sabato, giugno 16, 2012
Il Pdl vuole la responsabilità delle toghe per dare il via libera 

Libera Informazione - In tema di lotta alla corruzione i segnali che arrivano dalla Camera dei Deputati per il nostro Paese e anche per il governo Monti sembrano essere del tutto contradditori. Certo, non più tardi di due giorni fa è stato approvato il ddl anticorruzione con una larga maggioranza (354 i voti favorevoli di Pd, Udc, Fli, Pdl e Api) ma l’alto numero delle astensioni (102 di cui quasi una quarantina del PdL) è il preannuncio di uno scontro futuro che si annuncia davvero incandescente. Del resto le intenzioni del Pdl sembrano tutt’altro che concilianti, viste le dichiarazioni del capogruppo Cicchitto rese in aula: «Faremo di tutto per cambiare il ddl sulla nuova concussione e sulle influenze». Ora i riflettori tornano ad accendersi sul Senato, dove le "Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione" arrivano per la terza lettura: tornano cioè nel luogo da cui il testo era partito con il primo esame nel maggio 2010. Era quella davvero un’altra epoca, con un altro governo, quello Berlusconi e con Alfano ministro della Giustizia. Una compagine governativa spazzata via dalle richieste di rigore economico avanzate dall’Europa e dai continui scandali legati al leader del Popolo delle Libertà. Nel frattempo è successo di tutto nella politica italiana e, soprattutto nel Paese, e quelle che oggi sono legittime istanze di rinnovamento della politica che arrivano dall’elettorato devono fare i conti con le alchimie parlamentari che, ad ogni piè sospinto, rischiano di minare la tenuta dell’esecutivo guidato da Mario Monti. In un frangente storico in cui le forze politiche sentono crescere quotidianamente la sfiducia nei loro confronti, che si materializza ad ogni tornata elettorale con la crescita dell’astensione o il premio a forze “anticasta” come può essere definito il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, la disputa sui temi della lotta alla corruzione rischia di essere percepita ancora una volta come qualcosa di estremamente lontano dai cittadini.

I cardini del ddl

In attesa di vedere cosa succederà al Senato, i punti salienti del testo licenziato l’altro giorno a Montecitorio sono i nuovi reati di traffico di influenze illecite e concussione, la delega al governo per determinare i criteri di incandidabilità dei condannati, la definizione del tetto massimo per i fuori ruolo della magistratura e altre norme volte a prevenire la corruzione nella pubblica amministrazione, come il codice etico per i dipendenti statali e la regolamentazione dell’accesso agli appalti pubblici. Tra i temi dell’acceso confronto sicuramente la delega al governo (art. 10 ddl) perché definisca, entro un anno dall’entrata in vigore della legge, un testo unico che regoli le incandidabilità al Parlamento europeo ed italiano e alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, nonché i divieti a ricoprire le cariche di presidente e di componente del consiglio di amministrazione dei consorzi, di presidente e di componente dei consigli e delle giunte delle unioni di comuni, di consigliere di amministrazione e di presidente delle aziende locali e delle istituzioni. Non sono temporaneamente eleggibili a deputati o senatori quanti sono stati condannati in via definitiva a pene superiori a due anni di reclusione, per delitti di associazione mafiosa e terrorismo, ma anche per delitti nei confronti della pubblica amministrazione, come peculato, corruzione, concussione e abuso d’ufficio e comunque per altri reati sanzionati da una condanna al carcere superiore ai tre anni. Il divieto persiste anche nel caso di avvenuto patteggiamento. Il possibile rischio che l’entrata in vigore di queste norme non coincidesse con la futura tornata delle elezioni politiche è stato scongiurato dalla sottoscrizione da parte di tutti i gruppi parlamentari di un ordine del giorno, presentato dal Pd, che impegna il governo ad adottare il testo unico nei quattro mesi dall’approvazione della legge, in modo che sia applicabile alle consultazioni in programma nella primavera 2013, salvo imprevisti inciampi di Monti nelle prossime settimane. E anche le dichiarazioni rese dai ministri della Giustizia Severino e della P.A. Patroni Griffi hanno evidenziato la volontà di procedere quanto prima alla definizione delle normativa in oggetto.

I nuovi reati

Sul versante penale, va evidenziato che l’art. 13 del ddl anticorruzione prevede una diversa formulazione del reato di concussione, con la formulazione di nuove fattispecie. La concussione vera e propria rimane (art. 317 c.p.) con una pena prevista tra i 4 e i 12 anni, mentre si prevede il nuovo reato di induzione, secondo la previsione del nuovo art. 319 quater c.p.: «il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da tre a otto anni». La minore previsione edittale della pena comporta una riduzione dei tempi della prescrizione e, a seconda dell’interlocutore, la norma è stata definita non senza pungente ironia “salva Penati” o “salva Ruby”. Nuovo anche il cosiddetto traffico di influenze illecite (con la prevista numerazione di art. 346 bis c.p.) che andrebbe a collocarsi nel codice penale dopo il millantato credito (art. 346 c.p.): ad essere punito il soggetto che «sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita, ovvero per remunerare il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, è punito con la reclusione da uno a tre anni». Analogamente sanzionato il soggetto che dà o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale. Aumenti di pena sono previsti nel caso in cui siano coinvolti pubblici ufficiali o incaricati di pubblici servizi e quando i fatti riguardino l’esercizio di attività giudiziarie. Per rispondere ai profondi dissensi manifestati dal Pdl in merito, il ministro Severino ha annunciato la volontà del governo di addivenire ad una apposita regolamentazione dell’attività di lobbing, delineata in modo chiaro nei paesi anglosassoni come funzionale alla politica dei partiti. Altrettanto importante l’introduzione con l’art. 14 del ddl del reato di corruzione tra privati, previsione finora assente nel nostro sistema che modifica con l’incriminazione l’art. 2635 del codice civile (“Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità”): «gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri, compiono o omettono atti in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio e degli obblighi di fedeltà, cagionando “nocumento alle società” sono puniti con la reclusione da uno a tre anni». La pena è ridotta da uno a sei mesi, se il colpevole è sottoposto alla direzione o alla vigilanza dei soggetti prima indicati mentre è raddoppiata se la società ha titoli quotati o diffusi tra il pubblico.

