martedì, giugno 05, 2012
Poiché i terremoti non ci danno tregua, vediamo gli interventi psicologici postraumatici più opportuni per la ripresa normale della vita

di Gennaro Iasevoli

In effetti esistono due problematiche psicologiche che si istaurano nella mente delle persone “terremotate”, perché dal punto di vista psico-diagnostico il sisma provocherebbe due diverse patologie, la prima più visibile e facilmente trattabile, la seconda piuttosto insidiosa e resistente ai trattamenti psicologici e neuropsichiatrici. La prima è lo stress acuto passeggero: amnesia retrograda e terrore provocato dallo scuotimento delle abitazioni con caduta dei calcinacci che hanno minacciato gravemente per un breve lasso di tempo la loro vita e la loro salute, provocando anche temporanei disturbi circolatori, respiratori ed in qualche caso traumi fisici da compressione e schiacciamento. Il secondo è lo stress persistente: terrore giustificato e talvolta presunto provocato dalla paura di rimanere perennemente condizionati e menomati dalla depauperazione materiale sopravvenuta con la distruzione dei beni mobili od immobili posseduti; sofferenza da lutto nei casi di perdita di amici e parenti in conseguenza del sisma.

La cosa che più preoccupa è il numero delle persone colpite dalla patologia persistente, evidenziato attraverso studi ancora in corso che tra l’altro riguardano i terremoti di qualche anno addietro. Secondo alcuni resoconti, dopo gli eventi sismici significativi le persone che subiscono lutti e distruzioni di abitazioni sviluppano il disturbo postraumatico da stress, per cui ben vengano piani preventivi di interventi psicologici che forniscano un sostegno ai residenti.

In effetti, secondo la mia esperienza lo stress che persiste dopo l’evento catastrofico rende le persone colpite sofferenti come avviene in caso di lutto per la perdita di un familiare. Secondo queste osservazioni statistiche abbastanza credibili bisogna mettere in conto che la maggior parte delle persone presenti nell’area colpita dal sisma sviluppa, generalmente dopo circa un mese dall’evento, simili patologie da stress cronico, pertanto per non avere un’esistenza per lungo tempo segnata da disturbi psicologici è necessario essere opportunamente curati psicologicamente.

Descriviamo sommariamente alcuni aspetti dello stato mentale (fantasie, emozioni, ricordi, motivazione) delle persone dopo la fase stressogena acuta, cioè dopo la vita in tenda e cioè dopo la ripresa generale della vita ordinaria. Nella fase acuta le persone mantengono stabilmente confinate in un’area mentale una serie di ricordi riferiti ad immagini spaventose, ai comportamenti delle persone della famiglia e degli estranei, alle proprie reazioni all’evento. Nella fase cronica le persone mantengono altresì, stabilmente confinate in un’altra area mentale, una serie di preoccupazioni, ansie ed angosce riguardanti gli impegni non mantenuti a causa dell’evento catastrofico, le occasioni perse a causa dell’evento catastrofico, il lutto o il senso di eradicazione di un bene prima posseduto e non più ripristinabile, l’incertezza del futuro proprio e dei congiunti, il senso di riduzione della forza fisica, il senso di privazione della propria identità, il senso di abbandono e di delusione che impediscono il rilassamento e la gioia di vivere le emozioni ordinarie.

I disturbi da patologia da stress cronico conclamato producono nella persona sofferente forme di demotivazione, chiusura, sofferenza vitale, caduta del rendimento lavorativo, limitazioni della vita di relazione e ripercussioni psicosomatiche generalizzate. Una prima ipotesi sui tempi dell’intervento psicologico “orientante”, al fine di ottenere un effetto veloce, si orienta su un arco di tempo di almeno tre mesi, con cicli di colloqui di richiamo nei successivi tre anni o più, secondo la difficoltà dei casi.

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