In occasione della consegna del premio “Antonio Montinaro”, abbiamo chiesto al fondatore di “Libera” come si possono superare le paure per combattere la mafia
Il 31 maggio a Calimera, paese natale di Antonio Montinaro, una delle vittime della strage di Capaci, si è svolta la giornata conclusiva della rassegna “Per non dimenticare” curata dalle associazioni “Kama e Nomeni”. L’ospite d’onore della serata finale è stato don Luigi Ciotti, che ha consegnato il premio intitolato al poliziotto pugliese al Presidio di Libera Mottola, che si è contraddistinto nella lotta alla criminalità organizzata. La consegna del riconoscimento è stata preceduta dalla celebrazione eucaristica da lui presieduta, durante la quale ha catturato l’attenzione dei fedeli con parole forti e ricche di messaggi. Il ricordo di coloro che sono morti per un valore più grande della propria vita (come gli uomini della scorta) non deve ridursi a retorica. Così don Ciotti, citando i versi del profeta Isaia, si è rivolto a chi “vivendo nel silenzio non avrà pace finché non diventerà la stella della giustizia e la campana della verità”. Durante l‘omelia il prete ha esortato gli uomini che hanno paura di ribellarsi invitando sull’altare Angelo Corbo, uno dei sopravvissuti alla tragedia del 23 maggio 1992, affinché la sua testimonianza potesse infondere il coraggio necessario per non lasciarsi sottomettere dalla mafia.
Dopo la messa lo abbiamo incontrato e gli abbiamo posto alcune domande alle quali gentilmente ha risposto.
D - L’attentato avvenuto il 19 maggio a Brindisi ha seminato terrore e paura. Lei ha colto l’occasione per lanciare un nuovo messaggio dicendo che bisogna trasformare le paure in speranze. In cosa dovremmo credere se ad essere stati colpiti sono proprio i giovani, ossia le speranze del domani?
R - In realtà siamo stati colpiti tutti perché il dolore dei genitori di Melissa racchiude le ferite di tutti noi che abbiamo subito indirettamente l’esplosione dell’ordigno. Se vogliamo dimostrare di stare vicini alla sofferenza delle famiglie che hanno perso i loro cari dobbiamo sconfiggere l’indifferenza e smetterla di dire “le cose non cambieranno mai”: ognuno di noi deve fare la propria parte. San Paolo scriveva ai Corinzi: “Chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà”, tutti siamo chiamati a seminare la nostra vita di senso, di significato, di impegno. Non possiamo condurre un’esistenza nella povertà culturale, dobbiamo invece arricchirla di speranze.
D - Una volta un celebre magistrato disse che la mafia esisterà finchè ci sarà l’uomo. Le sue dichiarazioni erano frutto di un’analisi realistica e obiettiva del fenomeno. Dopo tutti questi anni di lotta alla criminalità organizzata, lei crede che si riuscirà prima o poi a debellare il problema, grazie anche all’intervento di tanti cittadini onesti, oppure anche lei è convinto che mai si riuscirà a sconfiggere completamente la mafia?
R - Certo, la mafia si potrà sconfiggere, nonostante possa apparire umanamente impossibile. La mafia sembra invincibile ma non lo è. Se ognuno si carica di responsabilità può contribuire ad aumentare quella piccola percentuale in grado di debellare il male che sta rovinando la società. Non dobbiamo sentirci abbandonati da Dio ma è in Lui che possiamo trovare il coraggio di combattere questa battaglia. Se la politica sarà più forte della mafia attraverso le leggi e la lotta contro la corruzione, se gli imprenditori non scenderanno a compromessi con la criminalità allora si potrà affrontare quella zona grigia che circonda la mafia perché la loro forza non sta dentro ma fuori, intorno a loro. Chi scende ai ricatti dovrà ricordare le parole di Geremia che ammonisce colui che ha peccato: “Un giorno noi dovremo batterci il petto perché capiremo di essere lontani dalla pace” e la pace è sinonimo di legalità.
D - Se nella sua vita non avesse avuto la vocazione sacerdotale avrebbe ugualmente lottato contro la criminalità organizzata? E se sì, in che modo e con quale ruolo?
R - Fin da ragazzino ho iniziato a dare il mio contributo fra le strade. Avevo solo 17 anni quando ho deciso di aiutare chi era in difficoltà. Poi con la fondazione del gruppo Abele, nel 1965, a Torino si è potuto realizzare una lunga serie di iniziative e di progetti ancora oggi molto attivi. La vocazione mi ha permesso di mettere in gioco completamente la mia vita lasciandomi “mangiare” dai poveri e ringrazio Dio per questo.
D - La storia della mafia ci ha insegnato che gli affiliati sono molto religiosi: durante i loro riti di iniziazione e negli incontri fra i vari clan invocano i santi e si incontrano di notte in luoghi sacri, come il santuario di San Michele a Foggia o nella chiesa della Madonna di Polsi, in Calabria. Come definisce questa unione tra sacro e profano? Cosa li spinge ad essere devoti verso un Dio che non potrà mai giustificare le loro brutali azioni?
R - Il Vangelo è incompatibile con la logica mafiosa ed è evidente che i criminali vogliono nascondersi dietro Dio, ma la strada che loro percorrono è una strada di morte. Se questi uomini riuscissero ad avere il dono della paressia, che è il contrario della ipocrisia, avrebbero il coraggio di dare il giusto nome alle loro azioni che non hanno nulla di religioso.
Don Luigi Ciotti è un uomo che da sempre lotta in nome della giustizia. Nel 1973, infatti, inaugurò il primo Centro italiano di accoglienza per i tossicodipendenti, seguì la fondazione di un centro studi nonché di una casa editrice e dell’Università della strada. Nel 1979 con il gruppo Abele avvia progetti in Vietnam, in Sud America e in Costa d’Avorio. Don Ciotti ha inoltre collaborato alla nascita del Coordinamento Nazionale della Comunità di Accoglienza e ha partecipato alla creazione della Lega Italiana contro l’Aids. E’ stato promotore e direttore del mensile “Narcomafie” e dal 1995 coordina l’associazione “Libera”, classificata come una delle 100 migliori ong del mondo, e grazie alla raccolta di un milione di firme ha presentato una proposta di legge che è stata approvata e prevede l’utilizzo sociale dei beni confiscati alla mafia. Don Ciotti è l’ideatore della Giornata della memoria e dell’impegno che si svolge ogni 21 marzo e ha creato l’osservatorio “Libera Informazione”, inoltre è stato docente presso la scuola superiore del Ministero dell’Interno ed è giornalista pubblicista. Nel 1996 è stato nominato Cavaliere di Gran Croce e nel 2006 ha ricevuto, a Foggia, la Laurea Honoris Causa in Giurisprudenza. Quest’anno gli è stato conferito il Premio Nazionale "Non Violenza" dall’Associazione “Cultura della Pace”.
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