domenica, giugno 03, 2012
Erano migliaia i fedeli e i religiosi riuniti, ieri in sera, nel Duomo di Milano per partecipare all’Adorazione eucaristica guidata dal cardinale Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia.

Radio Vaticana - Un momento di intensa preghiera, nell’ambito dell’Incontro mondiale delle famiglie, a cui hanno partecipato anche i vescovi provenienti dalle terre più colpite dal sisma di questi giorni. C'era tra loro anche mons. Roberto Busti, vescovo di Mantova, che è stato intervistato dalla nostra inviata a Milano, Antonella Palermo: ascolta

R. – Questo è il primo ringraziamento che faccio: l’aver voluto dedicare, in questo convegno, l’attenzione e la preghiera a quelle persone che hanno subìto un danno così grave. Un danno che è, anzitutto, quantificabile non in termini economici ma piuttosto in termini di paura, di depressione ed in termini di fatica nel comprendere il perché di essersi trovati in mezzo a questo tipo di realtà. Credo e sono certo che la preghiera è il modo più evidente, più sicuro e più forte di farci sentire vicini a loro. Proprio alcune di queste persone che ho incontrato, soprattutto quelle anziane, aveva in mano il rosario e mi raccontava che diceva il rosario ogni giorno, ma che da adesso doveva dirne due, perché deve aiutare anche quelli che sono vicini.

D. – Il cardinale Ravasi, in apertura del Congresso internazionale teologico pastorale, ha usato proprio la simbologia biblica e letteraria della ‘casa’ per parlare di famiglia partendo dalle sue fondamenta, ovvero la coppia, parlando poi delle sue pareti, ovvero i figli, che crescono e vanno verso l’alto, e poi presentando le varie stanze: quella del dolore, del lavoro, della festa. Quando la casa materiale viene meno, da dove ripartire?


R. – E’ questa la cosa davvero difficile: quando viene meno, sembra di essere totalmente soli, di essere allo sbaraglio, di non avere più una protezione. Guai quando viene a mancare questa casa, eppure questa casa è venuta a mancare. Ed allora è proprio questo il motivo per cui dobbiamo far sentire la nostra vicinanza. Devo dire anche un’altra cosa, proprio in rapporto ai simboli che il cardinale Ravasi ha così ben descritto: ci sono altri simboli, e sono quelli del tempio, della Chiesa, che con il suo campanile e le sue campane, col suo essere in mezzo al paese, visibile perché in qualche modo lo sovrasta con l’altezza ma allo stesso tempo lo abbraccia. Sono caduti anche questi simboli, e la gente è spaventata anche per questo: si chiedono a chi si rivolgeranno, come potranno trovare qualcuno cui far battezzare i loro bambini, da cui potersi preparare per celebrare un matrimonio o al quale portare i propri morti per pregare prima di consegnarli alla terra. Ecco: la preghiera ma anche la solidarietà delle persone dev’essere qualcosa che fa comprendere a questa gente che non è sola ma che, un giorno, ritorneremo tutti insieme e speriamo il più presto possibile, nella casa fatta di mura come anche in questa ‘casa grande’ che è la Chiesa, che ci abbraccia tutti. Credo che il primo ringraziamento che devo porgere – anche a nome degli altri vescovi delle diocesi interessate, ossia quelle di Ferrara, di Carpi, di Modena e di Mantova – va proprio al Pontefice, a Papa Benedetto. Egli ci ha voluto ricevere, ha chiesto di poterci ricevere ed ha ricevuto soltanto noi durante l’Assemblea della scorsa settimana, a Roma, della Conferenza episcopale italiana. Ha voluto sapere da noi come stavano le cose, e noi gli abbiamo detto quelle che erano allora, non sospettando che ci potesse essere un’altra scossa così grave da rimettere tutto in discussione. Ci ha fatto avere, quasi immediatamente, un piccolo obolo proprio come simbolo: un simbolo della sua presenza, per farci sapere che pensa a questi suoi figli che stanno soffrendo. E devo dire davvero un enorme grazie a Papa Benedetto, perché ripetendo le sue parole e portando al sua benedizione alle persone che ho visitato, perché avevo proprio lì la visita pastorale, ho visto che il loro cuore si è aperto, hanno fatto un grande applauso, come a voler dire: “Se il Papa non ci dimentica, abbiamo meno paura ed abbiamo più forza per andare incontro a queste difficoltà”.


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