La tutela della Pubblica Amministrazione

Una serie di ulteriori previsioni sono contenute nel ddl che lascia la Camera per arrivare in Senato. Quanti sono stati condannati per corruzione e concussione, compresa la cosiddetta induzione indebita, non potranno stipulare contratti con la Pubblica amministrazione. Per sedere ai vertici della stessa vengono poi definite alcune ipotesi di incompatibilità. Almeno per un anno – inizialmente era stabilito per almeno tre anni – non si potranno avere incarichi di vertice nella stessa amministrazione in cui si è stati eletti. Incompatibilità poi sono stabilite anche per i condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per reati commessi contro la stessa Pubblica amministrazione. Via libera anche alla definizione di un codice etico per i dipendenti pubblici, con lo scopo di garantire qualità e trasparenza nell’erogazione di prestazioni e servizi, puntando alla prevenzione delle ipotesi di corruttela e tutelando quanto previsto dalla Costituzione a salvaguardia dell’interesse collettivo. La mancata osservanza dei doveri previsti fa scattare una responsabilità disciplinare e rileva, se ad essere violate sono leggi e regolamenti, anche per quanto attiene a profili di responsabilità civile, contabile e amministrativa in genere. Viene poi introdotta la tutela del dipendente pubblico che segnali condotte illecite, apprese a motivo del rapporto di lavoro in essere: non potrà, infatti, subire alcun tipo di sanzione o misura discriminante, compreso il licenziamento, per ragioni che siano collegati alla denuncia fatta. Giro di vite anche per quanto riguarda la possibilità di tutti i dipendenti pubblici di accettare compensi, regali o altro, in ragione delle funzioni svolte: possibili solo i regali il cui valore sia stabilito dalle abituali relazioni di cortesia. Il ddl contiene anche il divieto di partecipare a collegi arbitrali o di assumere arbitrati per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, compresi gli avvocati e procuratori dello Stato e i componenti delle commissioni tributarie. Le sanzioni sono la decadenza dagli incarichi e la nullità degli atti compiuti in questa veste. E per i magistrati e gli avvocati dello Stato si stabilisce la possibilità di rimanere fuori ruolo solo per dieci anni, con un possibile intervallo di cinque anni nel frattempo. Va, infine, ricordato che l’Autorità nazionale anticorruzione (il cui ruolo è, attualmente, ricoperto dal Dipartimento della funzione pubblica) viene individuata dall’art. 1 del ddl nella Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche (Civit).

Giudici sotto tiro?

L’impressione finale è che al Senato sarà nuovamente battaglia, con una prevedibile dilatazione dei tempi dell’approvazione o come paventa Fini l’impossibilità di approvare il testo prima della fine della legislatura. Alle parole di Cicchitto, che ha rimproverato il ministro Severino di blindare con la fiducia alcuni passaggi si è aggiunta la replica della Guardasigilli che ha definito prematuro introdurre nel dibattito la questione della responsabilità civile dei giudici. L’ultimo intervento del suo predecessore Alfano, oggi segretario del Pdl, non lascia però spazi ad equivoci: «Invitiamo il governo a non porre la fiducia sulla norma che introduce la responsabilità civile dei magistrati al Senato. Altrimenti, se ci sarà da scegliere se stare con il governo o con i cittadini, il Pdl sceglierà di stare dalla parte dei cittadini e non voteremo la fiducia. E' giusto il principio del chi sbaglia paga. E devono pagare anche i magistrati». A correre il rischio di sembrare ingenui viene da chiedersi per quale motivo si dovrebbe accettare uno scambio tra l’approvazione di questo ddl anticorruzione con una nuova disciplina, peraltro inutile visti i filtri e le possibilità già previste nel sistema, che introduca ulteriori meccanismi di responsabilità in danno dei magistrati. A meno che l’obiettivo sia la tutela dei soliti noti. Se le cose fossero destinate ad andare in questa direzione, non sarebbe più onorevole per un governo di tecnici cadere chiedendo la fiducia al Parlamento con un testo che recepisca in toto i contenuti della Convenzione penale di Strasburgo del 1999 e che volesse davvero imprimere una svolta nella lotta alla corruzione? Ricordiamo che una forte richiesta in tale direzione era venuta dalla campagna di Libera “Corrotti”, conclusa con la consegna nelle mani del presidente Napolitano di oltre un milione di cartoline raccolte in tutta Italia a sostegno delle proposte contro la corruzione. Il palazzo sembra distratto però e i cittadini lontani. E intanto la prossima settimana il Parlamento tornerà ad occuparsi di intercettazioni ...

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