Sono ancora i civili a pagare il prezzo più alto in Siria. Potrebbero essere oltre 100 le vittime degli scontri nelle ultime 24 ore. Preoccupazione è stata espressa dall'inviato dell'Onu e della Lega araba Kofi Annan, soprattutto per i bombardamenti su Homs e Haffa. Si teme, ha aggiunto, che molti civili siano intrappolati in queste città. Il servizio è di Marina Calculli: ascolta
Radio Vaticana - Intanto, il nuovo leader del Consiglio nazionale siriano, il curdo Abdel Basset Sayda, eletto due giorni fa, chiede ai responsabili delle istituzioni di abbandonare il regime e ha invocato l’uso della forza da parte della Comunità Internazionale. Però il fronte curdo rimane tutt’altro che compatto. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con Alberto Rosselli giornalista ed esperto dell’area: ascolta
R. – Il ruolo dei curdi è duplice, nel senso che si intreccia in qualche modo con quelli che sono i rapporti fra Siria e Turchia, e sono circa un milione i residenti sul territorio siriano, quindi una presenza del 10% della popolazione. Sayda è un esponente che ha avuto dei rapporti piuttosto duri con i regimi siriani, in quanto è stato in esilio in Svezia diversi anni. Si appellerà in qualche modo agli organismi internazionali, ma ha anche aggiunto che sarà una sua priorità quella di intraprendere colloqui con altre figure dell’opposizione curda - che è molto variegata, - per includerle nel Consiglio nazionale siriano (Cns).
D. – Cns, che al proprio interno non ha proprio una situazione stabile…
R. – E’ accusato da molti curdi di essere praticamente dominato dalla fazione islamica filo-turca, e sappiamo anche che tra gli 11 partiti curdi - che non hanno aderito al Consiglio nazionale siriano, una piattaforma fatta praticamente in Turchia - c’è anche il cosiddetto Pyd – sezione siriana del Pkk - che è il partito dei lavoratori del Kurdistan. Il problema è la variabile Pkk: è considerata un’organizzazione terroristica, come si sa in Turchia e non accetta alcuna forma di collaborazione con Ankara.
D. – Se da una parte i curdi vivono questa frammentarietà, dall’altra Damasco ha giocato una carta di alleggerimento.
R. – Damasco ha alleggerito leggermente la mano su quella che è la minoranza curda - residente nella zona nordorientale - nonostante ci siano stati attentati e via dicendo. Ma questo fa parte anche un po’ di questo gioco a scacchi, che c’è fra la Siria e la Turchia. Diciamo che i rapporti fra i curdi delle varie fazioni, sia quelle che hanno aderito al Cns, sia quelle che sono rimaste fuori dal Cns, dipendono anche in qualche maniera, o si intrecciano, nei rapporti fra Damasco ed Ankara. E’ una situazione estremamente complicata.
D. – Questa situazione, in estrema evoluzione, potrebbe portare anche ad ulteriori spezzettamenti sul fronte curdo?
R. – Il frazionamento è già avvenuto con la nuova adesione degli 11 partiti curdi al Cns. Potrebbe avvenire un’ulteriore spaccatura, all’interno degli 11 partiti che non hanno aderito al Cns, in merito ad un possibile ricucire dei rapporti con il nuovo neo eletto, che sta facendo un lavoro - pare in queste ultime ore - di ricucitura, anche con gli esponenti dei partiti che non hanno aderito.
D. – Nei confronti del regime Assad; Sayda ha preso una posizione abbastanza netta: da una parte chiede defezioni, chiede di lasciare Assad solo, dall’altra invoca nella comunità internazionale, un’azione di fatto che metta in campo la forza. Sarà poi verosimile un intervento armato?
R. – Un intervento armato lo reputo abbastanza remoto per il momento: nessuno vuole "scottarsi le dita" in Medio Oriente: né gli Stati Uniti, né la Russia, né la Cina e neanche lo stesso Israele. Io credo che in questo momento gli analisti di questi Paesi stiano studiando abbastanza al microscopio quella che è la situazione, cercando di trovare un bandolo della matassa che possa evitare un intervento. Certo è che se dovessero scoppiare di nuovo delle repressioni, come la violenza degli ultimi mesi, la Comunità Internazionale in Siria dovrà fare qualcosa. Lì bisogna vedere quale sarà il ruolo che vorrà ogni singola potenza, che è in qualche modo interessata all’arena mediorientale e quale rischio vorrà anche accollarsi. E’ una situazione immobile e bisognerà attendere le prossime settimane per vedere uno spiraglio, posto che ci sia uno spiraglio.
“Lascio la Siria per evitare danni peggiori dovuti alla mia situazione personale”. Così dopo 30 anni di presenza sul territorio siriano il padre gesuita Paolo Dall’Oglio, fondatore della Comunità monastica di Deir Mar Musa. Ascoltiamolo nell’intervista di Helene Destombes:ascolta
“Lascio la Siria per evitare danni peggiori dovuti alla mia situazione personale. Io ho ritenuto mio dovere esercitare una piena libertà di espressione sulla base degli impegni che il governo siriano ha preso lungo tutto il 2012, ufficialmente, ma questo ha creato una situazione che ha di fatto obbligato l’autorità ecclesiastica a chiedermi di lasciare il Paese per evitare conseguenze peggiori. Questo non significa affatto che io non resti pienamente impegnato, culturalmente e spiritualmente, per il processo di soluzione di questo drammatico conflitto e di democratizzazione di questo magnifico Paese”.
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