giovedì, maggio 17, 2012
Da Cicerone e Sant'Agostino al senso del bene comune, dei diritti e dei doveri. Parte così la riflessione di Piercamillo Davigo, magistrato dalla lunga carriera, che tasta il polso alla giustizia italiana. Ne ha fatto un libro, "Processo all'italiana", e nell'intervista a La Perfetta Letizia tratteggia i mali di un sistema da sempre critico e criticato ma di cui ancora nessuno cerca veramente la soluzione. 

intervista a cura di Patrizio Ricci

D. - Buongiorno dottor Davigo e grazie per la sua disponibilità. Lei ha scritto che “ciò che distingue la Repubblica Italiana dalla criminalità organizzata è che la Repubblica riposa sulla giustizia”. Evidentemente indica una giustizia che non sia perseguita solo a forza di divieti e sanzioni ma che sia tradizione culturale, coscienza di un popolo. Ci sembra importante questa distinzione, che anche a noi sta a cuore: potrebbe dire ancora qualcos'altro ai nostri lettori su cosa intende per ‘giustizia’?
R. - Mi riferivo ad un aneddoto raccontato da Cicerone e ripreso da Sant’Agostino relativo ad un pirata e ad Alessandro Magno. La flotta macedone catturò un pirata e lo condusse innanzi ad Alessandro Magno perché lo giudicasse. Quando il Re chiese al pirata con quale diritto infestasse i mari, questi gli rispose: “Con lo stesso tuo. Solo che io lo faccio con una nave e sono chiamato pirata, tu lo fai con una flotta e sei chiamato re”. Sant’Agostino commenta che, bandita la giustizia, cosa sono i grandi imperi se non bande di briganti che hanno avuto successo e che cosa sono le bande di briganti se non imperi in embrione? L’art. 2 della Costituzione dice che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo. Non li istituisce (altrimenti potrebbe revocarli), ma li riconosce come a se preesistenti. In questo senso la Repubblica si fonda sulla giustizia.

Ogni obbligo ed ogni divieto sono il rovescio della medaglia di un diritto. Al divieto di percuotere, ferire o uccidere corrisponde il diritto alla vita ed all’integrità fisica. Al divieto di schiamazzi notturni corrisponde il diritto di riposare e così via. Ovviamente si tratta di far comprendere questo e – per i riottosi – sono necessarie sanzioni.Basta un esempio: se le case abusive fossero abbattute più nessuno le costruirebbe. Se si fanno i condoni edilizi dilaga l’abusivismo.


D. - Lo spaccato che lei presenta del sistema giudiziario italiano lascia basiti. Ad esempio: un imputato patteggia, incassando intanto la riduzione della pena in primo grado, poi ricorre per cassazione confidando nella prescrizione. Com’è possibile che questo perduri da decenni senza che la politica sia intervenuta?

R. - La politica si è preoccupata molto poco dell’efficienza della giustizia e molto di più di cercare di ritagliarsi un’area di impunità. L’idea che tutti siano uguali davanti alla legge è estranea alla mentalità di molti appartenenti alla classe dirigente, non solo politica, di questo Paese. 

D - Nel sistema italiano non si ricorre a pene alternative alla detenzione come i lavori socialmente utili; lei afferma che la ragione è da rintracciare nella carenza di personale addetto al controllo, però dice anche che in Italia le forze di polizia sono superiori a qualsiasi altro paese europeo: non è una contraddizione in termini?

