse tradito”. E quel nome oggi in aula si è cercato di individuarlo, ma nessuno dei testi ha potuto essere d’aiuto.
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