mercoledì, luglio 04, 2012
Nota della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli di condanna e biasimo riguardo l’ordinazione episcopale, che si preparando in Cina, senza il necessario mandato pontificio, del rev. Giuseppe Yue Fusheng.

Radio Vaticana - Un atto “che danneggia l’unità della Chiesa e tutta l’opera di evangelizzazione”, sottolinea il dicastero. Il servizio di Roberta Gisotti:RealAudioMP3 La notizia giunge dall’Amministrazione Apostolica di Harbin, nella provincia di Heilongjiang, dove l’ordinazione episcopale del rev. Yue Fusheng “è stata programmata in modo unilaterale e produrrà – ammonisce il dicastero vaticano – divisioni, lacerazioni e tensioni nella comunità cattolica in Cina”. “Se si vuole che la Chiesa in Cina sia cattolica, non si deve” infatti – sottolinea la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli – “procedere a ordinazioni episcopali che non abbiano la previa approvazione del Santo Padre”.

Lo stesso rev. Yue Fusheng “è stato informato da tempo” che “la sua ordinazione sarà illegittima”, che “la Santa Sede non lo riconoscerà come il vescovo di Harbin” e che “egli sarà privo dell’autorità di governare la comunità cattolica diocesana”, violando la norma del Codice di Diritto canonico, che prevede per i trasgressori la scomunica latae sententiae. Così, anche “i vescovi consacranti” – ricorda la nota – saranno esposti “alle gravi sanzioni canoniche, previste dalla legge della Chiesa”. Compromessi anche i rapporti con le autorità governative: l’ordinazione del rev. Yue Fusheng “contraddirebbe quei segni di dialogo, auspicato dalla Parte Cinese e dalla Santa Sede, che si sta cercando di porre”.

“La nomina dei Vescovi – puntualizza il dicastero vaticano – è una questione non politica, ma religiosa”, come spiega Benedetto XVI nella Lettera a tutti i membri della Chiesa cattolica in Cina, del maggio 2007. Quando il Papa “concede il mandato apostolico per l’ordinazione di un vescovo” – si legge nel documento – “esercita la sua suprema autorità spirituale: autorità ed intervento, che rimangono nell’ambito strettamente religioso. Non si tratta quindi di un’autorità politica, che si intromette indebitamente negli affari interni di uno Stato e ne lede la sovranità”. Del resto, aggiunge il Santo Padre, “la nomina di Pastori per una determinata comunità religiosa è intesa, anche in documenti internazionali, come un elemento costitutivo del pieno esercizio del diritto alla libertà religiosa”.

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