Non vi è contraddizione perché gli appartenenti alla forze di polizia sono impiegati massicciamente in attività che chiamo di rassicurazione. Ad esempio a fronte di un allarme per la sicurezza (peraltro infondato ed alimentato solo dai mezzi di informazione) si aprono nuovi Commissariati di Polizia e nuove Stazioni Carabinieri. Ma, ad esempio una Stazione Carabinieri ha bisogno un piantone ogni giorno per 24 ore per tutti i giorni della settimana. Poiché un Carabiniere (come gli appartenenti agli latri Corpi di polizia) ha un orario di 36 ore settimanali, per coprire il posto di piantone per 7 giorni alla settimana ci vogliono 5 uomini, che diventano 6 contando ferie e malattie. Con 6 uomini ci vuole un sottufficiale che li comandi. Così ogni nuova Stazione sottrae 7 uomini a servizi di sicurezza pubblica o di polizia giudiziaria. Infatti all’introduzione di nuovi presidi non corrisponde un aumento di organico, ma solo la redistribuzione del personale. Poi ci sono le guardie fisse e così via.
Inoltre per controllare i lavori socialmente utili un agente non basta, spesso ci vuole una persona esperta dello specifico settore. Ad esempio se un imputato di aver imbrattato muri viene condannato a ridipingerli, chi controlla deve essere in grado di valutare se il lavoro è stato fatto o no a regola d’arte.

D. - Nel 2011 l’Italia ha pagato come risarcimento ai cittadini di cui ha violato i diritti quasi 8 milioni e mezzo di euro. Un sistema ipergarantista ma sanzionato per il quinto anno consecutivo dalla Corte europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo: com’è possibile?

R. - Il nostro sistema processuale più che garanzie contiene ostacoli. Le garanzie servono a distinguere i colpevoli dagli innocenti ed a tutelare questi ultimi. Gli ostacoli servono a consentire ai colpevoli di farla franca. Abbiamo ipotesi di nullità ed inutilizzabilità, di cui è difficile comprendere il senso rispetto alla tutela di un innocente.

D - Il ministro Severino a gennaio ha presentato alle Camere la relazione sullo stato dell’amministrazione giudiziaria. In tale occasione ha detto che “bisogna trasformare le criticità in opportunità di sviluppo e di miglioramento dei servizi offerti al cittadino”. Ed ha aggiunto: “E’ possibile applicare questo modello virtuoso anche al sistema giudiziario”. C’è da ben sperare?

R. - Vedremo. Il passato rende scettici. Da almeno cento anni si parla di sopprimere sedi giudiziarie inutili, ma ciò non è stato fatto, anche se farebbe recuperare personale ed efficienza.
Per risolvere la crisi della giustizia è necessario diminuire drasticamente il numero di processi, non vedo però segnali seri in questo senso.

D - Da tempo il Paese chiede alla politica una profonda riforma dello stato, ma mai avvenuta. Lei descrive le incongruenze e le inefficienze della giustizia italiana e ne suggerisce le soluzioni anche facendo riferimento alle esperienze di altri paesi. Tuttavia ritiene che per il nostro paese sia più difficile per una ‘diseducazione alla legalità’, vuol aggiungere qualcosa in proposito?

R. - L’Italia è un Paese cattolico ma secolarizzato. La Chiesa perdona molto, ma richiede il pentimento. La secolarizzazione dell’indulgenza plenaria sono l’amnistia, l’indulto, il condono edilizio ed il condono fiscale. Lo Stato però non richiede il pentimento, Così spesso questi strumenti diventano un incentivo a violare la legge, come nell’esempio che ho fatto del condono edilizio rispetto all’abusivismo.

D - Dicendo "bisogna che il popolo italiano 'torni' ad essere un popolo serio", implicitamente lei dice che lo è stato; ma dove rintracciare nella memoria storica del nostro paese le tracce del positivo a cui far riferimento?

R. - Siamo l’unico popolo che è stato due volte protagonista principale nella storia del mondo: nell’antica Roma e nel rinascimento. Quest’ultimo periodo è di pochi secoli fa ed ha dato al mondo geni universali, anche se nello stesso periodo maturano alcuni germi che hanno determinato la successiva decadenza.


È presente 1 commento

Anonimo ha detto...

Errore. Nel rinascimento non eravamo un popolo... ma un insieme di genti che parlavano dialetti locali differenti. E in parte lo eravamo nell'antica Roma. Popolazioni assoggettate e rese romane.

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