Il rapporto “Investimenti mondiali nelle munizioni a grappolo: una responsabilità condivisa”, pubblicato venerdì dall’organizzazione pacifista cattolica olandese IKV Pax Christi e dall’associazione per la finanza etica belga FairFin, mostra come banche e istituzioni finanziarie di tutto il mondo continuino a finanziare le aziende produttrici di cluster bomb per un totale di 34 milioni di euro solo dal 2009

L’Italia, sottolinea il rapporto, è tra i pochi Paesi firmatari della Convenzione internazionale per la messa la bando delle cluster bomb (che dal 2010 ne vieta produzione, vendita e utilizzo) che hanno esteso il divieto al finanziamento di aziende produttrici. Per questo vi sono Paesi firmatari le cui banche continuano a investire in questo settore, tra i quali Gran Bretagna, Francia, Germania, Svizzera, Canada e Giappone.
La maggior parte dei 137 istituti elencati nella lista nera sono originari di Paesi che non hanno firmato la Convenzione internazionale (63 istituti sono statunitensi, 22 sudcoreani, 16 cinesi) e che continuano a produrre cluster bomb (i maggiori produttori mondiali sono le aziende statunitensi Lokheeed Martin, Textron e Alliant Techsystems, le sudcoreane Hanwha e Poongsan, la cinese Norinco e la russa Splav).
Le bombe a grappolo hanno la particolarità di disseminare sul terreno centinaia di piccoli ordigni che, rimanendo spesso inesplosi, continuano uccidere e mutilare le popolazioni civili per anni dopo la fine delle ostilità. Per questo sono paragonate alle mine antiuomo e, in quanto tali, sono state messe al bando. Tra i Paesi che non hanno aderito alla Convenzione del 2010, oltre ai già citati Usa, Corea del Sud e Cina, ci sono Russia, India, Israele, Pakistan e Brasile.
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