La tragica situazione in Siria continua a preoccupare Israele, stretto in una morsa di tensione: a nord la guerra contro il regime di Assad, a sud la forte destabilizzazione egiziana. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Eric Salerno, esperto di Medio Oriente del quotidiano il Messaggero: ascolta
Radio Vaticana - R - Credo che ciò che soprattutto preoccupa Israele è che, dopo Assad, in Siria - perché ci sarà prima o poi un dopo Assad, anche se non si tratta di una transizione politica, qualcosa sta pur sempre accadendo - possa venir fuori una spaccatura del Paese, o una riunificazione del Paese sotto forze che possono essere ancora meno disponibili di Assad. Bisogna ricordare che Assad ha sempre mantenuto i patti con Israele: suo padre e lui hanno sempre impedito attacchi lungo il confine comune tra i due Paesi.
D - Israele ha annunciato ieri che installerà una batteria di anti-missili sulla frontiera meridionale con l’Egitto. Insomma, una situazione di crescente tensione su quel fronte…
R. – Ci sono stati alcuni incidenti. L’anno scorso c’è stato un attacco nel Sinai egiziano, contro macchine che transitavano lungo il confine dalla parte israeliana, nei pressi di Eilat - zona turistica sul Mar Rosso - ovviamente, si teme in Israele che possano succedere altri incidenti di questo tipo, anche perché in questo momento guardano al Sinai come un territorio in balia di bande più o meno organizzate: organizzazioni qaidiste, movimenti di beduini che sono trafficanti d’armi e di altre cose. Loro sostengono che le forze armate egiziane - nonostante un rafforzamento della loro presenza nel Sinai, autorizzato da Israele nel quadro di una revisione degli accordi di pace - non sono in grado di controllare la situazione e si teme quindi una escalation di violenza.
E sul fronte interno egiziano è e resta alta la tensione; il presidente Morsi, dei Fratelli Musulmani, ieri a Riad – nel suo primo viaggio ufficiale all’estero – ha avuto un incontro con il re Abdullah, mentre al Cairo si lavorava per la nomina del nuovo premier, che giungerà – secondo fonti locali – a breve. Al di là del confine, in Libia, invece, si delinea una netta sconfitta elettorale proprio per l’ala locale dei Fratelli musulmani, a vantaggio delle forze moderate.
Il servizio di Davide Maggiore:
Tra gli argomenti affrontati da Morsi e dal re saudita c’è stata la crisi siriana, ma l’incontro ha anche segnato un punto di svolta nelle relazioni tra il regno arabo e i fratelli Musulmani, in passato non buone. All’interno, invece Morsi è atteso da due questioni: la nomina del nuovo primo ministro, che potrebbe avvenire già sabato, e il braccio di ferro con i militari. Negli scorsi giorni il presidente aveva lanciato segnali di distensione sulla questione dello scioglimento del Parlamento, ma la materia approderà martedì alla Corte di Cassazione. Attesa anche oltreconfine, in Libia, dove non sono stati ancora ufficializzati i risultati del voto di sabato scorso per il nuovo Congresso nazionale. Secondo i primi dati, la coalizione di partiti moderati guidata dall’ex premier Jibril sarebbe largamente in testa sia a Tripoli che a Bengasi nei confronti del partito legato ai Fratelli Musulmani. Decisivo sarà però il ruolo dei candidati indipendenti, a cui per legge è riservata una quota significativa dei seggi della nuova assemblea, le cui decisioni saranno prese a maggioranza dei due terzi.
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