Venti anni fa la strage di Capaci: intervista a Brizio Montinari, fratello di Antonio, uno dei tre uomini della scorta morti
La strage di mafia fu organizzata per uccidere il giudice Giovanni Falcone, che morì assieme alla moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta. Abbiamo chiesto a Brizio Montinaro, fratello di uno degli agenti uccisi, di ricordare il fratello e quella tragica giornata.
di Fabio Gioffrè
Era il 23 maggio 1992. Sono passati venti anni dal quel giorno indelebile nella memoria di tutti gli italiani. La mafia fece esplodere un carico di tritolo che pose fine alle vite del giudice Giovanni Falcone, del magistrato Francesca Morvillo e degli agenti della scorta. Falcone era da poco atterrato all’aeroporto di Punta Raisi. Altre due auto lo scortavamo sull’autostrada A29, dirette verso Palermo. Nella prima vettura viaggiava l’agente scelto Antonio Montinaro, nella seconda gli agenti Vito Schifani e Rocco Di Cillo. Oggi come allora questi servitori dello Stato sono ricordati come un simbolo per l’affermazione della giustizia nel nostro paese. Per la mafia fu una dimostrazione di forza, di sfida verso la classe politica di allora e verso lo Stato. Venti anni non sembrano passati, tanto è vivo il dolore che angoscia i familiari, e quanti hanno a cuore la difesa delle istituzioni democratiche del nostro paese. Abbiamo chiesto a Brizio Montinaro, fratello di Antonio, di ricordarci quei giorni:
D. Brizio Montinaro, suo fratello fece parte per anni della scorta del giudice Falcone, ma quel giorno non doveva essere lì. Il suo turno di lavoro era di mattina, chiese un cambio con un collega perché seppe che il “suo” magistrato sarebbe arrivato da Roma e Antonio voleva ancora una volta essere il suo capo- scorta, come fu per gli anni precedenti. Una scelta coraggiosa e dettata dalla grande stima che suo fratello aveva per il giudice Falcone. Che ricordi ha di quel giorno?
R. Quel giorno, credo un sabato alle 18,15 circa, ascoltai subito la notizia dalla voce della giornalista Sattanino allo speciale Tg-Rai3. Da Firenze, dove vivevo, chiamai subito mio fratello ma nessuna risposta, a volte in servizio non rispondeva, poi chiamai a Palermo in cerca della moglie. Rispose la zia della moglie che mi riferì della sua uscita repentina da casa dopo una telefonata. Ero certo che Antonio fosse con Falcone ma sperai fino all’ultimo nell’assurdo gioco delle causalità. D’istinto chiamai a casa dei miei a Calimera nel Salento e pregai le sorelle di allontanare mamma dalla tv… papà era venuto a mancare dopo una lunga malattia nel marzo 1991 e lei dopo pochi mesi aveva subito un intervento a cuore aperto. Nei minuti a seguire tutto fu certo e definitivo, la percezione della “realtà” divenne ineluttabilmente accelerata ed allo stesso tempo lentissima e caleidoscopica…
D. Suo fratello è considerato un eroe per il coraggio e per l’altissimo senso del dovere, che pagò con la vita. Che ricordi ha di lui? Le parlava mai del lavoro che faceva per il giudice Falcone?
R. Di un ragazzo allegro che non aveva avuto la pazienza di affermare con la sua intelligenza un percorso di studi che interruppe dopo i primi anni. Poi partì militare e quindi si raffermò in Polizia. I primi anni vagò per l’Italia come tutti coloro che scelgono di fare quel “mestiere”. In quegli anni si allontanò anche dalla genuinità che gli apparteneva per affermare una personalità che evidentemente il lavoro che faceva gli imponeva. Ci siamo visti l’ultima volta al funerale di papà, io rientrato da Firenze e lui da Palermo. Mentre la salma era ancora in casa, in un’altra stanza, mi raccontava dettagli e specificità di Giovanni Falcone. Traspariva la stima e la dedizione al personaggio. Lo aveva conosciuto per caso durante una sua permanenza al “maxi-processo”. Poi decise di approfondire e quindi fare il percorso formativo che lo portò al ruolo di uomo della scorta. In occasione del lutto che ci apparteneva mi soffermai a riflettere che uno dei figli lo aveva chiamato Gaetano come mio padre e il secondo Giovanni come Falcone.
D. A Michele Naccari, un fotografo di cronaca nera, quando andò a trovarlo per ritirare delle immagini che lo ritraevano assieme a "Giovanni" - cosi affettuosamente chiamava il giudice - disse: "Dai che prima o poi mi faranno saltare in aria ed allora farai davvero uno scoop". Antonio sapeva di rischiare la vita in ogni momento della sua giornata. A vent’anni di distanza quale messaggio hanno lasciato quelle tragiche morti? Oggi la mafia è meno forte di allora, oppure ha semplicemente scelto di ‘apparire’ di meno?
R. Antonio era allegrissimo ed autoironico, quindi avrà detto e, col suo dire, fatto ridere molte persone. Per quanto riguarda il rischio riteneva un dovere mettersi a disposizione per la causa di Giovanni Falcone. Quale messaggio vuole che lasci una tragedia umana del genere come tantissime altre avvenute nella nostra cara Patria? Con la strage di via D’Amelio, e quanto avvenne poi in altre parti d’Italia, compreso anche via Dei Goergofili a Firenze, a me fu tutto chiaro che saremmo “caduti” nella tenebra della protervia del “peggior potere” che tanto bene la vera storia traccia da millenni. Non dimentichiamo mai che in quel periodo tangentopoli stava sfilacciando il “potere consolidato”… c’era la necessità del “nuovo” e quel nuovo arrivò… democraticamente.
D. «Chiunque fa questa attività, ha la capacità di scegliere tra la paura e la vigliaccheria. La paura è qualche cosa che tutti abbiamo: chi ha paura sogna, chi ha paura ama, chi ha paura piange. È la vigliaccheria che non si capisce e non deve rientrare nell'ottica umana.»
Parole di suo fratello Antonio Montinaro. Che significato attribuisce a queste parole?
R. Antonio ha sempre avuto facilità con le parole e con il pensiero, peccato che non abbia potuto continuare a farlo. In queste parole c’è la formalizzazione del suo vero stato d’animo.
D. I mandanti e gli esecutori di quell’attentato in cui perse la vita anche suo fratello sono in carcere. Su quella strage tuttavia esistono zone oscure ancora tutte da chiarire. Per esempio rimane un mistero su chi, all’interno della procura di Palermo o da Roma, informò i mafiosi dell’arrivo del giudice Falcone. L'indagine sulla strage ha portato i magistrati ad investigare sui servizi segreti e a chiedere che venisse tolto il segreto di Stato su alcuni fascicoli, per indagare sulla presunta collusione tra servizi segreti e mafia. Su quest’ultimo punto che idea si è fatto?
R. Quello che ho detto in una delle risposte sopra. Falcone e quanti come lui operavano costituivano un ’ostacolo alla crescita sociale del paese. Non potrò mai dimenticare il ruolo e la tragedia di P.P. Pasolini. Loro sono le vittime sacrificali immolate alla conservazione dello stato delle cose di “gattopardesca” memoria.
Grazie a Brizio Montinaro per aver ricordato il sacrificio del fratello, nel ventesimo anniversario della sua morte.
Tweet |
Sono presenti 0 commenti
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.