venerdì, giugno 15, 2012
Si celebra oggi nel mondo cattolico la solennità del Sacro Cuore di Gesù. Un viaggio nella storia per comprendere il significato di questa ricorrenza dal carattere così innovativo e originale, che tanto ha da insegnare anche all’uomo di oggi.

di Bartolo Salone

L’istituzione nel 1856 della solennità del Sacro Cuore di Gesù si deve al beato papa Pio IX e costituisce il punto di approdo di una lunga devozione che affonda le sue radici nel tardo medioevo, dovendo la sua prima diffusione all’ordine benedettino. La data della celebrazione liturgica cade non a caso il venerdì successivo alla solennità del Corpus Domini, proprio a sottolineare l’intimo legame che sussiste tra l’amore misericordioso di Cristo per l’umanità e il dono che Egli fa di sé nella Santissima Eucaristia. Legame suggerito, peraltro, dalle due ultime apparizioni ricevute da Santa Margherita Maria Alacoque, mistica e monaca di clausura francese, a cui si deve il deciso rilancio della devozione al Sacro Cuore nel corso del ‘600: la terza delle quattro apparizioni ricevute dalla Santa risale proprio al venerdì successivo alla festa del Corpus Domini del 1674 e mostra il petto squarciato di Gesù da cui fuoriescono fiamme come da una fornace ardente; la quarta ed ultima visione, invece, ebbe luogo il 16 giugno 1675, vale a dire nell’ottava del Corpus Domini.

Le vicende che hanno segnato la ripresa nel ‘600 dell’antica devozione medievale del sacro Cuore di Gesù e la sua istituzionalizzazione nel corso dell’800 ad opera di Pio IX accompagnano, non casualmente, la parabola ascendente e discendente del Giansenismo, il movimento sorto nell’ambito del cattolicesimo seicentesco e presto dichiarato eretico da diverse bolle pontificie. Il movimento giansenista, sviluppatosi in Francia grazie agli scritti del teologo Giansenio, vide infatti la sua fioritura nella prima metà del secolo XVII (cioè in quel secolo in cui Santa Margherita riceveva le sue apparizioni e il culto del Sacro Cuore riprendeva forza e vigore) e il suo declino nella metà dell’800, quando al contrario il culto al Sacro Cuore di Gesù raggiungeva il suo culmine attraverso l’istituzione della relativa Solennità.

Guardando la storia in un’ottica di fede, possiamo dunque concludere che il culto al Sacro Cuore di Gesù segna il più grande successo dell’ortodossia cattolica sugli errori del giansenismo, errori che intaccavano la struttura della fede nel suo nucleo essenziale: vale a dire l’idea di un Dio giusto e misericordioso, che a tutti gli uomini, senza distinzione, offre la grazia del ravvedimento e del perdono. Il giansenismo, al contrario, nel tentativo di conciliare la fede cattolica con i principi del protestantesimo (che tanto fascino suscitavano allora in un’ampia parte del clero francese), eliminava quasi del tutto il libero arbitrio dell’uomo di fronte alla grazia divina, favorendo l’idea di una salvezza predestinata. Secondo Giansenio, a causa del peccato originale l’uomo ha perduto completamente la grazia divina e di conseguenza è ineluttabilmente portato a compiere il male. Quella grazia che l’uomo ha perduto a causa del peccato è ridonata da Cristo soltanto ad alcuni uomini, predestinati alla salvezza, e negata a tutti gli altri, predestinati quindi alla dannazione. Questa prospettiva – come è evidente – ridimensiona fortemente il valore delle opere buone, esaltando il valore della fede ai fini della salvezza, secondo il paradigma protestante. La divaricazione rispetto alla visione cattolica tradizionale è notevole sia per quanto riguarda la dottrina del peccato originale sia per quanto attiene al rapporto tra grazia divina e arbitrio umano. Nella prospettiva cattolica tradizionale, infatti, il peccato non annulla la libertà dell’uomo, ma semplicemente la indebolisce, rendendolo incline al male (per il giansenismo, invece, il peccato originale non inclina, ma addirittura determina l’uomo al male secondo una legge di necessità). Nella visione cattolica, inoltre, la salvezza offerta da Cristo ha un valore universale, essendo offerta a tutti gli uomini e non ad alcuni privilegiati (cioè i predestinati), rimanendo l’uomo libero di accoglierla o meno: in altri termini, la grazia divina non prescinde dalla libertà dell’uomo – come riteneva invece Giansenio – ma la presuppone, in quanto di fronte al rifiuto liberamente opposto dall’uomo la Grazia non può operare.

Da una siffatta visione dogmatica, derivano inevitabilmente degli effetti sul piano morale: se Dio, secondo la visione giansenista, è arbitro assoluto della nostra sorte, allora l’atteggiamento più spontaneo non sarà l’amore, ma il timore; da qui una morale austera e rigorista. Sul piano sacramentale, questa impostazione porta con sè una sopravvalutazione (e quasi una contrapposizione) del sacramento della Confessione rispetto al sacramento della Comunione: i giansenisti, non a caso, si opponevano, giudicandola dannosa per l’anima, alla ricezione frequente della Santa Comunione, auspicando al contrario una più intensa visita ai confessionali. Il culto al Sacro Cuore di Gesù (che i seguaci di Giansenio, spesso colti ed eruditi personaggi, dapprima snobbarono e poi osteggiarono) invece restituiva al popolo cristiano una visione di Dio e del mondo più radiosa e meno opprimente: non un Dio giudice, arbitro del destino dell’uomo, ma un Dio amore e misericordia, che rispetta fino in fondo la libertà umana; l’uomo non è una marionetta, succube di forze “superiori”, ma è responsabile delle proprie azioni, capace di scegliere tra il bene e il male.

La solennità del Sacro Cuore ricorda poi a noi distratti e smemorati fedeli del terzo millennio che la religione (almeno quella cristiana) non è un insieme di precetti e di ritualità esteriori, ma è un cuore palpitante d’amore, il cuore appunto di Gesù. Ed è proprio quel cuore grondante di amore che rende umani gli stessi precetti religiosi, scongiurando il rischio del formalismo legalista. Come disse Gesù ai farisei, i quali avevano da recriminare circa lo spigolare dei suoi discepoli in giorno di sabato: “Se aveste compreso che cosa significa: ‘Misericordia io voglio e non sacrificio’, non avreste condannato persone senza colpa” (Mt 12, 7).

Se il riferimento costante all’amore misericordioso di Dio costituisce per il cattolicesimo il rimedio più efficace contro possibili derive rigoriste e legaliste della sua morale e della sua precettistica, altrettanto pare non potersi dire della morale laica (che non a caso oscilla sempre tra i due opposti estremi del giustizialismo e del giustificazionismo) e del diritto laico (ossia del diritto quando pretende di prescindere dai valori religiosi o di porsi in antitesi rispetto agli stessi). La morale e il diritto laici, invero, sembrano più esposti al pericolo del formalismo e del legalismo, proprio perché mancano di un “cuore”, essendo al contrario fondate su astrattismi e ideologie. Il tentativo o la tentazione di ridurre il cristianesimo ad ideologia, d’altro canto, sono stati sempre presenti nella storia della religione (come la vicenda del fiorire e del rapido declinare del giansenismo sta a dimostrare). La solennità del Sacro Cuore di Gesù è allora un monito per i cristiani e, più in generale, per gli uomini di oggi e di ogni tempo a non restringere l’amore di Dio e il sentimento, umano e divino al tempo stesso, della misericordia nei limiti angusti delle leggi e dei precetti formali.

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